Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17697 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. III, 29/08/2011, (ud. 07/07/2011, dep. 29/08/2011), n.17697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

RFI RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante pro tempore ed intistitore Dott. M.

D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PINCIANA 25, presso

lo studio dell’avvocato VALERIO DI GRAVIO, che la rappresenta e

difende giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO PER IL SOSTENTAMENTO CLERO DELLA DIOCESI DI FIRENZE

(OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore Dott.

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BERTOLONI

37, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO CIOCIOLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato STOLZI PAOLO giusto mandato in atti;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO FIR.EM SOC. CONSORTILE A R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 962/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/06/2008, R.G.N. 1241/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2011 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito l’Avvocato ANDREA GRANZOTTO;

udito l’Avvocato PAOLO STOLZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel corso dei lavori di escavazione di una galleria eseguiti dalla Firem società consortile srl per conto delle Ferrovie dello Stato nell’ambito dell’ampliamento della linea ferroviaria Firenze-Empoli si manifestavano lesioni nel complesso della Chiesa di Santa Maria a Lamole, sito in località (OMISSIS).

Con denuncia di nuova opera l’Istituto per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Firenze, proprietario dell’immobile, chiedeva al Pretore di Firenze di ordinare la cessazione della attività di escavazione.

Il giudice adito, sulla base dell’accertamento tecnico disposto, inibiva l’attività fino a che non fossero state realizzate le opere di presidio a tutela del complesso immobiliare indicate dal nominato Ctu nella relazione depositata, assegnando il termine di 30 gg. Per l’inizio del giudizio di merito.

L’Istituto notificava, quindi, nel termine, atto di citazione alla Firem e alle Ferrovie dello Stato spa chiedendo, previa conferma del provvedimento interinale, la rimessione in pristino stato del complesso immobiliare e la condanna delle convenute al risarcimento dei danni. Costituitasi in giudizio la Firem veniva autorizzata a chiamare in garanzia una serie di compagnie assicuratrici (Assitalia, Unipol, Zurigo, Fata, Nuova Tirrena, Navale, Toro, Cattolica, Sai).

In corso di causa veniva espletata Ctu che riconduceva le lesioni riportate dall’immobile ad un errore di progettazione, quantificando il danno in L. 1.500.000.000 circa.

All’udienza del 23.6.98 il processo veniva dichiarato interrotto per l’intervenuto fallimento della Firem.

Riassunta la causa, la Curatela fallimentare eccepiva l’improcedibilità delle domande e l’incompetenza del giudice adito, sostenendo che a seguito del fallimento competente a conoscere qualsiasi controversia riguardante pretese creditorie nei confronti del fallito era il Tribunale fallimentare di Roma.

Comunicava altresì di aver raggiunto un accordo transattivo con le compagnie assicuratrici per la somma di L. 1.500.000.000.

Nel giudizio riassunto anche le Ferrovie si costituivano, eccependo il difetto di legittimazione passiva e l’infondatezza della domanda proposta dall’attore nei propri confronti.

Si costituivano anche le compagnie assicuratrici che, in considerazione della transazione intervenuta con la Firem, chiedevano di essere estromesse dal giudizio per cessata materia del contendere.

Con sentenza del 5.7.2002 il Tribunale di Firenze dichiarava improcedibili tutte le domande proposte contro la curatela fallimentare e contro le Ferrovie dello Stato spa dichiarando cessata la materia del contendere fra quest’ultima e le compagnie assicuratrici e compensando integralmente le spese.

Riteneva in particolare che la domanda dell’Istituto, avendo ad oggetto l’accertamento di un credito verso il fallito, doveva essere proposta al giudice delegato nelle forme previste dalla L. Fall., artt. 92 e ss. e che la improcedibilità riguardava anche la domanda svolta nei confronti delle Ferrovie per l’inscindibilità delle posizioni delle convenute che avrebbe potuto dar luogo a contraddittorietà di giudicati.

Riteneva, altresì, di non poter decidere in ordine al provvedimento interinale in quanto, essendo stato eseguito dalla Firem in bonis, ogni statuizione potrebbe teoricamente influire sullo stato passivo.

La sentenza è stata appellata dallo I.d.s.c..

