Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1771 del 24/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.24/01/2017),  n. 1771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7149 – 2015 R.G. proposto da:

B.U. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Enrica De

Gregorio ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Valadier, n.

43, presso lo studio dell’avvocato Egidio Lizza;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente

domicilia;

– controricorrente –

Avverso il Decreto dei 4.3/18.8.2014 della corte d’appello de

L’Aquila.

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 17

novembre 2016 dal Consigliere Dott. Abete Luigi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla corte d’appello de L’Aquila depositato in data 31.8.2012 B.U. si doleva per l’eccessiva durata della procedura fallimentare della s.r.l. “(OMISSIS)”, società di cui era amministratore e legale rappresentante; deduceva in particolare che il fallimento era stato dichiarato dal tribunale di Ancona con sentenza del 22.12.1998 ed era stato chiuso con decreto del 5.3.2012.

Chiedeva che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli a ristoro dei danni subiti un equo indennizzo indicato in misura pari ad Euro 46.875,00 ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia con il favore delle spese da attribuirsi ai difensori anticipatari.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

Con Decreto dei 4.3/18.8.2014 la corte d’appello de L’Aquila rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese di lite.

Dava atto previamente la corte che la procedura fallimentare si era svolta a carico della “(OMISSIS) s.r.l. e non già nei confronti di B.U. ed altresì che il ricorrente aveva agito in nome proprio e non già in nome e per conto della s.r.l. di cui era amministratore e legale rappresentante.

Esplicitava conseguentemente che B.U. non era legittimato a far valer il diritto all’equa riparazione, non essendo stato parte della procedura la cui asserita irragionevole durata era stata dedotta a fondamento dell’azionata pretesa.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso sulla scorta di tre motivi B.U.; ha chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione e decida nel merito con condanna del Ministero alle spese e del primo giudizio e del giudizio di legittimità, da distrarsi in favore dell’avvocato Enrica De Gregorio.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, commi 1 e 2, della L. n. 89 del 2001 nonchè dell’art. 6, par. 1, della C.E.D.U..

Deduce che la questione che l’impugnato decreto prefigura, “non attiene alla legittimazione attiva del ricorrente ma alla titolarità del rapporto controverso” (così ricorso, pag. 11); che, come tale, la questione non poteva essere rilevata d’ufficio, ma doveva essere sollevata dalla controparte, la quale invece nulla ha dedotto al riguardo; che al contempo siffatta questione non può esser proposta per la prima volta dinanzi alla Corte di legittimità.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2, dell’art. 6, par. 1, della C.E.D.U., della L.Fall., art. 118, comma 1, n. 3 e n. 4, e comma 2, dell’art. 2495 c.c. e dell’art. 110 c.p.c..

Deduce che il ricorso ex L. n. 89 del 2001 è stato proposto successivamente alla chiusura, con Decreto del 5.3.2012, per avvenuta ripartizione dell’attivo, del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l.; che, – chiusa la procedura fallimentare, ove si tratti di fallimento di società, il curatore L.Fall., ex art. 118, comma 2, ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese” (così ricorso, pag. 16); che il novello disposto della L.Fall., art. 118, comma 2, si applica anche alle società dichiarate fallite antecedentemente all’entrata in vigore della – riforma – fallimentare ed il cui fallimento è stato chiuso successivamente, siccome nel caso della -(OMISSIS)”; che la cancellazione della società dal registro delle imprese ha efficacia costitutiva e ne determina l’immediata estinzione, – con la conseguenza che eventuali debiti o crediti pendenti sono a carico dei soci” (così ricorso, pag. 16); che, “dunque, la legittimazione, sostanziale e processuale, attiva e passiva, per i rapporti non definiti si trasmette automaticamente, in forza dell’art. 110 c.p.c., dalla società ai soci, poichè l’estinzione della società istituisce fra i soci una comunione dei beni residuati o sopravvenuti” (così ricorso, pag. 19).

