Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17699 del 07/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 07/09/2016, (ud. 17/06/2016, dep. 07/09/2016), n.17699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5743-2013 proposto da:

COMUNITA’ MONTANA DEL PIAMBELLO già COMUNITA’ MONTANA DELLA

VALCERESIO (ex L.R. n. 19 del 2008 e D.P.R.L. 26 giugno 2009, n.

6500) c.f. (OMISSIS), in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 47, presso lo

studio dell’avvocato PIO CORTI, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE GIBILISCO;

– ricorrente –

contro

S.R., titolare dell’omonima azienda di costruzioni e

manutenzioni civili c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PIETRO GIANNONE 27, presso lo studio dell’avvocato

SIMONETTA CAPUTO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FABRIZIO BINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2991/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GIBILISCO, difensore della ricorrente, che

si è riportato agli atti depositati; udito l’Avvocato STEFANIA DI

PIETRO, con delega dell’Avvocato FABRIZIO BINI, difensore del

controricorrente, che si è riportato agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 Con sentenza n. 517/07 il Tribunale di Varese rigettò l’opposizione proposta da S.R. contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento della somma di Euro 9.000,00 emessa il 14.7.2005 nei suoi confronti dalla Comunità Montana della Valcerisio per violazione della L.R. n. 27 del 2004, art. 4, commi 4 e 7 (esecuzione di un disboscamento in violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione rilasciata dalla Comunità Montana con decreto 1416 del 28.7.2000, prescrizioni che prevedevano un rimboschimento compensativo entro 36 mesi per evitare eventuali danni di natura idrogeologica e forestale).

2 La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 11.9.2012, in accoglimento del gravame proposto dallo S., ha annullato l’ordinanza ingiunzione opposta rilevando:

– che i lavori di piantumazione dovevano essere portati a termine entro 36 mesi dalla pubblicazione del decreto autorizzativo del 28.7.2000 e pertanto la violazione doveva ritenersi consumata alla data del 28.7.2003;

– che alla suddetta data del 28.7.2003 era vigente la legge regionale n. 8/1976 richiamata nel decreto autorizzativo, successivamente abrogata dalla L.R. n. 27 del 2004, art. 24, comma 1, lett. b);

– che era evidente l’erroneità dell’ingiunzione di pagamento, per avere la Comunità Montana applicato retroattivamente una norma in assenza di specifica disposizione, e dunque in violazione dell’art. 11 preleggi nonchè del principio di legalità sancito dalla L. n. 689 del 1981, art. 1 mentre invece occorreva considerare la legge applicabile al momento della commissione della violazione e non già quello, del tutto occasionale, dell’accertamento;

– che la fondatezza della doglianza afferente la normativa applicabile assorbiva le residue censure.

3 Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Comunità Montana del Piambello (già Comunità Montana della Valcerisio) con due motivi a cui resiste con controricorso lo S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Col primo motivo si deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione a un fatto controverso. Secondo la tesi della ricorrente, la Corte d’Appello ha errato nell’individuare la data del fatto: innanzitutto, il termine di trentasei mesi decorreva dall’inizio dei lavori e non dalla pubblicazione del decreto di autorizzazione; la Corte di merito avrebbe poi errato a non considerare che l’accertamento era avvenuto l’8.2.2005 e che in quella sede era stato imposto un altro termine (15.4.2005). Altro errore sta nel non avere considerato che il rapporto era stato inviato dopo tale data (cioè il 6.5.2005) e che lo S. aveva omesso di eseguire la piantumazione dovuta anche nel secondo termine fissato dal Corpo Forestale in sede di accertamento. Ancora, la Corte d’Appello non ha considerato la natura permanente della violazione derivante dalla natura omissiva della stessa e dalla emendabilità (potendo essere realizzata anche dopo la contestazione). Secondo la ricorrente bisognava considerare la protrazione dell’illecito fino alla cessazione della condotta vietata o all’emanazione dell’ordinanza ingiunzione, come affermato dalla giurisprudenza civile e amministrativa di cui fornisce una serie di massime.

