Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17699 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. III, 29/08/2011, (ud. 15/07/2011, dep. 29/08/2011), n.17699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18242/2009 proposto da:

ALLIANZ SPA (OMISSIS) (già Allianz Subalpina S.p.A.), in persona

della Dott.ssa P.E. e dell’Avv. G.A.,

dirigenti e legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVUOR 17, presso lo studio dell’avvocato

ROMA Michele, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRIGNANI ALDO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

A.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 331/2009 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

Sezione Civile, emessa il 10/03/2009, depositata il 23/03/2009;

R.G.N. 1599/2007.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/07/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato FRIGNANI ALDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Con sentenza del 23 marzo 2009 resa in unico grado la Corte di appello di Salerno ha condannato la s.p.a. Allianz Assicurazioni a pagare a A.S. la somma di Euro 226,52, oltre rivalutazione monetaria e interessi, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni proposta da quest’ultima ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, per violazione da parte della compagnia assicuratrice delle norme a tutela della concorrenza, come accertato con provvedimento sanzionatorio 28 luglio 2000 n. 8546 dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM).

p.2. La Corte di appello di Salerno ha desunto la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale dal citato provvedimento dell’AGCM n 8546/2000, il quale ha inflitto una sanzione ad un largo numero di società assicuratrici, fra cui l’odierna ricorrente, per avere posto in essere un’intesa orizzontale, nella forma di una pratica concordata, consistente nello scambio sistematico di informazioni commerciali sensibili tra imprese concorrenti, con riferimento alle polizze di RCA. L’Autorità garante ha altresì rilevato che detta pratica ha comportato un notevole incremento dei premi, nel periodo interessato dal comportamento illecito (anni 1994-2000), con riferimento sia al livello in vigore prima del 1994, anteriormente alla liberalizzazione delle tariffe; sia alla media dei premi sul mercato europeo, che è risultata inferiore di circa il 20% rispetto a quelli praticati in Italia.

La sentenza impugnata ha quantificato il danno subito dall’assicurata in misura corrispondente alla suddetta percentuale, affermando che la compagnia assicuratrice – a suo tempo partecipe dell’illecita intesa – non ha fornito alcuna prova idonea ad escludere il nesso causale fra l’illecito anticoncorrenziale e il suddetto incremento del premio.

p.3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Allianz sulla base di quattro motivi.

L’intimata non ha resistito.

p.3.1. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “Mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e conseguente nullità del procedimento (art. 360, comma 1, n. 4)”.

Vi si lamenta che la Corte di appello abbia omesso di prendere in esame le eccezioni della ricorrente, cioè le deduzioni e la relativa documentazione, circa il fatto che il premio praticato alla cliente non era stato frutto del comportamento anticoncorrenziale, ma era dipeso da una serie di cause esterne, che avevano comportato un notevole incremento dei costi per le compagnie assicuratrici, fra cui: le truffe in loro danno; l’incremento della litigiosità; il lievitare dei risarcimenti a causa dei nuovi criteri di quantificazione del danno biologico; l’incidenza delle imposte, l’adeguamento delle riserve sinistri imposto in sede comunitaria; il livello di inflazione in vigore in Italia e le forti passività che connotavano la situazione economica delle compagnie assicuratrici alla vigilia della privatizzazione del 1994.

Tali elementi erano stati richiamati dalla Allianz nella comparsa di risposta ed a dimostrazione vengono riprodotti ampi brani di essa contenenti le relative allegazioni.

Si specifica, quindi, che a dimostrazione di tali assunti sarebbero stati prodotti:

a) un parere redatto dall’ISVAP, su richiesta dell’AGCM, del quale si trascrivono ampi brani;

b) il Provvedimento 17 aprile 2003 n. 11891, con cui l’AGCM dispose la chiusura di un’indagine conoscitiva sul settore, avviata nel 1996, avendo accertato che la struttura del mercato assicurativo in Italia presentava aspetti che di per sè spiegavano l’incremento delle tariffe, fra cui la massiccia presenza di relazioni verticali di esclusiva nel settore della distribuzione (reti di agenti monomandatari), che incrementava i costi di ricerca da parte del consumatore delle polizze più vantaggiose e ostacolava l’ingresso sul mercato di nuovi operatori; e la mancanza (all’epoca) di modalità di indennizzo diretto, idonee a limitare i costi di liquidazione dei sinistri;

c) la relazione del Parlamento italiano alla L. 12 dicembre 2002, n. 273, che aveva parimenti individuato fra i fattori di costo delle polizze assicurative le truffe ai danni delle assicurazioni; la difficoltà di garantire un’adeguata informazione dei consumatori, anche tramite la pubblicità via internet, ed altre circostanze diverse dal comportamento illecito contestato dall’AGCM. Si sostiene, quindi, che la Corte di appello, omettendo di considerare le allegazioni di fatto in questione (che nel quesito vengono qualificate eccezioni) e le correlate deduzioni documentali probatorie, sarebbe pervenuta a ravvisare il danno nel solo fatto che Allianz ebbe a partecipare all’illecito concorrenziale, in violazione del principio enunciato da questa Corte nella sent. n. 2305 del 2007, secondo cui, nei casi simili a quello in esame, il danno non può essere ritenuto in re ipsa ed il giudice è tenuto a valutare gli elementi di prova offerti dall’assicuratore al fine di dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo.

p.1.1. Il motivo, per come proposto, è inidoneo ad integrare il vizio di violazione della norma del procedimento di cui all’art. 112 c.p.c..

