Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17704 del 29/07/2010

Cassazione civile sez. VI, 29/07/2010, (ud. 05/07/2010, dep. 29/07/2010), n.17704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. SAVONAROLA

39, presso lo studio dell’avvocato PALMIERI GIUSEPPE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PRESTIGIACOMO MARIO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI PALERMO, CONSIGLIO

NOTARILE DISTRETTUALE DI PALERMO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 56/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

23.10.09, depositata il 12/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RUSSO

ROSARIO GIOVANNI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il notaio D.G.S. ha proposto ricorso per cassazione notificato al P.G. presso la corte di appello di Palermo nonchè al Consiglio Notarile di Palermo, avverso la decisione della Corte di appello di Palermo, che, nel procedimento disciplinare a suo carico, aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello per il decorso termine di cui all’art. 327 c.p.c., dalla data del 17.12.2007, in cui era stata depositata la sentenza del tribunale di Palermo, a quella del 28.4.2009, in cui era stata proposta l’impugnazione.

Il P.G. ha chiesto l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Il ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. In via preliminare va rilevato che ritualmente il presente procedimento camerale si è sviluppato con conclusioni scritte del P.G. (arg. ex art. 380 ter c.p.c.) in luogo della relazione del consigliere relatore (arg. ex art. 380 bis c.p.c.), non dovendosi ritenere la prima modalità necessaria ed esclusiva nel procedimento disciplinare notarile di legittimità. Va in proposito ribadito quanto già affermato da questa Corte (ord. n. 6937 del 2010), secondo cui, poichè il procedimento in cassazione nel giudizio disciplinare notarile sia nel regime anteriore al D.Lgs. n. 249 del 2006 sia in quello successivo segue il rito camerale, essendovi due specie di procedimento in camera di consiglio dopo il D.Lgs. n. 40 del 2006, e cioè quella di cui all’art. 380 bis e quella di cui all’art. 380 ter, a tale procedimento va applicata quest’ultima disciplina, poichè trattasi di procedimento a decisione necessaria camerale.

1.2. L’argomentazione va condivisa.

La L. n. 89 del 1913, art. 158 ter, aggiunto dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 46 si limita a statuire al comma quarto che La Corte di cassazione pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti.

Con tale disposizione si statuisce, quindi, che il procedimento di legittimità segue necessariamente il rito camerale e non solo eventualmente, allorchè ricorranno le ipotesi di inammissibilità o di manifesta fondatezza o infondatezza (art. 375 c.p.c., nn 1 e 5).

A parte le prescrizioni che siano “sentite le parti” e che la decisione sia emessa “con sentenza” e non con ordinanza, la norma suddetta null’altro dispone.

Occorre, quindi far riferimento alle norme del codice di procedura civile, in tema di ricorso per cassazione, trattato con rito camerale (come avviene per il procedimento davanti alla corte di appello, L. n. 89 del 1913, ex art. 158 bis).

1.3. Quanto alle modalità del rito camerale in cassazione, va osservato che quelle previste dall’art. 380 bis c.p.c. riguardano appunto le ipotesi in cui il rito camerale è solo eventuale, ravvisando il consigliere relatore le ipotesi di soluzione della decisione, di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5.

Quando invece il rito camerale è disposto non sulla prognosi della soluzione del ricorso in una delle ipotesi specifiche previste dalla legge (art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5) , ma sulla base dell’oggetto del ricorso, e quindi, della natura della questione trattata, a prescindere da ogni ipotesi di decisione, si versa in fattispecie normativa di rito camerale necessaria e non eventuale, perchè filtrata da una delibazione del relatore contenuta nella relazione.

In questo caso le modalità del rito devono essere quelle stabilite dall’art. 380 ter.

Tale norma, infatti, è l’unica che tratta, sia pure con riguardo ai regolamenti di competenza e di giurisdizione, delle modalità del rito camerale nelle fattispecie a trattazione necessaria in camera di consiglio.

