Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17691 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. II, 28/07/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 28/07/2010), n.17691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato TREVISI

Angelo per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, Piazza Prati degli Strozzi n. 26, presso lo

studio dell’Avvocato Filippo Bauzulli;

– ricorrente –

contro

A.C.; C.F.; M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 83/2004,

depositata in data 25 febbraio 2004.

Udita, la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23

giugno 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per il ricorrente, l’Avvocato Filippo Bauzulli con delega;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata nel settembre 1998, I.A. citava, dinnanzi al Tribunale di Lecce, C.F., A.C. e M.A. ed esponeva che aveva stipulato con i predetti quattro preliminari per l’acquisto di alcune zone di terreno site in Lecce; che i convenuti, pur avendo incassato il prezzo di L. 18.330.000, si erano sottratti all’impegno di trasferire i beni per atto pubblico; che con una precedente citazione aveva domandato l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre e in subordine aveva chiesto la risoluzione dei preliminari per inadempimento dei promittenti venditori; che l’adito Tribunale aveva rigettato tutte le domande sul presupposto che si vertesse in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione. Tanto premesso, l’attore chiedeva che venisse dichiarata la risoluzione dei preliminari per impossibilità sopravvenuta della prestazione e che i convenuti venissero condannati alla restituzione della somma pagata oltre agli interessi con decorrenza dalle singole rate, nonchè al pagamento di un corrispettivo per il mancato godimento dell’immobile.

Instauratosi il contraddittorio, non essendosi i convenuti opposti alla risoluzione dei preliminari ed avendo in corso di causa i medesimi restituito la somma percepita a titolo di prezzo, l’adito Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di restituzione del prezzo; condannava i convenuti al pagamento degli interessi legali dalla domanda; rigettava la domanda di pagamento del corrispettivo per il mancato godimento dei beni e compensava le spese.

Proponeva gravame lo I. e, nella resistenza degli appellati, la Corte d’appello di Lecce, con sentenza depositata il 25 febbraio 2004, rigettava l’appello.

La Corte rilevava che la sentenza del 1997, con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di risoluzione per inadempimento escludendo il colpevole inadempimento dei promittenti venditori e ritenendo che nella specie si vertesse in ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione,era passata in giudicato; che era quindi preclusa la possibilità di riesaminare la controversia sotto tale profilo; che si era formato il giudicato anche sulla statuizione di cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di risoluzione dei preliminari per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Da qui la conseguenza che l’appellante non poteva pretendere un corrispettivo per il mancato godimento delle aree oggetto dei preliminari; domanda, questa, che era peraltro rimasta non provata.

Quanto alla questione degli interessi sulla somma restituita e della loro decorrenza dai singoli versamenti invece che dalla domanda, come disposto dal Tribunale, la Corte d’appello rilevava che la buona fede dell’accipiens si presume e che l’appellante non aveva provato la mala fede dei promittenti venditori avuto riguardo al tempo dell’avvenuto pagamento. Escludeva poi che gli interessi potessero decorrere dalla precedente domanda di risoluzione per inadempimento, attesa la diversità di causa, petendi e di petitum delle proposte domande.

Rilevata poi la novità dell’azione di indebito arricchimento proposta per la prima volta in appello, la Corte riteneva che la valutazione discrezionale del Tribunale in ordine alla compensazione delle spese non meritasse censura, e compensava altresì le spese del giudizio di appello.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso I. A. sulla base di due motivi; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 1463 e 2033 cod. civ., nonchè vizio di motivazione.

Il ricorrente, ricordato che i promittenti venditori non avevano adempiuto all’impegno assunto di procedere alla stipula dei contratti definitivi, sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel confermare, quanto agli interessi, la decorrenza degli stessi dalla domanda, già stabilita dal Tribunale, giacchè avrebbe fatto un’applicazione del concetto di buona fede non esatta, atteso che ai fini della decorrenza degli interessi ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., rileverebbe una nozione di buona fede in senso soggettivo, coincidente con l’ignoranza dell’effettiva situazione giuridica in conseguenza di un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non essendo applicabile la disposizione dettata dall’art. 1147, comma 2, in riferimento alla buona fede nel possesso.

Nella specie, osserva il ricorrente, i promittenti venditori erano al corrente, sin dalla redazione dei preliminari, che le aree non potevano essere trasferite, difettando il piano di lottizzazione; la Corte d’appello, quindi, avrebbe dovuto escludere la buona fede dei promittenti venditori, i quali, in una siffatta situazione, avevano anche percepito l’intero prezzo pattuito.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

E’ infondato, atteso che la Corte d’appello ha valutato la situazione di fatto e ha ritenuto non provata la mala fede dei promittenti venditori. La Corte d’appello ha poi osservato che doveva ritenersi formato il giudicato sul rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento dei promittenti venditori, essendosi ritenuta sussistente una ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione; ha quindi affermato l’esistenza di un giudicato esterno, vincolante tra le partir circa l’insussistenza del colpevole inadempimento dei promittenti venditori. In tale contesto, la pretesa del ricorrente di affermare che comunque i promittenti venditori sarebbero stati consapevoli della impossibilità di adempiere all’obbligazione di trasferimento assunta con i preliminari appare contrastare con la accertata diversa ipotesi di risoluzione del medesimo rapporto.

Il motivo è poi inammissibile laddove censura la sentenza impugnata per avere ritenuto insussistente la mala fede, omettendo di considerare la documentazione versata in atti, giacchè nel ricorso non vengono riprodotti i documenti del mancato esame dei quali il ricorrente si duole.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia, da un lato, ritenuto non provata la mala fede dei promittenti venditori, e, dall’altro, omesso di pronunciarsi sulla richiesta di ammissione dell’ interrogatorio formale degli appellati sulle seguenti circostanze: a) se vero che i convenuti erano consapevoli, sin dall’inizio, che le zone non potevano essere nè frazionate, nè oggetto di regolare rogito notarile per il trasferimento; b) se vero che essi incassarono, purtuttavia, le somme concordate a titolo di prezzo.

Il motivo è infondato.

Premesso che la Corte d’appello ha riproposto, nell’epigrafe della sentenza impugnata, la richiesta istruttoria dell’appellante di ammissione dell’interrogatorio formale deve ritenersi che tale istanza sia stata implicitamente rigettata dalla Corte, che la ha ritenuta irrilevante ai fini della decisione della causa. E una simile valutazione appare condivisibile, atteso che la circostanza sub b) è stata pacificamente data per accertata nel corso del giudizio e la circostanza sub a), oltre ad essere formulata in termini generici, si risolve nella sollecitazione delle parti a rispondere non già su fatti, ma su valutazioni giuridiche, e risulta quindi del tutto inidonea a spostare l’accertamento delle risultanze istruttorie a favore dell’assunto del ricorrente.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

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