Infatti, tale vizio – evocato dalla ricorrente sotto il profilo che la Corte territoriale, omettendo di considerare le deduzioni sopra riassunte, avrebbe omesso di esaminare eccezioni – risulta prospettato in modo assolutamente inidoneo ad essere ricondotto al paradigma normativo della citata norma.

Queste le ragioni.

p.1.2. Invero, l’art. 112 c.p.c., quando impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda e su tutte le eccezioni e non oltre di esse, pone in rilievo il concetto di “eccezione”, che, secondo la migliore opinione dottrinale si ricollega alla fattispecie dedotta in giudizio con la domanda evocando quei fatti, i quali sono considerati dalla fattispecie giuridica astratta come determinanti effetti estintivi, modificativi o impeditivi dell’efficacia di quelli delineati dalla stessa fattispecie come costitutivi della situazione giuridica soggettiva riconosciuta dalla fattispecie e che debbono essere prospettati con la domanda giudiziale. I detti fatti, in relazione alla vicenda concreta dedotta in giudizio e riguardo alla quale si postula la riconducibilità alla fattispecie astratta, sono fatti storici attraverso i quali il convenuto assume essersi verificata quella vicenda. Tali fatti, peraltro, proprio in quanto anch’essi trovano un referente normativo nella fattispecie giuridica astratta sono detti “principali” e, insieme ai fatti costitutivi non esauriscono i fatti storici che in una controversia civile possono essere introdotti in funzione del giudizio su di essa sollecitato.

Accanto ad essi, ma privi di collegamento con la fattispecie, perchè non riconducibili nè all’ambito dei fatti costitutivi nè all’ambito di quelli integratori delle eccezioni nel senso su indicato, vi sono altri fatti che possono utilmente essere introdotti nel giudizio e sono quelli che, secondo l’asserto delle parti possono svolgere un rilievo soltanto probatorio, in quanto se dimostrati, consentono di risalire, attraverso i ragionamenti presuntivi o il prudente apprezzamento giudicialc (frutto di applicazione di massime di comune esperienza) previsto in relazione al mezzo probatorio con cui sono stati dimostrati, alla conoscenza dei fatti principali. Tali fatti sono denominati “secondari”.

p.1.3. Ora, le circostanze su cui la ricorrente assume essersi verificata l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. – per la verità essa stessa dubitativamente, atteso che poi le ripropone subordinatamente con un secondo motivo a fondamento di un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – sono circostanze integratrici di fatti secondari, perchè non concernono alcun fatto estintivo, modificativo od impeditivo della fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento del danno da illecito concorrenziale fatto valere dalla parte attrice. Esse sono fatti secondari (più precisamente si tratta di fatti nel senso che è appunto un dato fattuale che le autorità o gli organismi ebbero a compiere certe valutazioni, perchè oggettivamente di valutazioni si tratta), il cui apprezzamento e la cui dimostrazione avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale – nella prospettazione della ricorrente – al convincimento della inesistenza del nesso causale fra l’intesa restrittiva sanzionata dalla competente autorità e il preteso danno lamentato dall’assicurato e, per converso, al convincimento dell’esistenza, viceversa, di un nesso causale fra altri fatti ed esso. E, particolarmente, della derivazione causale di quest’ultimo (cioè dell’aumento del premio) da una o da alcune di quelle circostanze indicate dalla Allianz nella comparsa e sopra riferite ed emergenti – come si è detto, in realtà, come valutazioni – dalla documentazione da essa prodotta.

p.1.4. Ebbene, il vizio derivante dall’omessa considerazione da parte del giudice di merito di fatti secondari dedotti dalla parte per dimostrare attraverso la loro prova per presunzioni o per il tramite del prudente apprezzamento del mezzo di prova diretto alla loro dimostrazione non è un vizio di inosservanza dell’art. 112 c.p.c., per quanto sopra si è detto, ma può integrare vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel senso che, se ricorrono gli estremi della decisività, cioè se la considerazione di essi avrebbe portato a ricostruire un fatto principale in modo diverso da come lo è stato oppure avrebbe portato ad evidenziare un fatto di tale genere che invece non è stato considerato, possono essere fatti valere come vizio ai sensi di quella norma. Si tratta di un’omessa considerazione di fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della quaestio facti in funzione della esatta qualificazione e sussunzione in iure della fattispecie.

Per quel che concerne i pretesi vizi derivanti dall’omessa considerazione di documenti o emergenze evidenziatrici di fatti secondari, parimenti se il giudice di merito non ha preso posizione sulla idoneità probatoria dei documenti e delle emergenze ma ha omesso di considerarli e, quindi, di apprezzare i fatti stessi, si ricade in quanto appena osservato, mentre se il giudice ha preso posizione su tale idoneità probatoria, si sarà in presenza di vizio di violazione della norma del procedimento regolatrice della efficacia probatoria del documento o della risultanza di cui trattasi.

Quanto appena osservato evidenzia l’infondatezza del primo motivo perchè le allegazioni con cui è stato svolto sono del tutto inidonee ad evidenziare il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c..

