Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17695 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/07/2017, (ud. 10/05/2017, dep.17/07/2017),  n. 17695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29142-2015 proposto da:

AZIENDA AGRICOLA F. DI F.E. & C., – P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 98 E, presso lo

studio dell’avvocato GUIDO LENZA, rappresentata e difesa

dall’avvocato FORTUNATO MARCELLO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante in proprio e quale

procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A. – C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARLA 29, presso la sede

dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO

SGROI, LELIO MARITATO ed EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A., EQUITALLA POLIS S.P.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 513/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 03/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 3.6.2015, la Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale in sede di rigetto dell’opposizione proposta dall’Azienda Agricola F. di F.E. & C. avverso il verbale ispettivo del 25.3.2008 con il quale era stato alla stessa contestato che le attività agricole esercitate non erano riconducibili ad un contratto di appalto, bensì ad un’ipotesi di somministrazione di manodopera, nonchè avverso cartella esattoriale con la quale era stato intimato il pagamento di Euro 65.720,91 a titolo di contributi a carico dei datori di lavoro agricolo;

che la Corte territoriale, per quel che rileva nella presente sede, ha considerato quanto rilevabile dal verbale suddetto, dal quale era dato evincere la carenza di autorizzazioni della cooperativa Sinergie Agricole, la mancata redazione di un contratto di somministrazione, l’eccedenza dei limiti quantitativi e la mancanza di contratto di fornitura, nonchè le dichiarazioni allegate rese dal F., elementi rispetto ai quali i contrari assunti dell’Azienda ricorrente non avevano trovato supporto probatorio;

che si evidenziava che il lavoro degli operai agricoli era svolto alle direttive esclusive dei titolari dell’azienda F., che mettevano a disposizione le attrezzature di lavoro, laddove la cooperativa era priva di struttura organizzativa propria, così come nel contratto di appalto non erano indicate le quantità del personale da utilizzare, nè le prestazioni da effettuare, essendo le stesse subordinate alle necessità indicate periodicamente da F.E.;

che, per la cassazione della decisione, ricorre l’Azienda, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS, in proprio e nella qualità indicata, mentre Equitalia Polis spa è rimasta intimata;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale l’INPS ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1.1. che, con il primo motivo, viene dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevandosi che la Corte del merito aveva attribuito valore probatorio alle dichiarazioni rese dinanzi agli ispettori dal F. e richiamato analogo valore probatorio precostituito dei verbali ispettivi, laddove l’appellante aveva contestato le dichiarazioni e documentalmente provato la sussistenza di idoneo contratto di appalto;

1.2. che, con il secondo motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento al rapporto ispettivo, per non aver l’INPS, oneratone, provato i fatti costitutivi della pretesa, tenuto conto del valore attribuibile ai verbali ispettivi;

1.3. che, con il terzo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 81 del 2006, art. 1, comma 2, in relazione alla mancata applicazione del diritto al beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali ovvero alla riduzione nella misura del 68% della pretesa contributiva, spettando gli stessi in relazione agli elementi di fatto indicati, al di là della specifica indicazione delle norme di diritto asseritamente violate;

2.1. che il primo motivo è inammissibile;

che invero è di tutta evidenza che, anche con una intitolazione del motivo non confottne al testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formnulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito in L. n. 134 del 2012, si critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque si denunzia un caratteristico vizio motivazionale, o, comunque, si richiamano principi la cui violazione è più propriamente fatto oggetto del secondo motivo di impugnazione, che attiene specificamente a violazione di norme di diritto;

che il vizio di motivazione, in quanto tale, non è più censurabile (si veda Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sul) specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., art. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione);

che l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) e che, tuttavia, il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti;

che nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale, sicchè non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente;

2.2. che va dichiarata l’infondatezza del secondo motivo;

che al riguardo giova precisare che, secondo il più recente indirizzo di questa Corte, cui va prestata adesione (Cass. 2638/2014, Cass. n. 22862/2010; Cass. n. 12108/2010, in confoimità peraltro a Cass. n. 19762/2008) in tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorchè sia convenuto in giudizio di accertamento negativo; ne consegue che nel giudizio promosso da una società per l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo contributivo preteso dall’INPS sulla base di verbale ispettivo, incombe sull’Istituto previdenziale la prova dei fatti costitutivi del credito preteso, rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria. L’opposto indirizzo giurisprudenziale, per lungo tempo dominante, secondo cui l’onere della prova grava sul soggetto che agisce in giudizio (cfr. Cass. n. 11751/2004, n. 23229/2004, n. 2032/2006, n. 384/2007) non risulta, infatti, conforme alla regola fondamentale sulla distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.; aggrava ingiustificatamente la posizione di soggetti indotti o praticamente costretti a promuovere un’azione di accertamento negativo dalle circostanze e specificamente da iniziative stragiudiziali o giudiziali mediante strumenti particolarmente efficaci della controparte; non è effettivamente necessitato dalla finalità di prevenire azioni di accertamento non aventi oggettiva giustificazione; che, quanto all’art. 2697 c.c., l’affermazione secondo cui la dizione, dallo stesso utilizzata – “chi vuoi far valere un diritto in giudizio” implica che sia colui che prende l’iniziativa di introdurre il giudizio ad essere gravato dell’onere di “provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” contrasta innanzitutto con la stessa lettera della disposizione, poichè l’attore in accertamento negativo non fa valere il diritto oggetto dell’accertamento giudiziale, ma, al contrario, ne postula l’inesistenza, ed è invece il convenuto che virtualmente o concretamente fa valere tale diritto, essendo la parte controinteressata rispetto all’azione di accertamento negativo. Una considerazione complessiva delle regole di distribuzione dell’onere della prova di cui ai due commi dell’art. 2967 c.c., conferma che esse sono fondate non già sulla posizione della parte nel processo, ma sul criterio di natura sostanziale relativo al tipo di efficacia, rispetto al diritto oggetto del giudizio e all’interesse delle parti, dei fatti incidenti sul medesimo. Dare rilievo all’iniziativa processuale vuol dire, quindi, alterare in radice i criteri previsti dalla legge per la distribuzione dell’onere della prova, addossando al soggetto passivo del rapporto, in caso di accertamento negativo, l’onere della prova circa i fatti costitutivi del diritto e quindi imponendogli la prova di fatti negativi, astrattamente possibile ma spesso assai difficile (cfr. in tali termini Cass. n. 22862/2010; Cass. 4965/2012);