Costituitisi la Rete Ferroviaria Italiana e il Fallimento, la Corte d’Appello di Firenze, con la decisione in esame depositata in data 20.6.2008, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermato il provvedimento interinale e previa separazione della domanda risarcitoria, proposta nei confronti del fallimento della Firem, confermata improcedibile, condannava Rete Ferroviaria Italiana a pagare, a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 774.168,80 con rivalutazioni e interessi, confermando nel resto l’impugnata decisione.

Affermava in particolare la Corte territoriale che: “sussiste indiscutibilmente il nesso di causa ad effetto tra i lavori in oggetto e le lesioni riscontrate nel complesso immobiliare della Chiesa”; quanto poi alle responsabilità soggettive, il Ctu, con il supporto di idonei elementi tecnici e con motivazione adeguata, esente da vizi di ordine logico, ha accertato che le lesioni al complesso edilizio vanno addebitate a gravi errori e carenze nella progettazione dell’opera appaltata; “anche a prescindere da tale indirizzo, nel caso di specie, le Ferrovie, non soltanto disponevano dei penetranti poteri di controllo e di ingerenza sopra visti, con corrispondente drastica riduzione dell’autonoma decisionale del concessionario-appaltatore, ma partecipavano attivamente attraverso l’Ufficio di Vigilanza alla vigilanza elaborazione dei progetti in stretta collaborazione con il concessionario e con l’approvazione formale degli elaborati progettuali, in assenza di indagine adeguate alla presenza della Chiesa nelle immediate adiacenze dello scavo della galleria e alle caratteristiche del terreno sui cui insisteva il complesso edilizio, hanno condiviso e fatto proprio l’errore il complesso edilizio, hanno condiviso e fatto proprio l’errore progettuale che sta alla base del danno procurato a terzi nella esecuzione dell’opera commissionata. Inadeguatezza, questa, del progetto che finisce anche con l’integrare una violazione delle regole di cautela dall’art. 2043 c.c., come tale comportante la corresponsabilità del committente in base ai criteri generali”.

Ricorre per cassazione la R.f.i. con tre motivi, e relativi quesiti, illustrati da memoria; resiste con controricorso l’Istituto intimato che ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce violazione delle norme sull’appalto ad evidenza pubblica nonchè delle regole sull’interpretazione del contratto ritenendosi erroneo l’addebito di responsabilità all’odierna ricorrente; si afferma in particolare che censurabile è la decisione impugnata laddove la Corte di merito sostiene che le norme sull’appalto ad evidenza pubblica non esimono mai da responsabilità l’ente committente dei lavori in forza dei poteri propri della Pubblica Amministrazione, omettendo di considerare che la R.f.i. è una s.p.a. privata. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione ai profili probatori della vicenda e all’errata ripartizione dei relativi oneri; si afferma che “la sentenza della Corte di Appello di Firenze merita di essere riformata anche nella parte in cui, senza che l’Istituto avesse fornito alcuna prova a sostegno dei propri assunti, ha statuito la responsabilità di R.f.i. per i danni lamentati da controparte”.

Con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione sul decisivo punto della “paternità” dei lavori appaltati; si afferma in particolare che è censurabile la decisione impugnata in ordine alla omessa valutazione della “paternità” del progetto dei lavori appaltati.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte censure.

Quanto al primo motivo si premette: la ratio deciderteli della impugnata decisione si fonda sulla considerazione che i lavori in questione sono stati eseguiti non solo sotto la diretta vigilanza e ingerenza delle Ferrovie ma in virtù di un progetto elaborato anche da queste ultime, tra l’altro, quale ente committente pubblico all’epoca dei lavori (risalenti sulla base convenzione stipulata tra l’allora Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato e il raggruppamento d’ imprese al quale faceva capo la Firem nel maggio 1984).

Osserva il collegio che non rilevante deve ritenersi, ai fini dell’accertamento della responsabilità in questione la natura pubblica o privata dell’Ente Ferrovie, pur risultando pacifico dagli atti di causa che all’epoca della progettazione dei lavori e della loro iniziale esecuzione l’Ente in questione non era ancora diventato una società per azioni a natura privatistica.