In proposito il Collegio sottolinea che le argomentazioni svolte a questo riguardo hanno trovato recentemente sistemazione in Cass. n. 12990 del 2009, secondo cui: “Il difetto di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione, rileva non solo se riguarda un fatto principale, ma anche quando riguarda un fatto secondario, dal quale si possa argomentare per concludere in ordine al fatto principale costitutivo, impeditivo, modificativo o estintivo del diritto controverso, tenuto conto sia del nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 (il quale fa riferimento al “fatto controverso e decisivo per il giudizio”) sia dell’art. 111 Cost., comma 2 (che ha costituzionalizzato il principio del contraddittorio), da cui deriva il dovere del giudice (che può essere assolto anche con una pronuncia implicita) di prendere posizione su qualsiasi fatto che sia stato oggetto di specifica controversia tra le parti, indipendentemente dalla sua natura principale o secondaria. Infatti, quando ne è controversa l’esistenza, qualsiasi fatto viene in discussione come oggetto di prova e di giudizio, con la conseguenza che: 1) il disconoscimento della natura principale (costitutiva, impeditiva, modificativa o estintiva) del fatto controverso costituisce errore di qualificazione giuridica, censurabile ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3; 2) l’omessa considerazione di un fatto controverso che sia effettivamente principale può dar luogo a omessa pronuncia, censurabile ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4; 3) l’omessa considerazione di un fatto controverso che effettivamente non sia principale può dar luogo soltanto ad un vizio di motivazione, potendo essere considerata sempre implicita la pronuncia che lo riguarda”.

Il primo motivo dev’essere, dunque, rigettato.

p.2. Con un secondo motivo, avanzato – come s’è già rilevato – in via subordinata rispetto al primo e per il caso che questa Corte ritenesse che le circostanze fattuali e probatorie cui si è fatto riferimento nel primo motivo siano state implicitamente rigettate, la Allianz denuncia “omessa motivazione circa diversi fatti controversi e decisivi per il giudizio prospettati ed eccepiti dalla ricorrente, omessa valutazione delle prove prodotte dalla ricorrente (art. 360, comma 1, n. 5)” ed in buona sostanza lamenta che la Corte territoriale sia incorsa nel vizio di omessa motivazione per non avere considerato quei fatti e quelle risultanze probatorie che con il primo motivo si è ritenuto infondatamente di ricondurre al vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c..

Vi si sostiene che quei fatti sarebbero decisivi per il giudizio “perchè provano che l’aumento dei premi di polizza è dovuto a cause esterne alla volontà delle compagnie di assicurazione e che non esiste nessun collegamento eziologico tra il sanzionato scambio di informazioni e l’aumento dei premi. Le compagnie, infatti, avrebbero comunque dovuto aumentare i prezzi quanto meno per cercare di arginare le costanti perdite del settore RC Auto”. Detti fatti sarebbero idonei a spezzare la sequenza causale eventualmente ricollegabile all’intesa restrittiva o quantomeno ad evidenziare una situazione nella quale si sarebbe potuta ritenere l’incidenza causale dell’intesa, ma solo in concorso con essi, di modo che la ricorrente avrebbe dovuto rispondere solo di parte del danno. Invece, la Corte territoriale non avrebbe considerato nè l’una nè l’altra ipotesi.

Si adduce, poi, che le risultanze probatorie richiamate nel primo motivo sono state disconosciute da quella Corte per avere essa affermato che “la convenuta compagnia non ha formulato specifiche istanze istruttorie per dimostrare che l’entità del premio, nel caso concreto, non fosse nemmeno in minima parte, ascrivibile causalmente alla accertata intesa anticoncorrenziale”, ed avere, quindi, desunto che mancavano elementi per superare la presunzione di derivazione dell’aumento dalla intesa, asserendo che vi era “difetto di elementi specifici addotti o provati in contrario dalla convenuta”.

2.1. Il motivo è inammissibile, perchè articolato con una prospettazione che non è riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile al ricorso.

Infatti, sia sotto il profilo relativo all’omesso esame delle circostanze di fatto, sia sotto il profilo dell’omesso esame delle risultanze probatorie (che poi nella prospettazione della Allianz vedono il secondo servente rispetto al primo, perchè le risultanze probatorie non considerate sono quelle che dimostrerebbero i fatti, dei quali parimenti si è omessa la considerazione), l’illustrazione del motivo non si risolve nella denuncia di un’omissione motivazionale della Corte territoriale riguardo a “fatti controversi e decisivi per il giudizio”.

In particolare, l’illustrazione evidenzia fatti controversi aventi come s’è detto la natura di fatti secondari e, quindi, rilevanti in funzione probatoria, ma essi nè singolarmente considerati nè considerati nel loro complesso, assumono il valore della decisività ai sensi della norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

p.2.1. Queste le ragioni.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, espressa con riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. citato (e, quindi, con riferimento all’espressione “punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”: è sufficiente osservare che il “punto” nient’altro era che un fatto, mentre il riferimento alla prospettazione delle parti o alla rilevabilità d’ufficio evidenziava che si dovesse trattare di punto e, quindi, di fatto rilevante per la decisione; l’estremo della decisività era identico) il concetto di decisività evocato dalla norma si presta alla seguente definizione: “La nozione di punto decisivo della controversia, di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sotto un primo aspetto si correla al fatto sulla cui ricostruzione il vizio di motivazione avrebbe inciso ed implica che il vizio deve avere inciso sulla ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice all’individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e, quindi, di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto.

Sotto un secondo aspetto, la nozione di decisività concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa ricostruzione e, dunque, asserisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo, peraltro, necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa.

Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto decisivo fosse configurabile sol per il fatto che la circostanza di cui il giudice del merito ha omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione del fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile sol perchè su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi, in base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, si risolverebbe nell’investire la Corte di Cassazione del controllo sic et sempliciter dell’iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito” (Così Cass. n. 22979 del 2004, seguita da numerose conformi e nel cui solco si pone Cass. n. 12990 del 2009 già citata, quando ammette che il vizio di motivazione possa concernere anche i c.d.

fatti secondari, ma purchè effettivamente essi siano decisivi, perchè consentano da desumere quello principale).

Nel caso di specie nessuno dei fatti secondari prospettati dalla Allianz alla Corte di merito si presenta caratterizzato dalla forza propria della decisività nel secondo dei significati enunciati dal principio di diritto appena richiamato, giacchè detti fatti non sono in alcun modo idonei a giustificare che quella Corte, ove li avesse considerati, avrebbe dovuto sul piano logico pervenire necessariamente ad una conclusione favorevole alla Allianz circa la ricostruzione del fatto principale rilevante, costituito dall’essere dipeso l’ammontare del premio corrisposto dalla parte assicurata da causa diversa o da un concorso di cause diverse dall’incidenza dell’accertato illecito concorrenziale.

La stessa conclusione negativa va riferita ai fatti in questione, considerati in coacervo fra loro: anche qui, se pure essi fossero stati considerati, non sarebbero stati idonei a giustificare l’individuazione del suddetto fatto principale.

Si tratta di fatti, i quali, anche considerati in coacervo, possono al più evidenziare la possibilità che il premio pagato dalla parte assicurata possa essere dipeso da essi anzichè dall’incidenza dell’intesa.

E’ da rilevare che non si va la di là della possibilità e non si attinge nemmeno il grado della probabilità (lo si nota se si volesse seguire l’idea che la decisività possa essere apprezzata anche solo in termini di probabilità di un esisto ricostruttivo della quaestio facti diverso da quello del giudice di merito, che, dunque, è necessario sia verificato in concreto; nozione che si è visto disattesa dalla giurisprudenza della Corte), atteso che si tratta di elementi riferiti non al singolo rapporto assicurativo ma considerati nella documentazione prodotta dalla Allianz con riguardo al generico contesto del mercato assicurativo e, dunque, destinati in concreto a giuocare un rilievo del tutto ipotetico, che la documentazione è assolutamente inidoneo a provare.

Dunque, se anche i fatti secondari prospettati dalla Allianz fossero stati esaminati e se anche fossero state esaminate le risultanze probatorie che li evidenziavano, l’integrazione della motivazione – omessa su di essi – che ne sarebbe potuto derivare non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso da quello della motivazione enunciata – pur brevemente e con la detta omissione – dalla Corte salernitana.

E’ da rilevare che l’apprezzamento della decisività che qui si prospetta è del tutto conforme alla ricostruzione della fattispecie che si giudica sul piano degli oneri probatori affermata da questa Corte nel leading case di cui a Cass. n. 2305 del 2005, pure evocata dalla ricorrente (e che ha trovato identica eco in fattispecie riconducibile alla disciplina antitrusts in Cass. n. 3640 del 2009).

Questa decisione, infatti, ha affermato il seguente principio di diritto: “L’azione risarcitoria, proposta dall’assicurato – ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 2 (norme per la tutela della concorrenza e del mercato) – nei confronti dell’assicuratore che sia stato sottoposto a sanzione dall’Autorità garante per aver partecipato ad un’intesa anticoncorrenziale tende alla tutela dell’interesse giuridicamente protetto (dalla normativa comunitaria, dalla Costituzione e dalla legislazione nazionale) a godere dei benefici della libera competizione commerciale (interesse che può essere direttamente leso da comportamenti anticompetitivi posti in essere a monte dalle imprese), nonchè alla riparazione del danno ingiusto, consistente nell’aver pagato un premio di polizza superiore a quello che l’assicurato stesso avrebbe pagato in condizioni di libero mercato. In siffatta azione l’assicurato ha l’onere di allegare la polizza assicurativa contratta (quale condotta finale del preteso danneggiante) e l’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale (quale condotta preparatoria) e il giudice potrà desumere l’esistenza del nesso causale tra quest’ultima ed il danno lamentato anche attraverso criteri di alta probabilità logica o per il tramite di presunzioni, senza però omettere di valutare gli elementi di prova offerti dall’assicuratore che tenda a provare contro le presunzioni o a dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo. Accertata, dunque, l’esistenza di un danno risarcibile, il giudice potrà procedere in via equitativa alla relativa liquidazione, determinando l’importo risarcitorio in una percentuale del premio pagato, al netto delle imposte e degli oneri vari. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente il danno in relazione alla sanzione irrogata alla compagnia dall’Autorità Garante, definitivamente confermata dal giudice amministrativo, senza svolgere alcun accertamento, neanche mediante consulenza tecnica, in ordine ai fatti allegati dalla compagnia, al fine di verificare il nesso di causalità tra l’intesa e il danno e senza detrarre dal premio lordo le somme non incassate dall’assicuratore perchè relative a imposte e oneri)”.

