Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17690 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. III, 29/08/2011, (ud. 28/06/2011, dep. 29/08/2011), n.17690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.N. (OMISSIS), considerato domiciliato “ex

lege” in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato PIEMONTESE PAOLO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SILVERSTAR SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, Ing. S.M., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DE’ CESTARI 34, presso lo studio dell’avvocato VALENTINO

GIUSEPPE, rappresentata e difesa dagli avvocati BONSANGUE RAFFAELLA,

FRANCO MUGNAI giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 880/2008 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE,

SEZIONE 1^ CIVILE, emessa il 28/03/2008, depositata il 03/06/2008;

R.G.N. 2254/2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2011 dal Consigliere Dott. GIACALONE Giovanni;

udito l’Avvocato PIEMONTESE PAOLO;

udito l’Avvocato BONSANGUE RAFFAELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1 – Con atto del 20 aprile 1995, la Silverstar s.r.l. ha convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, G.N., chiedendo che fosse pronunziata la risoluzione, per inadempimento di esso locatore, del contratto di locazione Inter partes con condanna del convenuto al risarcimento dei danni. Svoltasi, in contumacia del convenuto, l’istruttoria del caso, l’adito tribunale con sentenza 18 dicembre 1997 ha accolto la domanda e, per l’effetto, pronunziata la risoluzione del contratto, ha condannato il G. al risarcimento dei danni nonchè al rimborso delle spese di lite.

Gravata tale pronunzia dal soccombente G., che ha eccepito la nullità della notificazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, perchè eseguita nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c. a un indirizzo ((OMISSIS)) presso il quale esso concludente assumeva di non aver mai avuto la propria residenza nè anagrafica nè effettiva (risiedendo lo stesso, come da certificato esibito in (OMISSIS)), la Corte di appello di Firenze, nel contraddittorio della Silverstar s.r.l. che, da un lato ha eccepito la ritualità della notifica, atteso che in sede di stipulazione del contratto il G. aveva dichiarato di essere residente in (OMISSIS), e, in via incidentale ha chiesto la condanna dell’appellante al pagamento della somma di L. 13.500.000 a titolo di ripetizione dei canoni relativi al periodo gennaio – settembre 1994, in accoglimento della proposta impugnazione con sentenza 16 gennaio – 7 febbraio 2001 ha dichiarato la nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e ha rimesso la causa innanzi al predetto giudice, compensate le spese di entrambi i gradi. Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 13 aprile 2001, ha proposto ricorso la società, con atto 12 giugno 2001; il G. ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale, Con sentenza 17 febbraio 2005 n. 3262, a seguito di udienza di discussione svoltasi il 17 gennaio 2005, ha accolto il primo motivo del ricorso principale; dichiarati assorbiti il secondo motivo del ricorso principale nonchè il ricorso incidentale; ha cassato la sentenza allora impugnata e rinviato la causa, per nuovo esame e per le spese, a altra sezione della Corte di appello di Firenze. In particolare, secondo questa S.C., la Corte territoriale da un lato aveva privilegiato una circostanza assolutamente inconferente al fine del decidere (la corrispondenza intercorso tra il G. e l’Ufficiale giudiziario di Grosseto e dalla quale non poteva, palesemente, ricavarsi la prova che il G. avesse la propria residenza in (OMISSIS)) dall’altro aveva totalmente ignorato tutte le circostanze in atti, menzionate nella sentenza n. 32 62/05, omettendo di indicare, sia pure sinteticamente, le ragioni per cui non le riteneva idonee a dimostrare gli assunti della società, quanto all’effettiva dimora abituale del G., limitandosi ad alcune affermazioni totalmente apodittiche.

2 – Il G. propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze, giudice del rinvio, depositata il 3 giugno 2008, che, per quanto qui rileva ha: a. respinto le eccezioni preliminari del G. relative alla validità della procura “spesa” per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice di rinvio; b. rigettato gli appelli delle parti avverso l’originaria sentenza di primo grado, ritenendo compiutamente dimostrato il presupposto per l’esecuzione della notifica a norma dell’art. 140 c.p.c. dell’originario atto introduttivo. La società resiste con controricorso, in cui chiede il rigetto del ricorso. Tale atto si rivela inammissibile – come eccepito dal ricorrente nella memoria – in quanto notificato il 15 ottobre 2009, mentre il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso (avvenuta il 20 luglio 2008) è scaduto il 14 ottobre 2009.