Deduce ulteriormente che deve escludersi che via sia stata tacita rinuncia da parte della società fallita al credito azionato, atteso che nella fattispecie la cancellazione dal registro delle imprese non è espressione di una scelta volontaria, ma è imposta dalla L.Fall., art. 118, comma 2, ed è stata eseguita in ossequio alla medesima disposizione legislativa.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, nonchè dell’art. 6, par. 1, artt. 13 e 35 della C.E.D.U.; denuncia il vizio di motivazione.

Deduce che la corte di merito ha erroneamente reputato la sua condizione alla stregua di quella di un – semplice socio” di s.r.l.; che viceversa a seguito e per effetto della dichiarazione di fallimento “ha ricevuto (in via diretta) effetti negativi nella sua sfera personale e patrimoniale, con tutte le limitazioni imposte dal diritto italiano” (così ricorso, pag. 23); che “vi è da considerare, infatti, che, con la società “(OMISSIS) s.r.l.” è fallito anche il suo amministratore, sig. B.U., che, in ogni caso, ha partecipato al giudizio ed ha subito – direttamente – un danno dalla lungaggine processuale (…) con incidenza su propri diritti costituzionali e personalissimi” (così ricorso, pag. 23).

Deduce quindi che la corte distrettuale ha disatteso l’elaborazione giurisprudenziale della Corte E.D.U., secondo cui l’irragionevole durata del processo può avere ripercussione su altri diritti garantiti dalla stessa convenzione” (così ricorso, pag. 23).

Non merita seguito il primo motivo di ricorso.

Si rappresenta per un verso che la legitimatio ad causam, nel duplice aspetto di legittimazione ad agire e a contraddire, afferisce alla mera prospettazione del rapporto controverso quale operata dall’attore con l’atto introduttivo del giudizio; propriamente postula la coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda ed il soggetto che nella domanda stessa è affermato titolare del diritto e, da quello passivo, tra il soggetto contro il quale la domanda è proposta e quello che nella domanda è affermato soggetto passivo del diritto o comunque autore della dedotta violazione del diritto; il difetto di tale coincidenza, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio, è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass. 6.3.2008, n. 6132; Cass. 16.11.1982, n. 6126).

Si rappresenta per altro verso che afferisce al merito della lite e non attiene alla legitimatio ad causam la questione relativa all’effettiva titolarità, attiva o passiva, del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, siccome destinata a risolversi nell’accertamento della situazione di fatto favorevole all’accoglimento ovvero al rigetto della pretesa azionata; cosicchè tale questione, a differenza della legitimatio ad causam, non è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass. 23.5.2012, n. 8175).

Si rappresenta per altro verso ancora che l’effettiva titolarità, attiva o passiva, del rapporto sostanziale dedotto in giudizio è un elemento costitutivo della domanda e, siccome attinente al merito della decisione, spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (cfr. Cass. sez. un. 16.2.2016, n. 2951).

Negli esposti termini si rappresenta che, al di là del riferimento alla categoria della legittimazione “a far valere il diritto a tale ragionevole durata” (così decreto impugnato, pag. 2), la corte territoriale, in dipendenza dell’estraneità di B.U. rispetto alla procedura fallimentare “presupposta” e dell’irrilevanza di qualsivoglia pregiudizio da costui indirettamente subito a cagione della sua veste di amministratore e legale rappresentante della fallita s.r.l., ha reputato “priva di fondamento” (così decreto impugnato, pag. 2) l’azionata domanda, così sostanzialmente, in sede di delibazione del merito della controversia, disconoscendo la concreta sussistenza del dedotto e comprovando – da parte dell’originario ricorrente – diritto al ristoro del paterna d’animo asseritamente sofferto in dipendenza della addotta “irragionevole” protrazione del fallimento della – (OMISSIS)” s.r.l..

La corte abruzzese più esattamente ha negato la concreta sussistenza del diritto di cui il ricorrente si è professato titolare.