Come emerge dal riferimento alla valutazione degli elementi di prova offerti dall’assicuratore che tenda a provare contro le presunzioni o a dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo, la situazione dell’impresa assicurativa che sia stata sanzionata per il noto illecito, detti elementi debbono possedere idoneità a dimostrare che il danno è dipeso in tutto od in parte da essi e, quindi, essendo il danno evento quello sofferto dall’assicurato per Soggettivo aumento del premio, l’idoneità de qua dev’essere apprezzata con riferimento al singolo rapporto e non come vorrebbe la Allianz sulla base di elementi relativi all’analisi del mercato assicurativo in genere.

Il secondo motivo non è in conclusione rispondente al paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e per tale ragione è inammissibile.

p.3. Con un terzo motivo, ci si duole di “violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e dei principi generali in materia di presunzioni semplici (art. 360, comma 1, n. 3) e si sostiene, con una prima censura, che la Corte territoriale avrebbe fatto inammissibile applicazione del principio praesumptio de praesumpto non admittitur, cioè avrebbe applicato una presunzione basata su altra presunzione: ciò, là dove la fattispecie di causazione del danno per effetto dell’illecito concorrenziale in capo al singolo assicurato sarebbe stata desunta con un ragionamento probabilistico dalla presunzione che l’intesa potesse avere influito in danno di tutti gli assicurati.

Con altra subordinata censura, si assume comunque che il ragionamento presuntivo di secondo grado sarebbe anche privo dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.

p.3.1. Entrambe le censure sono inammissibili perchè non trovano rispondenza nella pur scarna motivazione della sentenza impugnata.

Essa, dopo avere espressamente richiamato il principio di diritto affermato da questa Corte con la citata sentenza n. 2305 del 2007 ed averlo assunto come criterio sulla base del quale decidere, ha testualmente enunciato quanto segue: “In applicazione di tali principi al caso di specie, la convenuta compagnia non ha formulato specifiche istanze istruttorie per dimostrare che l’entità del premio, nel caso concreto, non fosse nemmeno in minima parte, ascrivibile causalmente alla accertata intesa anticoncorrenziale; del resto, persino una istanza di consulenza tecnica – per scongiurare una natura esplorativa del mezzo di integrazione istruttoria in esame – avrebbe bisogno della specifica indicazione, da parte della convenuta, di quali momenti o fasi del complesso meccanismo di determinazione del premio finale andassero verificati e, soprattutto, in relazione a quali degli atti ritualmente acquisiti al processo o da acquisire nel rispetto delle norme che regolano l’istruttoria del processo civile ordinario, quale si atteggia quello in esame. In mancanza di elementi per superare la presunzione suddetta, allora, poichè la condotta illecita è stata in quanto tale accertata dalla competente Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato per il periodo 1994-2000, l’entità dei premi determinata dalle compagnie partecipanti all’illecita intesa, suscettibile di essere influenzata indebitamente da quest’ultima, è quella dei premi versati nel corrispondente periodo. Ne deriva che il danno deve darsi per esistente, con riferimento ai premi di cui si dia prova del pagamento nel periodo corrispondente a quello di vigenza dell’intesa anticoncorrenziale, come sopra ricostruito”.

Ora, questa motivazione costituisce puntuale applicazione in relazione allo svolgimento processuale di merito del principio di diritto affermato da Cass. n. 2305 del 2007, nel senso che la Corte salernitana ha considerato esattamente sussistente il nesso causale fra l’intesa e l’aumento del premio desumendolo dalla presunzione, cioè dalla valutazione probabilistica della normale conseguenza dell’intesa, proprio come affermato in quella decisione. Ed ha, quindi, constatato che gli elementi probatori proposti dall’Allianz non erano idonei a determinarne il superamento perchè privi sostanzialmente di specificazione circa il procedimento di determinazione del premio con riferimento al caso concreto. Che è proprio la condotta probatoria che secondo la citata sentenza la Allianz avrebbe dovuto tenere ed invocare, giusta quanto si è osservato riguardo al motivo precedente.

Ne deriva che la sentenza impugnata non è incorsa in alcuna violazione del principio di diritto affermato da questa Corte con il negare la ammissibilità della c.d. praesumptio de presumpio (Cass. n. 17535 del 2008; n. 5045 del 2002), perchè ha affermato la riconducibilità dell’aumento del premio all’intesa sotto il profilo causale dopo avere constatato che la Allianz non aveva assolto, seppure in via presuntiva, i suoi oneri probatori scaturenti dalla posizione probatoria determinatasi in capo al soggetto assicurato sulla base del ragionamento presuntivo legittimato da Cass., n. 2305 del 2007 e che qui, naturalmente si intende ribadire.

La Corte ha, in sostanza, dato rilievo ad una insufficienza della condotta probatoria della Allianz e, quindi, non ha applicato un’ulteriore presunzione, ma ha soltanto constatato che la Allianz non aveva regolato la sua condotta probatoria come la dinamica processuale ed il formarsi delle acquisizioni probatorie le imponeva.

In altri termini la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto per cui l’avere l’impresa assicuratrice partecipato all’intesa e l’essersi verificato un aumento del premio determinano una situazione per cui si deve presumere che l’aumento sia ricollegato totalmente o parzialmente alla partecipazione all’intesa e tale presunzione può essere superata dall’assicurazione attraverso la dimostrazione, con qualsiasi mezzo probatorio, ivi comprese le presunzioni, che in realtà nel caso concreto ciò non è accaduto.

La sentenza ha addebitato alla Allianz di avere fornito elementi del tutto inidonei a questo scopo – quelli sui quali si sono mossi il primo ed il secondo motivo e su cui insiste la ricorrente – perchè privi di riferimento al caso concreto.