Ne consegue che al ricorso per cassazione nel procedimento disciplinare notarile si applica l’art. 380 ter c.p.c., con la conseguenza che il presidente può provvedere o a norma dell’art. 382 bis (con la nomina del relatore per l’eventuale relazione), o a richiedere al pubblico ministero le sue conclusioni scritte.

1.4. La riprova di quanto detto emerge anche da altra considerazione.

Se il relatore nominato ai sensi dell’art. 380 bis non ritiene che il giudizio si possa definire ai sensi dell’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5, e quindi non ritiene di dover effettuare alcuna relazione, rimette la causa al presidente, non perchè possa essere disposta l’udienza pubblica (ostando a ciò la L. n. 89 del 1913, art. 158 ter, comma 1), come avviene normalmente (salve le ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 2 e 3, rilevate dal relatore nominato ai sensi dell’art. 377, comma 1), ma perchè sia fissata l’udienza camerale. In quest’ultimo caso il presidente deve pur sempre richiedere al P.G. le sue conclusioni scritte e, quindi, per questa via ritornare alle modalità di cui all’art. 380 ter.

Infatti, oltre alla notifica ai difensori del decreto di fissazione dell’adunanza camerale, l’art. 380 bis prevede che sia notificata la relazione del consigliere relatore, mentre l’art. 380 ter prevede la notifica delle conclusioni scritte del P.G.. Non è invece prevista dal codice di rito una modalità di fissazione dell’adunanza senza che sia notificata ai difensori delle parti una valutazione di definizione del ricorso, espressa o dal consigliere relatore (nella relazione) o dal P.G.(nelle conclusioni).

Sennonchè il primo può provvedere alla relazione solo nel caso in cui ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente fondato o manifestamente infondato. Fuori da questa ipotesi e se non si ritenesse applicabile l’art. 380 ter, si avrebbe la fissazione dell’adunanza, senza che ai difensori delle parti siano comunicate nè la relazione nè le conclusioni del P.G..

2.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 89 del 1913, art. 154, comma 2 e art. 155, comma 2, nel testo previgente le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 249 del 2006, nonchè del R.D. n. 1326 del 1914, art. 273. Secondo il ricorrente la norma di cui all’art. 327 c.p.c. non troverebbe applicazione al procedimento disciplinare nei confronti dei notai.

2.2. Il motivo è manifestamente infondato.

Come questa Corte ha già rilevato (Cass. n. 6442/2003) tale norma si applica anche ai procedimenti disciplinari nei confronti dei notai.

Inoltre va escluso ogni profilo di contrasto fra gli artt. 24 e 3 Cost. e la norma di cui all’art. 327 cod. proc. civ., applicabile anche in tema di procedimento disciplinare notarile, secondo cui il termine annuale di impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, anzichè dall’avviso di comunicazione o dalla notifica della stessa.

Deve infatti ritenersi che – anche alla luce delle indicazioni della sentenza n. 584 del 1980 della Corte Costituzionale – una diversa disciplina dei termini in argomento sconvolgerebbe il sistema delle impugnazioni nel quale la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicchè lo spostamento del “dies a quo” dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio alle quali soltanto la sentenza è comunicata “ex officio” a norma dell’art. 133 cod. proc. civ..

Non sono state addotte dal ricorrente valide ragioni per discostarsi da tale orientamento.

3. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 184 bis c.p.c. nel testo anteriore alla riforma operata dalla L. n. 69 del 2009. Assume il ricorrente che erroneamente la sentenza di appello ha ritenuto applicabile l’istituto della rimessione in termini solo in sede istruttoria di primo grado.