Si badi che con il primo mezzo B.U. ha censurato l’impugnato dictum esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e/o falsa applicazione di legge, non già per vizio di motivazione; l’impianto motivazionale cioè non è stato fatto oggetto di censura con il primo motivo di ricorso.

Immeritevole di seguito è pur il secondo motivo di ricorso.

Si è premesso che B.U., nel segno degli insegnamenti nn. 6070, 6071 e 6072 del 12.3.2013 delle Sezioni Unite di questa Corte, ha chiarito che agisce “in chiave successoria – (così ricorso, pag. 17) in dipendenza dell’effetto estintivo della s.r.l. fallita conseguente alla disposta sua cancellazione dal registro delle imprese a norma della L.Fall., art. 118, comma 2, prima parte, cancellazione a sua volta correlata alla chiusura della procedura fallimentare ai sensi della L.Fall., art. 118, comma 1, n. 3), per compiuta ripartizione finale dell’attivo.

Su tale scorta si rappresenta in primo luogo che il motivo de quo agitur presenta un indubbio profilo di novità (cfr. Cass. 13.9.2007, n. 19164, secondo cui nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio).

Invero con il ricorso ex L. n. 89 del 2001 B.U. ha, a rigore, invocato il ristoro del pregiudizio asseritamente sofferto a motivo della sua qualità di amministratore (e legale rappresentante) della s.r.l. fallita ovvero a motivo delle -limitazioni personali alle quali parte ricorrente è stata sottoposta (…), per ben sette anni, (…) dalla formulazione originaria della legge fallimentare (…)” (così ricorso, pag. 8).

Di contro, in questa sede il B. adduce la veste sua di titolare, “in chiave successoria”, della ragione di credito ex L. n. 89 del 2001 asseritamente già vantata dalla “(OMISSIS)” s.r.l. per l’irragionevole protrazione del fallimento “presupposto”.

Si rappresenta in secondo luogo che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienzà del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), (al riguardo cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113, secondo cui il ricorso per cassazione – in forza del principio di cosiddetta “autosufficienza- – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a,fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito), ben avrebbe dovuto il ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro dei suoi assunti, dar contezza della sua veste di socio della “(OMISSIS)” s.r.l. ed inoltre della cancellazione della medesima società dal registro delle imprese, quale disposta su richiesta del curatore del fallimento a norma della L.Fall., art. 118, comma 2.

In particolare, con riferimento allo status di socio, l’incipit – “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo” – dell’art. 2475 c.c., comma 1, ben consente che l’amministrazione dalla s.r.l. sia affidata, appunto, dall’atto costitutivo ad un terzo, ossia a persona estranea alla compagine societaria; cosicchè ai fini della verifica della qualità di socio della “(OMISSIS) s.r.l. del B. non è sufficiente il riscontro, alla stregua dell’impugnato decreto, della sua qualità di amministratore della medesima s.r.l..

Si rappresenta in terzo luogo ed in ogni caso che la cancellazione L.Fall., ex art. 118, comma 2, quale correlata alla previsione della stessa L.Fall., art. 118, comma 2, nn. 3) e 4), senza dubbio non è “volontariamente scelta (…) ma imposta ex lege, ed eseguita ex lege, a seguito della chiusura del fallimento” (così ricorso, pag. 22).

Tuttavia, se è vero, siccome è vero, che alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (il riferimento è specificamente a Cass. sez. un. 12.3.2013, n. 6070) non si trasferiscono ai soci i diritti pur non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, aventi natura di mere pretese ovvero di crediti ancora incerti o illiquidi, atteso che la loro non inclusione induce a ritenere che la società vi abbia tacitamente rinunciato a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo, devesi opinare, mutatis mutandis, nei medesimi termini in rapporto alle mere pretese ovvero ai crediti ancora incerti o illiquidi non compresi nel progetto di ripartizione finale L.Fall., ex art. 117, segnatamente in rapporto alla pretesa indennitaria della ex L. n. 89 del 2001 della società fallita.