Poichè la censura non coglie la ratio decidendi, essa è inammissibile sulla base del seguente principio di diritto: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4″ (Cass. n. 359 del 2005, seguito da numerose conformi).

p.3.2. Non avendo la Corte salernitana applicato l’ulteriore presunzione di secondo grado di cui ragiona la ricorrente, ma solo dato rilievo alla distribuzione dell’onere della prova nel concreto svolgimento processuale, anche la seconda censura è priva di pertinenza, là dove pretende di criticare la supposta esistenza dei requisiti in ime dell’inesistente presunzione. Onde anch’essa è inammissibile.

p.4. Con un quarto motivo si fa valere, in via subordinata rispetto al terzo motivo, “omessa motivazione circa diversi fatti controversi e decisivi per il giudizio, omessa valutazione delle prove prodotte dalla ricorrente (art. 360, comma 1, n. 5)”, sotto il profilo che la Corte territoriale avrebbe omesso “del tutto la motivazione per la quale le eccezioni sollevate dal ricorrente sulle reali cause che hanno comportato l’aumento dei premi di polizza non sarebbero, al pari dell’illecito antitrust, idonee prove contrarie rispetto alla mera prova presuntiva utilizzata dal Giudicante per affermare l’esistenza di un danno dall’intesa consistente nello scambio di informazioni in capo alla” assicurata.

In sostanza, si sostiene che “le stesse eccezioni e prove” invocate in precedenza e “le medesime argomentazioni” svolte nel secondo, se fossero state considerate avrebbero escluso la prova presuntiva applicata dalla Corte salernitana.

p.4.1. Anche questo motivo è inammissibile, perchè non tiene conto della effettiva motivazione della sentenza impugnata nei termini di cui si è detto a proposito del motivo precedente: ancora una volta intende tale motivazione come se avesse applicato una presunzione e non invece dato rilievo alla condotta probatoria della ricorrente.

p.5. Il Collegio ritiene opportuno a questo punto rilevare che questa Corte ha già avuto modo di decidere (si vedano, in particolare le recentissime Cass. n. 10211 e 10212 del 2011 e n. 13486 del 2011) ricorsi fra le stesse parti sostanzialmente dello stesso tenore contro sentenze della Corte salernitana, ed esaminando nel merito gli stessi motivi qui riproposti, li ha reputati infondati con argomenti che si fanno carico anche di quelli svolti dalla ricorrente nella memoria.

Ha affermato, in particolare, Cass. n. 13486 del 2011 – scrutinando proprio i quattro motivi che propone il ricorso che si esamina – quanto segue, che si riporta nel tenore letterale:

“4. In primo luogo:

4.1. i fatti accertati e le prove acquisite nel corso del procedimento concluso con il provvedimento dell’Autorità Garante, cui abbia preso parte l’odierna ricorrente, non sono nè più revocabili in dubbio, nè utilizzabili a fini e con senso diverso da quello attribuito nel provvedimento stesso; benchè l’accertamento stesso abbia avuto luogo in un procedimento svoltosi tra le imprese e l’Autorità Garante, deve ritenersi che la circostanza che il singolo utente o consumatore sia beneficiario della normativa in tema di concorrenza (per tutte, Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475) comporta pure, al fine di attribuire effettività alla tutela dei primi ed un senso alla stessa istituzione dell’Autorità Garante, la piena utilizzabilità da parte loro, una volta accertate condotte di violazione della normativa di settore posta anche a loro tutela, degli accertamenti conseguiti nel procedimento di cui pure non sono stati formalmente parte;

4.2. il ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico condotto dalla stessa Autorità Garante e poi in sede di giustizia amministrativa (tra le altre, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, v. Cass., ord. 22 febbraio 2010, n. 4261), pur non precludendo la facoltà, per la assicuratrice, di fornire la prova contraria (per tutte, v. Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305), impedisce che possano rimettersi in discussione proprio i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza, se non altro in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede (sulla fruibilità diretta, da parte dei singoli utenti o consumatori, delle relative decisioni, v., sia pure per profili anche in parte diversi, Cass. 5941/11 e 5942/11);

4.3. in applicazione di tale principio al caso di specie, si osserva che i fatti e le prove che la ricorrente lamenta essere stati illegittimamente pretermessi dalla Corte territoriale sono invece stati già adeguatamente valutati dall’AGCM e dai giudici amministrativi investiti dell’impugnativa del suo provvedimento;

sicchè quest’ultimo fornisce idonee basi presuntive per la ricostruzione sia della condotta dannosa che del danno e la danneggiante non fornisce prove o fatti nuovi, in quanto diversi da quelli già considerati appunto dall’AGCM, specificamente idonei ad escludere il nesso causale tra condotta illecita e danno;

4.4. quanto alla presunzione, va ribadito (come già si è espressa la richiamata Cass. n. 2305 del 2007) che l’assicurato che agisca in risarcimento dei danni ai sensi della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 33, ha il diritto di avvalersi della presunzione che il premio sia stato indebitamente aumentato per effetto del comportamento collusivo e che la misura dell’aumento (e quindi l’entità del danno da lui subito) non sia inferiore al livello medio del 20%: sia per effetto degli accertamenti compiuti dall’Autorità garante; sia in virtù del principio per cui, quando il fatto dannoso sia imputabile a più soggetti e non si possa ricostruire la misura in cui ognuno di essi abbia concorso a cagionare il danno, le colpe – quindi l’apporto causale di ognuno – si presumono uguali; e tanto argomentandosi dall’art. 2055 cod. civ., u.c., norma da ritenersi applicabile al caso in esame, in quanto l’illecito concorrenziale che si traduca in situazioni di svantaggio per i clienti nelle condizioni della contrattazione, può agevolmente qualificarsi come una fattispecie di responsabilità precontrattuale che – la si voglia assimilare alla responsabilità da illecito civile o da contratto – è comunque soggetta al principio di cui alla citata norma.