4.1. Il motivo è manifestamente fondato.

In seno all’istanza depositata il 7.10.2 009 il ricorrente aveva già posto in evidenza che sia l’art. 184 bis sia l’art. 294 c.p.c. tacciono sul limite entro il quale può essere proposta l’istanza e si era altresì sostenuto che la previsione del termine decandenziale per la sua proposizione sarebbe risultato in contrasto con l’art. 152 c.p.c. Le S.U. di questa Corte, sia pure in altro contesto, con sentenza n. 627/2008 hanno statuito l’applicabilità della disciplina della rimessione in termini di cui all’art. 184 bis, nell’originaria formulazione anteriore all’abrogazione disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 anche oltre la fase istruttoria del procedimento di primo grado ed in particolare al giudizio di cassazione (in questi termini di applicabilità generalizzata della rimessione in termini, peraltro, statuisce l’art. 153 c.p.c., comma 2, aggiunto dalla L. n. 69 del 2009, art. 2).

Risulta, quindi, superata la riferibilità della rimessione alle sole decadenze dai poteri processuali della parte interni al giudizio di primo grado ma non anche alle decadenze relative ai poteri processuali esterni a tale giudizio, quali quelle derivanti dal decorso dei termini per la proposizione dell’azione o dell’impugnazione (Cass. 5474/2006; 888/2006; 7612/2004).

4.2. E’ stato condivisibilmente affermato che militano in tal senso sia le innovazioni apportate all’art. 184 bis c.p.c., (come sostituito dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, art. 6, convertito con modificazioni in L. 20 dicembre 1995, n. 534) con la soppressione del riferimento alle sole decadenze previste negli artt. 183 e 184 c.p.c., sia i recenti richiami della Corte costituzionale in ordine alle esigenze di certezza ed effettività delle garanzie difensive nel processo civile, sia il difetto di situazioni di incompatibilità tra la norma in questione e le peculiarità del giudizio di Cassazione. Non può del resto omettersi di tener conto della garanzia costituzionale dell’effettività del contraddittorio posta dal nuovo testo dell’art. 111 Cost., comma 2, sicchè la regola dell’improrogabilità dei termini perentori posta dall’art. 153 c.p.c., non può costituire ostacolo al ripristino del contraddittorio quante volte la parte si vedrebbe dichiarare decaduta dall’impugnazione, per un fatto incolpevole che si collochi del tutto al di fuori della sua sfera di controllo e che avrebbe, altrimenti, un effetto lesivo del suo diritto di difesa in violazione dell’art. 24 Cost.. Peraltro il principio della scusabilità dell’errore attiene ad un principio tendenzialmente generale del nostro ordinamento e l’opzione sopra propugnata dell’applicazione generalizzata dell’istituto di cui all’art. 184 bis si pone in armonia con la soluzione attualmente adottata dall’art. 153 c.p.c., comma 2.

4.3. Ciò a maggior ragione comporta l’applicabilità dell’art. 184 bis anche al giudizio di appello, tenuto conto della norma di rinvio alla disciplina del primo grado, di cui all’art. 359 c.p.c..

5. Quindi è errata in diritto l’argomentazione giuridica della corte di merito di inammissibilità della domanda di rimessione in termini, ai fini della dichiarazione di inammissibilità dell’appello.

Sennonchè il dispositivo di inammissibilità dell’appello è esatto, in quanto la circostanza addotta quale errore scusabile ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell’appello costituisce non una situazione fattuale incolpevole, ma un errore di diritto (valutabile anche da questa Corte) – e come tale non scusabile – dell’appellante. Egli infatti assume che il ritardo nella proposizione dell’impugnazione, ai fini del decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c., dipendeva dalla non tempestiva notifica della sentenza di appello da parte della cancelleria.

E’, infatti, giurisprudenza costante che il termine annuale di impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c. è stabilito a pena di decadenza e decorre in ogni caso dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, senza che rilevi l’omessa comunicazione da parte del cancelliere (a carico del quale può dar luogo solo ad una sanzione disciplinare), atteso che l’ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta “in rebus suis”, dovendo pertanto ritenersi manifestamente infondata la denunzia di contrasto tra l’art. 327 c.p.c. citato e l’art. 24 Cost. (Cass. n. 11910/2003; 15778/2007).

Ciò comporta che il motivo va rigettato, provvedendosi alla correzione della motivazione nei termini suddetti, a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c..

6. Pertanto va rigettato il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 5 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2010

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