3 – Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente ripropone le questioni relative alla validità della procura e, in particolare:

3.1. deducendo violazione degli artt. 83 e 75 c.p.c., chiede se sia ammissibile e legittima, o se non lo sia, la riassunzione del giudizio ex art. 392 c.p.c. da parte di una società che abbia mutato la propria denominazione e natura societaria, effettuata mediante citazione in cui parte attrice conferente nuovo mandato ad litem risulti la società con denominazione e ragione sociale precedente alla trasformazione;

3.2. deducendo violazione degli artt. 83,125, 161, 75 c.p.c., chiede se sia – o meno – valido il mandato ad litem conferito dal legale rappresentante di persona giuridica con firma illeggibile e senza che le generalità del legale rappresentante della persona giuridica sottoscrittore del mandato possano evincersi altrove.

3.3. Le censure sono entrambe infondate sotto ogni profilo. Quanto alla prima, la sentenza impugnata è in armonia con il consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui La trasformazione di una società da uno ad altro dei tipi previsti dalla legge non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro, in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo; con la conseguenza che la circostanza che nell’atto introduttivo dell’impugnazione sia stata indicata come parte istante la società con la denominazione anteriore alla trasformazione non è influente, quando, come anche nel caso di specie, questo fatto non implica una situazione d’incertezza sull’identificazione della parte stessa e l’impugnazione sia stata proposta da procuratore dotato di ius postulando per averne avuto il relativo potere dal legale rappresentante all’epoca abilitato a rilasciare la procura in nome e per conto della società (Cass. n. 13434/02; 2636/05; 26826/06;

3269/09). Peraltro, l’indicata incertezza non era prospettabile, considerato che il legale rappresentante della società era rimasto il medesimo prima e dopo la trasformazione dell’ente. Correttamente il giudice di rinvio ha anche respinto la seconda eccezione relativa alla validità della procura, oggetto del secondo motivo del presente ricorso, giacchè il nome e la qualità del sottoscrittore della procura ad litem era facilmente individuabile dal contesto e, in particolare, dall’intestazione dell’atto di citazione in riassunzione, conformemente anche qui a consolidato orientamento di questa S.C., dovendosi ribadire che l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell’atto (come avvenuto nella specie), ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese (Cass., Sez. Un., 7 marzo 2005, nn. 4810, 4811, 4812 e 4820).

A tale indirizzo (che ha confermato il precedente indirizzo di S.U. n. 1167/94, si è uniformata la giurisprudenza successiva (Cass. 11 novembre 2005, n. 22895; Cass. 16 gennaio 2006, n. 724; Cass. 18 aprile 2006, n. 8957; Cass. 31 maggio 2006, n. 13018; Cass. 12 gennaio 2007, n. 504; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2272; Cass. 16 novembre 2007 n. 23816; Cass. 26 marzo 2010 n. 7331).

4. Nei tre profili di censura in cui si articola il terzo motivo, il ricorrente lamenta che il giudice di rinvio ha omesso ogni pronuncia in ordine all’eccezione di giudicato esterno, innanzi allo stesso sollevata, in relazione alle sentenze della medesima Corte territoriale del 9 agosto 2001 n. 1350 (relativa a risoluzione del medesimo contratto per morosità della società) e del 1 aprile 2003 n. 967 (relativa a condanna della società nei confronti del G. dei canoni da ottobre 1994 a novembre 1995) e, in particolare:

4.1. deducendo nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, chiede se sia viziata per omessa pronuncia la sentenza che non abbia preso posizione alcuna sull’eccezione di giudicato esterno formulata in sede di giudizio di rinvio;

4.2. deducendo nullità della sentenza per violazione degli artt. 392, 393 e 394 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, chiede se sia ammissibile l’eccezione di giudicato esterno formulata per la prima volta in sede di rinvio qualora il giudicato si sia formato in un momento successivo a quello della sua possibile allegazione nelle fasi pregresse al giudizio di rinvio;

4.3. deducendo violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, chiede se l’accertamento con forza di giudicato dell’inesistenza di inadempimento risolutorio in capo al locatore con conseguente pronuncia di risoluzione del contratto per morosità del conduttore e condanna di questi al pagamento dei canoni “impagati” costituisca un fatto impeditivo di una successiva pronuncia di risoluzione del contratto e risarcimento danni per inadempimento risolutivo del conduttore.

4.4. Le prime due censure articolate nel terzo motivo – da esaminare congiuntamente data l’intima connessione – non colgono nel segno.