5. Orbene, come questa stessa Corte si è espressa in un recentissimo precedente specifico (Cass. 10 maggio 2011, n. 10212):

5.1. nell’analisi della situazione di mercato l’AGCM ha accertato che, in conseguenza di tali comportamenti fra il 1994 ed il 2000 i premi sono aumentati del 96,55% (par. 70 provv. 8546/2000) e del 63% rispetto alla media europea; e che, se nel medesimo periodo i premi italiani per le polizze RcA avessero seguito incrementi analoghi a quelli della media degli altri Paesi europei, i consumatori avrebbero risparmiato L. settemila miliardi, nel solo 1999 (par. 76);

5.2. l’AGCM pertanto – pur avendo emesso condanna solo per la violazione della L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2 – ha altresì accertato chiaramente che l’illecita intesa si è tradotta in un danno economico di rilevante importo per la massa generalizzata degli utenti dei servizi assicurativi RcA, ed il suddetto accertamento ha costituito parte integrante della valutazione di illegittimità dello scambio di informazioni tra le imprese, che avrebbe potuto altrimenti essere ritenuto legittimo, in considerazione delle esigenze di reciproca informazione al fine della valutazione dei rischi;

p.5.3. il provvedimento sanzionatorio non ha accertato, cioè, il carattere potenzialmente lesivo dei benefici della concorrenza e degli interessi economici dei consumatori – come prospettato dalla ricorrente – ma anche il fatto che tale comportamento ha prodotto un’ingente e ingiustificata lievitazione dei premi, sul mercato italiano delle polizze RcA;

5.4. ciò che è rimasto incerto ed a cui la giurisprudenza di questa Corte ha fatto riferimento, menzionando il carattere solo potenzialmente lesivo dell’illecito concorrenziale, è la concreta e specifica misura in cui ognuna delle singole imprese sanzionate ha finito con il contribuire, con il suo comportamento e nei rapporti con i suoi assicurati, all’indebita lievitazione dei premi, poichè l’accertamento dell’AGCM ha fatto riferimento ai livelli soltanto medi dei premi europei ed al livello – del pari – medio degli aumenti in Italia, ma poco o nulla specifica circa la misura in cui ogni singola impresa abbia effettivamente tradotto le informazioni acquisite tramite il comportamento collusivo nell’incremento dei premi praticati alla propria clientela.

6. In tale contesto (in questi termini v. sempre la citata Cass. n. 10212 del 2011):

6.1. la già riconosciuta facoltà della compagnia assicuratrice convenuta in risarcimento del danno, di fornire la prova contraria alla suddetta presunzione di responsabilità in ordine alla sussistenza del nesso causale fra l’illecito concorrenziale e il danno ed all’entità del danno medesimo, non può avere ad oggetto circostanze attinenti alla situazione generale del mercato assicurativo – quanto ai costi gravanti su tutte le imprese a causa delle truffe, degli adeguamenti imposti dalle Direttive comunitarie, ecc. – ed in particolare le medesime circostanze e prove (o elementi di prova) che l’AGCM ha già tenuto presenti nel formulare il suo giudizio e che ha ritenuto irrilevanti al fine di escludere il collegamento fra i comportamenti collusivi e la lievitazione dei premi;

6.2. la stessa AGCM ha infatti tenuto conto dei dati di costo e di settore esposti dalle imprese e riassunti nei pareri ISVAP o nelle altre difese analoghe, ma ha comunque rilevato che il comportamento collusivo ha impedito che le imprese stesse fossero motivate ad operare in modo da ridurre i loro costi per potere ridurre i prezzi (ciò che rientra tra i benefici effetti di un libero mercato concorrenziale: cfr. parr. 77, 78, 240, 259 ss., 263 del provvedimento dell’AGCM, sul punto – e per quel che qui rileva, confermato dal Consiglio di Stato), mentre bene è stato osservato che neppure la necessità di recuperare il passivo accumulato nel precedente periodo di tariffe amministrate o comunque la circostanza dell’operatività in perdita del settore non giustificano comportamenti collusivi, poichè questi trasferiscono sui consumatori, in misura maggiore rispetto a quella che il corretto comportamento commerciale consentirebbe, perdite che il settore imprenditoriale bene o male recupera, o che ritiene comunque vantaggioso affrontare;

6.3. in particolare, i dati contenuti nel parere dell’ISVAP sono stati già sottoposti all’esame dell’AGCM, che li ha ritenuti inidonei ad escludere sia il comportamento collusivo, sia gli effetti dannosi che ne sono derivati in termini di incremento dei prezzi per i consumatori (cfr. parr. 192 ss.); con l’ulteriore specificazione che le perdite denunciate dalle compagnie assicuratrici sono anche effetto di inefficienze produttive e del mancato controllo dei costi, conseguente alla violazione delle regole della concorrenza (par. 255 ult. cpv. e par. 263);

