Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1771 del 24/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 1771 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

SENTENZA

sul ricorso 13963-2012 proposto da:
BORRIELLO

GAETANO

C.F.

BRRGTN43R23A509R,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITO GIUSEPPE
GALATI 100/C, presso lo studio dell’avvocato ENZO
GIARDIELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE BARRASSO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
contro

3919

– ALLIANZ S.P.A.

(già R.A.S. S.P.A. conferitaria

dell’Azienda di LLOYD ADRIATICO S.P.A.), in persona
dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 24/01/2018

domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio
dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
AZIENDA OSPEDALIERA S.

GIUSEPPE MOSCATI DI

AVELLINO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

e difesa dagli avvocati MODESTINO ACONE, GIORGIO
SILVESTRI, giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 6583/2011 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/12/2011 R.G.N.
4951/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/10/2017 dal Consigliere Dott.
ALFONSINA DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per inammissibilità, in subordine rigetto;
udito l’Avvocato ENZO GIARDIELLO per delega Avvocato
GIUSEPPE BARRASSO;
udito l’Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega
verbale Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito l’Avvocato PASQUALE ACONE per delega Avvocato
MODESTINO ACONE.

BUCCARI N.3, presso MARIA TERESA ACONE, rappresentata

R.G. 13963/2012

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Napoli, con decisione in data 7/12/2011, confermando
la sentenza del Tribunale di Avellino n.461/2006, ha rigettato la domanda di
Gaetano Borriello, agente tecnico presso l’Azienda ospedaliera S. Giuseppe

condannare al risarcimento per danno alla salute – pari a Euro 325.000 l’Azienda ospedaliera, responsabile d’inerzia per non avere esonerato il
dipendente dall’esposizione ad agenti chimici dopo che lo stesso aveva subito
un intervento chirurgico nel 2000 per un tumore alla vescica, e di essersi
attivata in tal senso solo dal 2002, il che avrebbe contribuito a procurare al
Borriello più recidive del tumore, a causa delle quali era stato costretto a
sottoporsi a un nuovo intervento chirurgico.
La Corte d’Appello, dunque, acquisendo gli esiti di una nuova e più
approfondita CTU, ha statuito che, in merito allo specifico thema decidendum
della riferibilità causale o concausale di recidive di carcinoma vescicale alla
protrazione di esposizione al rischio oncogeno da agenti chimici in ambiente
lavorativo, andava escluso il nesso causale tra la condotta antidoverosa o
negligente dell’Azienda sanitaria denunciata e le conseguenze dannose
lamentate dal dipendente e che, nel presunto periodo d’inerzia dell’Asl, cioè nel
2001, il medico competente aveva ritenuto l’idoneità della mansione,
prescrivendo all’Azienda sanitaria unicamente di astenersi dall’adibire il
lavoratore a lavori che comportassero un grave dispendio di energie.
Avverso tale decisione interpone ricorso Giuseppe Borriello con tre censure,
cui resistono con tempestivo controricorso l’Azienda Ospedaliera S. Giuseppe
Moscati di Avellino e la società Allianz S.p.a. (già Lloyd Adriatico s.p.a.) citata
in causa agli effetti della polizza assicurativa stipulata.
Giuseppe Borriello e l’Azienda Ospedaliera – S. Giuseppe Moscati di Avellino
hanno presentato memorie difensive ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del
ricorso.

Moscati di Avellino, dal 1975 addetto a mansioni d’imbianchino, rivolta a sentir

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo parte ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 360,
co.1, n.3 e n.5 c.p.c. in relazione all’art. 32 della Costituzione, all’art. 2087 c.c.

La censura lamenta sostanzialmente l’insufficienza degli elementi in base ai
quali il giudice d’Appello ha rigettato la domanda, ‘in riferimento alle norme
richiamate; contesta, inoltre, la sentenza per non aver adeguatamente
valutato circostanze che, se prese in considerazione, avrebbero potuto
condurre a un’opposta definizione della controversia (come il mancato riscontro
e l’assenza di iniziativa dell’Azienda a seguito della comunicazione del Primario
della Divisione di Urologia del 2000, dopo il primo intervento chirurgico, che
indicava fra i fattori di rischio della patologia contratta dal ricorrente il contatto
con vernici e solventi).

2. Nella seconda censura si contesta la “Violazione dell’art. 360, co.1, n.3 e
n.5 c.p.c., in relazione agli artt. 40 e 41 c.p.c., nonché in relazione alla
erroneità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza di
secondo grado”.
La sentenza gravata, recependo acriticamente l’esito della CTU, ove si è
ritenuto non dimostrato il collegamento tra episodi recidivanti del carcinoma
vescicale e la condotta dell’Azienda sanitaria, neanche alla stregua di
concausa, avrebbe mancato di considerare gli effetti prodotti sulla patologia
neoplastica per l’esposizione per oltre due anni ai fattori di rischio cancerogeno
successivamente al primo intervento chirurgico, in cui incontestabilmente si
sarebbero aggravate le condizioni di salute del lavoratore.
3. Con la terza censura, la parte ricorrente deduce la “Violazione dell’art.
360, co.1, n.3 e n.5 c.p.c. in relazione agli artt. 115, 116, 420 e 437 c.p.c.
Violazione dell’art. 360, co.1, n.3 e n.5, in relazione all’art. 32 della

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e agli artt. 3, co.1, lett. m) e 4, co.5 lett c) del d.lgs. n.626/1994.”

