Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1770 del 30/01/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 1770 Anno 2015
Presidente:
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA

sentenza con
motivazione semplificata

sul ricorso proposto da:
SCHIRALLI Lavinia (SCH LVN 45C53 F262N), rappresentata e
difesa, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Silvio Ferrara, elettivamente domiciliata in
Roma, viale Angelico n. 78, presso lo studio dell’Avvocato
Alessandro Ferrara;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA,

tempore,

in persona del Ministro

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente

ADG15
.)(4

Data pubblicazione: 30/01/2015

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di
Catanzaro depositato il 27 marzo 2013 ( R. 826/2012 E.R.).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17 dicembre 2014 dal Presidente relatore Dott.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 7 giugno 2012
presso la Corte d’appello di Catanzaro, Schiralli Lavinia
chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento dei danni morali derivanti dalla irragionevole
durata di un giudizio iniziato con citazione notificata il
18 febbraio 1982 dinnanzi al Tribunale di Melfi, deciso
con sentenza non definitiva del 23 gennaio 2004, impugnata
in appello e pendente alla data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, ritenuta ragionevole una
durata, per due gradi di giudizio, di sei anni e detratti
sei anni addebitabili alla parte, accertava una
irragionevole durata del giudizio presupposto di diciotto
anni, in relazione alla quale liquidava un indennizzo di
euro 17.250,00 applicando il criterio di 750,00 euro per i
primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 euro per ciascuno
degli anni successivi, e compensava le spese del giudizio
per metà, tenuto conto della posizione difensiva assunta
dal Ministero, di sostanziale non opposizione ala domanda;

Stefano Petitti.

che per la cassazione di questo decreto Schiralli
Lavinia ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi,
illustrati da successiva memoria;
che il Ministero della giustizia ha resistito con

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione

di una motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo la ricorrente deduce
«violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 5
per omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia prospettato dalla
parte e comunque rilevabile d’ufficio, in relazione alla
determinazione del periodo di ragionevole durata ed alla
valutazione dei parametri interpretativi di cui all’art. 2
della legge n. 89/01, in base ai quali determinare il
lasso temporale da addebitarsi alla parte ricorrente e
quello da addebitarsi al’apparato giudiziario e, quindi,
al Ministero di Giustizia»;
che con il secondo motivo la ricorrente deduce
«violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 5
per omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia prospettato dalla
parte e comunque rilevabile d’ufficio, in relazione alla
valutazione del parametro della

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complessità della causa

controricorso.

di cui all’art. 2 della legge n. 89/01, in base al quale è
stata individuata la durata ragionevole in anni sei»;
che con il terzo motivo la ricorrente deduce
violazione e mancata applicazione dell’art. 2 della legge

applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227, 2056 cod. civ.,
nonché degli artt. 6, par. l, e 13 della CEDU e degli
artt. 24 e 111 Cost., dolendosi della esiguità del danno
non patrimoniale liquidato alla luce degli interessi
coinvolti nel giudizio presupposto e del conseguente
patema sofferto per la irragionevole durata dello stesso;
che con il quarto motivo la ricorrente deduce omessa o
quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con
riferimento alla mancata considerazione della rilevanza
della posta in gioco;
che il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso
sono inammissibili;
che, invero, atteso che il provvedimento impugnato è
stato depositato il 25 febbraio 2013, ed è quindi soggetto
all’applicazione del nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ., deve rilevarsi che le Sezioni Unite di questa
Corte hanno affermato il principio per cui il nuovo testo
dell’art. 360, primo coma, n. 5, cod. proc. civ.,
introdotto dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83,

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n. 89 del 2001; contestuale violazione e mancata

conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere
interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 dalle preleggi, come «riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla

l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di
legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio
risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia
si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella

“motivazione perplessa ed

obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione»(Cass., S.U., n. 8053 del 2014);
che, nella specie, avendo la Corte d’appello, sia pure
succintamente, evidenziato il comportamento delle parti,
quale causa dei rinvii specificamente menzionati nel
provvedimento impugnato, e stimato la durata ragionevole
della causa in sei anni per due gradi di giudizio, con uno
scostamento assai contenuto dagli ordinari criteri di
determinazione della durata ragionevole dei giudizio di
primo e di secondo grado (cinque anni complessivi), si è,

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motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo

all’evidenza, al di fuori delle evenienze che consentono
il sindacato di questa Corte sulla motivazione dal
provvedimento impugnato;
che il terzo motivo è infondato;

in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che
la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha fatto
applicazione del criterio ordinario di liquidazione del
pregiudizio non patrimoniale derivante dalla durata
irragionevole del • giudizio presupposto (Cass. 18617 del

-6-

che, infatti, se è vero che il giudice nazionale deva,

2010; Casa. 17922 del 2010), e non vi è quindi spazio
alcuno per sostenere la denunciata violazione di legge;
che, in conclusione, il ricorso va rigettato, con
conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del

giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo;
che, risultando dagli atti del giudizio che il
procedimento in esame è considerato esente dal pagamento
del contributo unificato, non si deve far luogo alla
dichiarazione di cui al comma 1-quater dell’art. 13 del
testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della

legge

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dicembre 2012, n. 228.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che
liquida

in

euro 500,00 per compensi, oltre alle spese

prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

principio della soccombenza, al pagamento delle spese del

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