E difatti l’effetto della tacita rinuncia della società può correttamente postularsi, nonostante l’obbligo ex lege del curatore di formulare richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese in ipotesi di chiusura del fallimento per ripartizione finale dell’attivo ovvero per mancanza o insufficienza di attivo, a motivo della mancata proposizione da parte della società fallita ovvero da parte di – ogni altro interessato” – è il caso del socio o dell’amministratore – del reclamo L.Fall., ex art. 36, avverso la richiesta di cancellazione – senza dubbio atto di amministrazione – dello stesso curatore.

Destituito di fondamento è il terzo motivo di ricorso.

Si rappresenta innanzitutto che il ricorrente avrebbe dovuto dar contezza dell’affermazione secondo cui “con la società “(OMISSIS) s.r.l.” è fallito anche il suo amministratore, sig. B.U.” (così ricorso, pag. 23), in ossequio al canone di cosiddetta -autosufficienza” del ricorso per cassazione.

Si rappresenta altresì che questa Corte spiega che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, anche in caso di sopravvenuto fallimento di una società di capitali e di inerzia del curatore, il socio che non sia stato parte del processo segnato da irragionevole durata, non è processualmente legittimato ad azionare il rimedio offerto dalla citata legge, non essendo immediatamente inciso dai pregiudizi correlati alla pretesa durata irragionevole del processo (cfr. Cass. 8.5.2012, n. 7024).

Si rappresenta inoltre che questa Corte spiega ulteriormente che il diritto alla trattazione delle cause entro un termine ragionevole è riconosciuto dall’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, specificamente richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 solo con riferimento alle cause “proprie” e, quindi, esclusivamente in favore delle “parti” della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche in favore di soggetti che siano ad essa rimasti estranei, essendo irrilevante, ai fini della legittimazione, che questi ultimi possano aver patito indirettamente dei danni dal protrarsi del processo; e spiega, pertanto, che difetta di legittimazione attiva l’amministratore di una società di capitali, in relazione alla dedotta irragionevole durata del procedimento fallimentare aperto nei confronti della società medesima, già da lui amministrata (pur se, come nella specie, cancellata dal registro delle imprese) (cfr. Cass. 12.7.2011, n. 15250).

In questi termini nessuna pretesa indennitaria può esser azionata da B.U. sia in quanto – asserito – socio della “(OMISSIS)” s.r.l. sia in quanto amministratore e legale rappresentante della medesima società.

A tal ultimo proposito si rappresenta comunque quanto segue.

In primo luogo, che le limitazioni che dell’abrogata L.Fall., art. 146, comma 1, mediante il rinvio agli obblighi previsti per il fallito dall’abrogata L.Fall., art. 49, rendeva operanti anche nei confronti dell’organo di gestione della società di capitali dichiarata fallita, si sono nei confronti del B. protratte, siccome riconosce lo stesso ricorrente, “per ben sette anni – (così ricorso. pag. 8 e pag. 24), ossia per un periodo pari alla “ragionevole” durata massima della procedura fallimentare (cfr. Cass. 28.5.2012, n. 8468).

In secondo luogo che l’iscrizione nel “pubblico registro dei falliti” e dunque le incapacità che ne scaturivano, non operavano con riferimento alle persone fisiche – a meno che non dichiarate a loro volta fallite – titolari dell’organo di amministrazione delle società di capitali fallite.

In dipendenza del rigetto del ricorso B.U. va condannato a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo (si tenga conto che, in sede di condanna del soccombente al rimborso delle spese del giudizio al favore di un’amministrazione dello Stato – nei confronti del quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario – riguardo alle spese vive la condanna deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito: cfr. Cass. 18.4.2000, n. 5028; Cass. 22.4.2002, n. 5859).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014. n. 1191″.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, B.U., a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2017

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