Il morivo è inammissibile.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “exactis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, v. Sez. 1, Sentenza n. 25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv. 606945 non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del 22/07/2005 Rv. 584872).

Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non risulta che fosse stata devoluta ai giudici di appello la specifica tematica della natura della violazione (se istantanea o permanente) e quindi della individuazione esatta della data della sua commissione, nè il ricorso offre utili elementi al riguardo, sicchè la Corte di Cassazione non ha elementi per ritenere che la questione fosse stata sollevata in appello.

2 Con il secondo motivo si denunzia violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, rilevandosi che la sentenza impugnata avrebbe violato anche il principio della “continuità normativa”: ad avviso della Comunità Montana, anche volendo ipotizzare una violazione di natura istantanea, sarebbe stata comunque legittima l’applicazione della sanzione prevista dalla L.R. n. 23 del 2004 che ha sostituito, in continuità normativa, la L.R. n. 8 del 1976, art. 27. Procede, anche in relazione a tale motivo, ad una elencazione di massime giurisprudenziali sul principio di continuità normativa.

2.1 Questo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile laddove, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, omette di indicare quale sarebbe la norma di diritto violata. Se comunque si volesse ritenere denunziata la violazione della disciplina della permanenza (applicabile anche agli illeciti amministrativi) ai fini della individuazione della data del commesso illecito, valgono le considerazioni sopra svolte sulla novità della questione e pertanto si rinvia a quanto già esposto.

2.2 La censura è invece infondata nella parte in cui denunzia la violazione del principio della “continuità normativa”.

Come già affermato da questa Corte, in tema di sanzioni amministrative, nell’ipotesi di continuità tra due sistemi normativi succedutisi nel tempo, sia con riguardo alle fattispecie sanzionatorie che alla tipologia ed alla misura delle sanzioni previste, l’irrogazione delle sanzioni in forza di una legge successiva, rispetto a quella applicabile “ratione temporis”, a cui il provvedimento sanzionatorio abbia fatto esplicito riferimento, non costituisce, dal punto di vista sostanziale, una violazione del principio generale di legalità di cui all’art. 25 Cost., recepito dalla L. n. 689 del 1981, art. 1 e secondo il quale “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Infatti, detto principio è rispettato quando sia verificabile, in concreto, la sostanziale identità, “in parte qua”, fra le leggi succedutesi nel tempo in ordine alla identità sia delle fattispecie applicabili sia delle sanzioni comminate per la loro violazione (v. Sez. 1, Sentenza n. 23705 del 21/12/2004 Rv. 576889).

Venendo al caso di specie, la situazione è ben diversa perchè non sussistono le condizioni per ravvisare una continuità normativa attesa la diversità del regime sanzionatorio previsto dai due sistemi normativi.

Ciò chiarito, è pacifico che allo S. era stata contestata la violazione della L.R. n. 27 del 2004 per non avere provveduto alla piantumazione compensativa prescritta nell’autorizzazione rilasciatagli con decreto n. 1416 del 28.7.2000 dalla Comunità Montana.

Come risulta dalla sentenza impugnata (pag. 5) il decreto autorizzativo richiama la L.R. n. 8 del 1976, art. 25 (come modificato dalla L.R. n. 80 del 1989, art. 19), prevedendo che i lavori di scavo con le relative prescrizioni dovranno essere portati a termine entro i successivi 36 mesi.

La sentenza impugnata ha dato altresì atto che la violazione risulta commessa in data 28.7.2003 (cioè dopo 36 mesi dalla pubblicazione del predetto decreto n. 1416).

Di conseguenza, in applicazione del principio di legalità fissato dalla L. n. 689 del 1981, art. 1 la sanzione applicabile al responsabile doveva essere quella prevista dalla legge all’epoca vigente, quindi la L.R. n. 8 del 1976 e non quella successivamente entrata in vigore, anche in virtù del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1.

La decisione della Corte d’Appello di Milano – che ha fatto corretta applicazione del principio di legalità e di quello della successione delle leggi nel tempo – si sottrae pertanto alla censura della ricorrente e va confermata.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la regola della soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Considerato che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2016

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