Ciò posto, va affermato che la responsabilità in tema di appalti di opere (nel caso di specie pubbliche) deve ascriversi al committente nelle ipotesi, quale quella in esame, in cui quest’ ultimo progetta l’opera ed esercita ampi poteri di indirizzo e sorveglianza nella relativa esecuzione; come sopra riportato la Corte di merito, sulla base di un compiuto esame delle risultante probatorie (tra cui la consulenza tecnica di ufficio) ha in particolare accertato che nella Convenzione erano previste sia che l’attività di progettazione del concessionario fosse assoggettata ad una costante sorveglianza da parte delle Ferrovie, con elaborazione del progetto definitivo in stretta collaborazione con l’Ufficio di Vigilanza (facente capo alle stesse Ferrovie), sia che l’Ente committente disponesse di estesi poteri di verifica degli elaborati progettuali, partecipando anche direttamente alla loro redazione, con condivisione dell’errore progettuale che è risultato essere alla base del danno procurato nella esecuzione dell’opera commissionata.

Quanto affermato trova del resto conferma nella giurisprudenza di questa Corte, sia con riferimento alla sussistenza della responsabilità civile anche a carico di Enti pubblici (pacifico è l’indirizzo giurisprudenziale, ad esempio, in tema di responsabilità della P.A. anche per danni causati da beni demaniali ex art. 2051 c.c., tra le altre, Cass. n. 15042/2008), sia riguardo alla individuazione della responsabilità del committente di appalti con riferimento non ad ipotesi astratte bensì in relazione al singolo caso concreto; su tale ultimo punto, inoltre, già questa Corte con la sentenza n. 13764/2007 ha, delimitando l’area di responsabilità dell’appaltatore, affermato quella “concorrente” del committente in ordine alla programmazione della scelta degli interventi finalizzati alla realizzazione dell’opera in caso di possibili deformazioni dell’opera stessa e di danni a terzi.

Inammissibili sono poi gli ulteriori profili di censura di cui al primo motivo in esame.

Innanzitutto, nel dedurre anche la violazione di norme in tema di interpretazione del contratto, il ricorrente non solo manca di specificità (si fa un generale e generico riferimento agli artt. 1362 ss. c.c.) ma non indica, in ossequio alla giurisprudenza di questa Corte, quali siano i principi ermeneutici non correttamente applicati e quali le ragioni delle dedotte violazioni sul punto;

inoltre si tende, pur deducendosi violazione di legge, a un non consentito riesame delle risultanze probatorie nella presente sede di legittimità e comunque non si indica, in relazione alla vicenda in oggetto, ove risulti errata la “ripartizione degli oneri probatori” di cui all’art. 2697 c.c.. In proposito giova ribadirsi quanto già asserito da questa Corte (tra le altre, n. 4178/2007), secondo cui l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura riguardante la violazione di canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza.

In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra.

Patimenti infondati sono il secondo e terzo motivo in quanto tendenti a un riesame degli elementi probatori e dei dati della consulenza tecnica di ufficio.

In particolare privo di pregio è l’asserzione del ricorrente (di cui al secondo motivo) secondo cui “nella vicenda che ci occupa, la Corte di appello di Firenze ha condannato la società esponente al risarcimento dei danni lamentati dall’Istituto senza che fosse stata raggiunta alcuna prova …”, in quanto, come del resto già sopra esposto, la Corte di Firenze ha, dopo aver accertato l’incidenza della R.f.i. sui i lavori in questione in conclusione statuito che “stando così le cose, ritiene la Corte che le Ferrovie debbano essere ritenute corresponsabili del danno arrecato alla proprietà dell’attore.” Deve, infine, aggiungersi che la decisione impugnata sui punti oggetto di censura ha ampiamente e logicamente motivato, affermando testualmente, tra l’altro, che “le Ferrovie, non soltanto disponevano dei penetranti poteri di controllo e di ingerenza sopra visti, con corrispondente drastica riduzione dell’autonomia decisionale del concessionario-appaltatore, ma partecipavano attivamente attraverso l’Ufficio di Vigilanza alla elaborazione dei progetti in stretta collaborazione con il concessionario e con l’approvazione degli elaborati progettuali, in assenza di indagini adeguate alla presenza della Chiesa nelle immediate adiacenze dello scavo di galleria e alle caratteristiche del terreno su cui insisteva il complesso edilizio, hanno condiviso e fatto proprio l’errore progettuale che sta alla base del danno procurato a terzi nella esecuzione dell’opera commissionata. Inadeguatezza, questa, del progetto che definisce anche con l’integrare una violazione delle regole di cautela nascenti dall’art. 2043 c.c., come tale comportare la corresponsabilità del committente in base ai criteri generali”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente in favore dell’Istituto al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 12.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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