che, in ogni caso il principio generale di riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. deve essere contemperato con il principio di acquisizione probatoria, che trova fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto processo, con la conseguenza che anche il principio dispositivo delle prove – in forza del quale ogni parte è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione del medesimo – va inteso in modo differente, traducendosi nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito – da qualunque parte processuale provenga – con una valutazione non atomistica ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l’acquisizione della prova (cfr. Cass. 25.9.2013 n. 21909, Cass. 9.12.2014 n. 15480);

che correttamente il giudice dell’appello ha considerato onere dell’INPS provare la sussistenza del debito contributivo dell’Azienda e che, in conformità a tale principio, è stata condotta la valutazione del materiale probatorio, altrettanto validamente richiamandosi a fondamento del decisum il valore attribuibile al verbale ispettivo in applicazione del principio per il quale, in ordine alle circostanze apprese da terzi, i rapporti ispettivi redatti dai funzionari degli istituti previdenziali, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, per la loro natura hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una prova contraria qualora il rapporto sia in grado di esprimere ogni elemento da cui trae origine (cfr., in tali termini, Cass. 6.6.2012 n. 14965);

che il rapporto ispettivo (con riguardo alle informazioni apprese da terzi) resta un elemento che il giudice può valutare in concorso con gli altri elementi probatori e che, nel caso considerato, la Corte d’appello ha osservato che dalla semplice lettura del verbale di accertamento emergevano diversi elementi di convincimento in favore della esclusione della riconducibilità della fattispecie ai contratti di appalto ex art 1655 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 configurandosi, al contrario, un’ipotesi di somministrazione di lavoro ai sensi degli artt. 20-28 stesso D.Lgs., rimarcando i profili di diretto accertamento operato in sede ispettiva, che aveva evidenziato come la direzione del lavoro degli operati, la fornitura delle attrezzature di lavoro, la modulazione delle prestazioni lavorative erano direttamente riconducibili alla decisione, valutazione ed organizzazione produttiva dei committenti, così come non risultavano specifiche autorizzazione in capo alla Cooperativa, non dotata di struttura organizzativa autonoma, ed era emersa una eccedenza dei limiti quantitativi del personale “somministrato” secondo i parametri indicati nel ccnl di riferimento;

che anche l’asserita decadenza dalla prova dell’INPS non ha trovato alcun riscontro negli atti di causa, essendo, anzi, smentita da quanto riportato in sentenza, laddove, al contrario, si rileva la dichiarata decadenza dalla prova della ricorrente nella ricostruzione dei fatti processuali, non validamente censurata in parte qua dalla parte interessata;

2.3. che, quanto al terzo motivo, deve richiamarsi Cass. 9.5.2017 n. 11261, che ha ribadito il principio – cui deve darsi continuità – alla cui stregua grava sul datore di lavoro l’onere di provare le c.d. circostanze eccettuative, cioè le circostanze in base alle quali si ricadrebbe nell’ambito di una deroga rispetto all’onere contributivo ordinariamente previsto; che, pertanto, grava sull’impresa, che invochi il diritto al riconoscimento) di benefici (come gli sgravi etc.), la prova dell’inesistenza dei fatti negativi e il relativo onere può essere soddisfatto con la dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario ovvero mediante presunzioni da cui possa desumersi il fatto negativo (vedi Cass. 11261/17 cit., con i richiami, ivi contenuti, a Cass. 1 ottobre 2015, n. 19639; Cass. 16 aprile 2015, n. 7781; Cass. 22 ottobre 2014, n. 22381; Cass. 7 agosto 2012, n. 14205; Cass. 3 maggio 2012, n. 6671; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21898; Cass. 15 dicembre 2008, n. 29324); pertanto doveva essere l’azienda ad offrire la prova della sussistenza dei requisiti per beneficiare dell’agevolazione contributiva invocata e a contrastare l’assunto della inadempienza contributiva, costituente circostanza ostativa;

3. che, nella specie, il decisum della Corte territoriale è coerente con i principi giurisprudenziali richiamati e che, pertanto, in difformità rispetto alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile quanto al primo motivo ed infondato con riguardo agli altri due;

4. che le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo;

5. che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

dichiara l’inammissibilità del primo motivo e rigetta gli altri.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Nulla nei confronti della parte non costituita.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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