Costituzione, all’art. 2087 c.c. e agli artt. 3, co.1, lett. m), e 4, co.5, lett. c) del
d.lgs. n.626/1994.”
Contesta la sentenza gravata per aver illegittimamente limitato il

thema

decidendum alla responsabilità per inerzia dell’Ente, al periodo intercorrente
tra il primo intervento chirurgico e il mutamento di mansione (27 mesi), ai fini
della correlazione tra il comportamento dell’amministrazione e l’insorgere delle

verifica del concreto svolgimento della prestazione nel periodo antecedente
all’insorgenza della patologia oggetto del giudizio.

I tre motivi di ricorso non possono essere accolti.

Nessuno di essi sfugge al rilievo di genericità delle prospettazioni.
Giurisprudenza costante di questa Corte stabilisce che il motivo di ricorso è
inammissibile, qualora parte ricorrente si limiti a fornire una diversa
ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza
gravata, ovvero censuri l’apprezzamento e il convincimento del giudice di
merito che risulti difforme da quello auspicato, così mirando a un riesame del
merito inibito in sede di legittimità (Cass. n.3881/2006; Cass. n.828/2007;
Cass. n. 7972/2007; Cass. n.25332/2014; Cass. n. 21992/2017).
Le censure, inoltre, violano il principio di autosufficienza, in quanto non
contengono tutti gli elementi necessari a porre questa Corte in condizione di
avere completa cognizione dell’oggetto della controversia senza la necessità di
accedere ad altre fonti ed atti del processo, né, il fatto processuale viene
riportato in modo da rendere intelligibili le ragioni per le quali determinate
affermazioni contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto
con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornite da questa Corte (Cass. n.18960/2017)
In particolare, il secondo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili
perché, come correttamente affermato dalla Corte d’Appello, attraverso le
doglianze si tentano di introdurre domande nuove. Quanto al secondo motivo,
la Corte ha motivato adeguatamente e correttamente, sul dato testuale per

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recidive, e per aver ritenuto nuove tutte quelle prospettazioni rivolte alla

cui, fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, la domanda risultasse
così formulata: “Il difensore del ricorrente chiarisce altresì che il risarcimento
danni richiesto va contenuto dal periodo del primo intervento chirurgico (luglio
2000) alla data di esonero delle mansioni di imbianchino”, e quanto al terzo
motivo, ha altrettanto precisamente motivato come la CTU fosse stata disposta

Le censure presentano, altresì, marcati rilievi d’infondatezza.

La prima censura, che rileva violazione delle norme in materia di sicurezza
sul lavoro e omessa motivazione in merito all’inerzia dell’Azienda, appare
infondata, poiché la sentenza, basandosi su un’attenta ricostruzione dei fatti,
accerta l’assenza del nesso causale tra il comportamento datoriale e le
conseguenze dannose denunciate dal ricorrente, non ritenendo raggiunta la
prova della sussistenza di esso in base alle allegazioni del ricorrente.

La seconda doglianza è altresì infondata, poiché, premessa l’assoluta
legittimità del potere del giudice, di acquisire, anche

per relationem la

valutazione degli esiti peritali affidati alla CTU (Cass. n.14962/2015), in questo
caso confermativa di altra perizia disposta in prime cure, la censura non giunge
a intaccare la fondatezza delle conclusioni peritali e, conseguentemente, la
coerenza argomentativa della decisione d’appello che ne ha recepito il
contenuto.

Da ultimo, anche la terza censura è inidonea a smontare il ragionamento
della Corte d’Appello, in quanto, lungi dal fornire adeguata motivazione delle
violazioni prospettate, sia con riferimento alle norme che presiedono
all’esercizio dei poteri istruttori del giudice, sia con riferimento alle norme
sostanziali che tutelano la salute e la sicurezza del lavoratore sul luogo di
lavoro, appaiono rivolte a contestare la decisione gravata sulla base di una
ricostruzione del fatto processuale più favorevole al ricorrente, e, dunque, a

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con riferimento all’oggetto del giudizio come sopra richiamato.

reintrodurre una domanda di rivalutazione del merito esclusa in sede di
legittimità.

In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate così come da
dispositivo, seguono la soccombenza.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei
confronti della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida
in Euro 200 per esborsi, Euro 3000 per competenze professionali, oltre alle
spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.

Così deciso all’Udienza dell’10/10/2017

P.Q.M.

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