6.4. proprio sulla base degli elementi prodotti dalla ricorrente può concludersi (ancora una volta, v. Cass. 10212 del 2011) per l’abnormità dell’incremento dei premi assicurativi in Italia dopo il 1994 e per l’anomalia del mercato italiano nel contesto dei Paesi UE, sebbene in questi Paesi sia in vigore la medesima normativa comunitaria, siano presenti le stesse problematiche tipiche dell’industria RcA (lotta alle frodi, criteri di risarcimento del danno biologico, costo dei ricambi e delle riparazioni) e l’imposizione fiscale in Italia non sia eccessiva rispetto a quella rilevata altrove (cfr. per esempio parr. 6, 6.2, 7.2): e può ascriversi “l’anomalia italiana” al mancato funzionamento del sistema concorrenziale, per cui gli aumenti dei costi vengono trasferiti integralmente sui premi, senza che vi sia alcuna pressione per il contenimento dei costi medesimi e per la razionalizzazione dell’attività (quali ad esempio i fattori di costo inerenti al sistema di distribuzione tramite agenti monomandatari, che sono frutto di scelte delle stesse imprese).

7. Di conseguenza, correttamente la documentazione prodotta dalla ricorrente al fine di contestare la sussistenza del nesso causale è stata ritenuta irrilevante dalla sentenza in questa sede impugnata e (come si esprime la già citata Cass. n. 10212 del 2011):

7.1. la Corte di appello, con sintetica motivazione, ha respinto le argomentazioni e le prove dedotte dalla ricorrente, ritenendole inidonee a dimostrare che l’entità del premio, nel caso concreto, non fosse nemmeno in minima parte ascrivibile causalmente all’accertata intesa anticoncorrenziale, puntualizzando che l’istanza di consulenza tecnica avrebbe richiesto la specifica indicazione di quali momenti o fasi del complesso meccanismo di determinazione del premio finale andassero verificati;

7.2. in tal modo, applicando adeguatamente i principi generali desumibili dall’art. 2055 cod. civ., in ordine all’irrilevanza – nei confronti del danneggiato – della concreta misura dell’apporto causale del singolo danneggiarne, la Corte salernitana si è correttamente uniformata al principio per cui la prova dell’insussistenza del nesso causale non può essere tratta da considerazioni di carattere generale attinenti ai dati che influiscono sulla formazione dei premi nel mercato generale delle polizze assicurative, ma deve riguardare situazioni e comportamenti che siano specifici dell’impresa interessata;

7.3. per vincere la presunzione fondata idoneamente sul richiamato provvedimento dell’AGCM e sugli accertamenti e le valutazioni dei medesimi fatti già svolti ed espletate in quella sede (idonei a dimostrare che il premio applicato in polizza all’assicurato, nel periodo in cui la compagnia è stata ritenuta partecipe del comportamento collusivo, è ingiustificatamente elevato, nella misura indicata), era cioè indispensabile fornire dati relativi alla singola impresa assicuratrice convenuta, al singolo assicurato od alla singola polizza;

7.4. occorreva, in particolare, che tali dati fossero tali da dimostrare che – nel caso oggetto di esame – il livello del premio non era stato determinato dalla partecipazione all’intesa illecita, ma da altri fattori: perchè, in ipotesi, la compagnia ebbe a discostarsi dal trend degli aumenti accertato in misura media dall’AGCM (circostanza da dimostrare tramite la documentazione relativa ai criteri da essa seguiti per la determinazione dei premi, ai dati di costo su di essa specificamente gravanti, ecc., nel periodo dell’illecito, rispetto a quello precedente o successivo); o perchè la compagnia versava in peculiari difficoltà economiche (desumibili però dalla comparazione dei propri stessi bilanci – in tal senso già Cass. 5941 e 5942 del 2011 – nella loro evoluzione diacronica), che hanno imposto determinate scelte di prezzo; o perchè il contratto copriva particolari rischi, normalmente non inclusi nella polizza, o si riferiva ad assicurati il cui comportamento era caratterizzato da abnorme sinistrosità; e così via;

7.5. pertanto, in difetto di idonei elementi di confutazione delle conclusioni cui legittimamente poteva pervenirsi in base alla normativa sulle presunzioni, correttamente questa è stata applicata al fine di ritenere fondata la prova dei fatti costitutivi addotti dal danneggiato a sostegno della sua domanda di risarcimento del danno.

8. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto in questa sede alcuna attività difensiva”.

5.1. I motivi proposti dalla ricorrente, dunque, al di là dei rilievi che in precedenza si sono svolti circa la loro inidoneità o inammissibilità, avrebbero dovuto ricevere risposta negativa ove fossero stati esaminabili nel merito.

6. Le argomentazioni svolte dalla motivazione qui enunciata in punto di inidoneità e/o inammissibilità dei motivi rendono prive di rilievo le deduzioni della memoria della ricorrente (ivi comprese quelle che evocano Cass. n. 9278 del 2009), che suppongono l’ammissibilità dei motivi e comunque la loro idoneità ad attingere i parametri normativi evocati con riguardo all’art. 360 c.p.c., mentre quelle svolte dalla motivazione dianzi riproposta sono anche idonee a rispondere alle critiche prospettate nella memoria a Cass. n. 5941 e 5942 del 2001, sempre emesse in ricorsi che vedevano come parte assicuratrice la Allianz, nonchè a superare Cass. n. 9278 del 2009.

7. Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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