Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17706 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. II, 29/08/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 29/08/2011), n.17706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati DI LUZIO RAFFAELE, GROSSI GIULIANO;

– ricorrente –

contro

S.C. (OMISSIS), S.G.

(OMISSIS) CHE AGISCE PER SE STESSO, e come difensore del

primo elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G PISANELLI 2, presso lo

studio dell’avvocato DI MEO STEFANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 812/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Di Meo Stefano con delega depositata in udienza

dell’Avv. S.G. difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 26/28 novembre 1998, gli avv.ti S.C. e S.G. evocavano in giudizio M.A. nonchè P. e D.B.M. nella qualità di eredi di D.B.A. e ne chiedevano la condanna al pagamento di somme dovute a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali da essi svolte quali difensori di quest’ultimo in una causa civile contro di lui promossa dal comune di S. Valentino, per la restituzione della somma di L. 49.800.000 oltre al risarcimento dei danni per l’asserita difettosa esecuzione di opere edili.

Nella contumacia di tutti i convenuti l’adito tribunale di Pescara, con sentenza n. 171 del 216.2000 accoglieva la domanda, condannando questi ultimi in solido al pagamento di L. 3.795.000 in favore dell’avv. S.C. e della somma di L. 3.125.000 in favore dell’avv. S.G., con gli interessi legali dal 28.11.98, oltre al pagamento delle spese processuali.

La sentenza veniva appellata dal solo D.B.M. che ne chiedeva la riforma, deducendo la violazione di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art 354 c.p.c. dell’art. 752 c.c. oltre che per la violazioni delle norme sul litisconsorzio necessario; si costituivano entrambi gli appellati insistendo per il rigetto del gravame.

L’adita Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza n. 812/04 depos. in data 22.10.2004, rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali. La corte distrettuale riteneva infondata la censura relativa alla notifica dell’atto di citazione in prime cure , in quanto effettuata a mani proprie dell’appellante;

ribadiva che la sentenza conteneva la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto ex art. 132 c.p.c., n. 4 e che la questione concernente la divisibilità del debito tra gli eredi non era stata tempestivamente eccepita dall’appellante nel giudizio di primo grado, nè egli aveva impugnato per ultrapetizione la decisione stessa che aveva statuito la condanna dei convenuti in solido anzichè pro-quota, come invece richiesto dagli attori.

Avverso la suddetta decisione ricorre per cassazione D.M. B. sulla base di 4 censure. Resistono con gli intimati con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 138 c.p.c. in relazione all’art. 354 c.p.c. per avere la Corte distrettuale erroneamente considerata valida la notifica dell’atto di citazione introduttivo e conseguentemente ritenuto di non disporre il rinvio della causa al 1^ giudice. Secondo l’esponente vi sarebbe incertezza sulla notifica dell’atto dovuta – a quanto sembrerebbe – alla ” grafia incomprensibile ” dell’ufficiale giudiziario che aveva redatto la “relata”.

La doglianza è priva di qualsiasi fondamento essendo chiaro ed evidente al di là di ogni dubbio – come già sottolineato dal giudice di merito – che l’atto in parola venne notificato a “mani proprie” dello stesso esponente, come attestato dalla relazione di notificazione dei 28.11.98, facente prova fino a querela di falso.

Con il 2^ motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè degli artt. 118 e 119 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., per omessa declaratoria di nullità della sentenza impugnata, stante l’assoluto difetto di motivazione per omessa esposizione nella stessa dello svolgimento dei processo e dei motivi in fatto ed in diritto della decisione. Anche tale doglianza non ha pregio, perchè come precisato dal giudice a quo, la sentenza impugnata era motivata anche se succintamente, per cui tale nullità non sussiste; invero dai tenore della stessa è agevole ricavare che l’obbligazione azionata si riferiva alle competenze professionali dei due legali svolte per conto del dante causa dell’esponente, come risulta chiaramente anche dalla citazione di cui egli ne aveva legale conoscenza unitamente agli altri convenuti. D’altra parte, attesa la natura del giudizio d’appello la sentenza pronunciata in questa sede assorbe totalmente quella emessa nel primo grado del giudizio che può essere confermata, anche con diversa motivazione (Cass. n. 27391 del 12.12.2005).

Con il 3^ motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 101,102 c.p.c., in relazione agli artt.752 e 754 c.c. “in tema di limiti alla divisibilità dell’obbligazione tra eredi del debitore, per non avere la Corte territoriale disposto l’integrazione del contraddittorio pur sollecitata dall’appellante il quale aveva dimostrato l’esistenza di tutti gli eredi legittimati” esibendo la denuncia di successione. Il giudice a quo non aveva neppure preso in esame detta censura ed aveva deciso come se essa non fosse stata mai proposta.

Anche tale doglianza non ha pregio, invero per il pagamento di un debito del de cuius, non si determina alcun litisconsorzio necessario tra gli eredi, in quanto essi, ai sensi dell’art. 754 c.c., rispondono solo in proporzione al valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, con esclusione quindi di qualsiasi relazione di solidarietà tra le rispettive obbligazioni. Non ricorre dunque l’ipotesi di un rapporto unitario indivisibile, in quanto ciascun erede è tenuto a soddisfare i debiti ereditar in proporzione della quota attiva in cui succede (Cass. n. 13644 del 04/06/2010).

Con il 4^ motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 752, 754, 1292, 1295 c.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la non solidarietà passiva dell’obbligazione a carico degli eredi, considerata pacifica in motivazione, fosse da considerare alla stregua di un’ eccezione derogabile e che la pronuncia di responsabilità solidale resa dal primo giudice contenesse un vizio di ultrapetizione non denunciato con l’atto d’appello e come tale non scrutinatale.

La doglianza appare infondata. La doglianza appare infondata. La natura non solidale della predetta obbligazione invero non era rilevabile d’ufficio ma trattandosi di eccezione propria, doveva essere dedotta dalla parte interessata. D’altra parte, la pronuncia ultra petitum emessa dal tribunale (che aveva condannato i convenuti in solido, anzichè pro-quota come correttamente richiesto dagli attori) non era stata appellata dall’odierno ricorrente per cui sul relativo punto si era formato il giudicato.

Secondo questa S.C. il vizio di ultrapetizione comporta una nullità relativa della pronuncia, che deve essere fatta valere attraverso gli ordinari mezzi d’impugnazione e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice del gravame, altrimenti la pronunzia di quest’ultimo (che rilevasse, senza specifica impugnazione, l’ultrapetizione) incorrerebbe nel medesimo vizio. (Cass. 4.9.2000, n. 11559; Cass., n. 10516 del 07/05/2009).

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorario, oltre spese accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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