Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17710 del 02/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/07/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 02/07/2019), n.17710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20077/2014 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA BARON;

– ricorrente –

contro

AZIENDA U.L.S.S./(OMISSIS) REGIONE VENETO, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI

5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato STEFANO CONTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 760/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/02/2014 R.G.N. 1025/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza in data 27 dicembre 2013, la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da C.A. nei confronti della Azienda ULSS n. (OMISSIS) della Regione Veneto con cui era stata richiesta la condanna della resistente all’adibizione della lavoratrice a mansioni confacenti al proprio stato di salute in considerazione della accertata inidoneità a movimentare carichi;

– in particolare, la Corte ha ritenuto, confermando l’opinione del primo giudice, che le stesse mansioni descritte nell’atto d’appello non comportassero il sollevamento di pesi e che fosse stata adeguatamente argomentata in primo grado la possibilità per la dipendente di fruire di pause lavorative in posizione non eretta, nonchè la congruità dell’assegnazione a mansioni, presso il servizio oncologico, equivalenti rispetto a quelle precedentemente svolte presso il centro diabetologico;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso C.A., corredato da memoria, affidandolo a tre motivi;

– resiste l’Azienda con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine all’adibizione a mansioni per le quali vi era stata contraria prescrizione medica, mentre con il secondo motivo si deduce ancora l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riguardo alle mansioni espletate dalla C. nel centro oncologico;

– entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione, sono inammissibili;

– l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

– ne consegue che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr., sul punto, Cass. n. 27415 del 29/10/2018);

– nel caso di specie, parte ricorrente censura, in realtà, non l’omesso esame di un fatto (che presenti i requisiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5) bensì l’iter decisorio del giudice di secondo grado circa gli elementi istruttori acquisiti da cui è stata evinta l’esclusione della movimentazione di carichi in relazione alle mansioni di ausiliaria socio-sanitaria affidate alla ricorrente ed in ordine alla modifica delle mansioni espletate nel passaggio dal centro diabetologico a quello oncologico;

– una diversa valutazione delle risultanze istruttorie è del tutto preclusa al giudice di cassazione atteso che il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, in relazione all’art. 2103 c.c. nonchè, ancora una volta, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alle mansioni svolte dapprima nel centro diabetologico e poi in quello oncologico;

– premessa l’inammissibile promiscuità dei motivi, non può che ribadirsi, relativamente alla pretesa violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quanto già affermato con riguardo ai primi due motivi di ricorso;

– relativamente alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, il motivo è infondato;

– va rilevato che, per costante giurisprudenza di legittimità, (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 18817 del 16 luglio 2018), in tema di pubblico impiego privatizzato, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare la natura equivalente della mansione, non potendosi avere riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 c.c.;

– afferma, al riguardo, la sentenza n. 7106/2014 – che “… del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, assegna rilievo al solo criterio dell’equivalenza formale delle mansioni con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione, non potendosi avere riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 c.c.”;

– nel caso che ci occupa, la Corte d’Appello ha dichiarato legittime le variazioni di mansioni, là dove le stesse si presentavano comunque congrue rispetto alla qualifica formalmente rivestita dall’appellante, alla luce della natura delle stesse, nonchè del tutto sovrapponibili sia se espletate nel centro diabetologico che in quello oncologico;

– non trovando applicazione nell’impiego contrattualizzato il principio di matrice statutaria, introdotto per il lavoro privato dall’art. 2103 c.c., a tutela e valorizzazione del bagaglio professionale del lavoratore, a cagione della prevalenza delle esigenze di buona amministrazione rispetto alla tutela del diritto alla qualifica, per il quale anche un mutamento di mansioni equiparate potrebbe risultare illegittimo qualora violasse la professionalità acquisita e sarebbe esigibile nei confronti del datore in quanto strumento di protezione della dignità della persona del lavoratore subordinato, corretta deve ritenersi l’operazione decisoria e motivazionale del giudice di merito;

– il ricorso deve essere, quindi, respinto;

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.500 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2019

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