Secondo l’ordine logico delle questioni, va in primo luogo esaminata quella posta con il secondo profilo di censura, relativa all’ammissibilità dell’eccezione di giudicato esterno nel giudizio di rinvio. Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, poichè nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni – mentre l’istanza di parte è necessaria solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge – l’esistenza di un giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciarsi al riguardo qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall’art. 2909 c.c., ma corrispondono entrambi all’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni: finalità che trascende la sfera delle parti in causa, dal momento che l’autorità del giudicato e riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi – nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile – per l’intera comunità. Più in particolare, il rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenuta decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito (così, tra le altre, Cass. S.U. 25 maggio 2001, n. 226; Cass. 25 ottobre 2001, n. 13179; Cass. 16 marzo 2010 n. 6326; nonchè circa la rilevabilità nel giudizio di rinvio, Cass. 24 febbraio 2004 n. 3621). Pertanto, in sede di 7 giudizio di rinvio, il divieto per le parti, stabilito dall’art. 394 cod. proc. civ., comma 3, di formulare nuove conclusioni e, quindi, di proporre domande ed eccezioni nuove o di prospettare nuove tesi difensive, trova deroga allorchè si faccia valere la sopravvenuta formazione del giudicato esterno, il quale, facendo stato ad ogni effetto tra le parti, deve essere preso in considerazione dal giudice del rinvio (Cass. 20 marzo 2003 n. 4070).

E’ noto, d’altra parte, che nel giudizio di rinvio il giudice può prendere in considerazione anche fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti e sulle loro pretese, senza con ciò violare il divieto di esaminare punti non prospettati nelle precedenti fasi del giudizio, quando si tratti di fatti impeditivi, modificativi o estintivi intervenuti in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali.

4.5. Invero, proprio in ragione della struttura “chiusa” del giudizio di rinvio, cioè della cristallizzazione della posizione delle parti nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di Cassazione e, più precisamente, fino all’ultimo momento utile nel quale detta posizione poteva subire eventuali specificazioni (naturalmente nei limiti e nelle forme previste per il giudizio di legittimità, specie quelle dell’art. 372 cod. proc. civ.), il giudice di rinvio, al fine di procedere al giudizio nei termini rimessigli dalla Cassazione con rinvio, può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti, senza violare il divieto di esame di punti non prospettati o prospettabili dalle parti fino a quel momento, soltanto a condizione che si tratti di , fatti dei quali, per essere avvenuta la loro verificazione dopo quel momento, non era stata possibile l’allegazione (con l’eccezione – nella specie non ricorrente – che la nuova attività, assertiva ed istruttoria non sia giustificata proprio dalle statuizioni della Corte di Cassazione in sede di rinvio). Ne consegue che, ove il giudice del rinvio sia chiamato a prendere in considerazione un’eccezione di giudicato “esterno”, intanto può esaminarla in quanto l’invocato giudicato si sia formato successivamente all’udienza di discussione in Cassazione, posto che, ove esso si fosse verificato prima, l’udienza stessa – svoltasi nella specie il 17 gennaio 2005, come emerge dalla sentenza di annullamento con rinvio – sarebbe stata il momento ultimo entro il quale sarebbe dovuta avvenire l’allegazione. Pertanto, in questo caso, i giudicati in questione – relativi a sentenze di appello pubblicate rispettivamente nel 2001 e nel 2003 – non erano esaminabili dal giudice del rinvio (si vedano in termini Cass. 8 giugno 2005 n. 11962; 8 gennaio 2004 n. 75; 30 ottobre 2003 n. 16294; n. 1917 del 2001, e n. 6333 del 1990, nonchè numerose altre conformi tra cui le citate Cass. n. 4070/03 e 3621/04, in motivazione). L’odierno ricorrente non ha tenuto conto di questo principio, dando rilievo ai (pretesi) giudicati, trascurando che la loro formazione, secondo la sua stessa deduzione, si collocava palesemente in un momento temporale, nel quale sarebbe stato possibile farla constare già nel giudizio di legittimità conclusosi con la cassazione con rinvio.

4.6. Si deve, pertanto, affermare che “in sede di giudizio di rinvio, il divieto per le parti, stabilito dall’art. 394 cod. proc. civ., comma 3, di formulare nuove cassazione l’omessa pronuncia su una domanda Inammissibile, perchè alla proposizione di una tale domanda non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass. sez. 2^, 5 marzo 2010, n. 5435; Cass., sez. 1^, 25 giugno 2006 n. 12412; Cass., sez. L, 7 agosto 2003, n. 11933, m. 565754, Cass., sez. 1^, 14 febbraio 2001, n. 2080, m. 543827, Cass., sez. L, 20 novembre 2002, n. 16386, m. 558628). Nel caso in esame, per quanto affermato al punto 4.6., l’eccezione di giudicato esterno non era proponibile al giudice di rinvio, essendosi rivelata deducibile nel giudizio rescindente di cassazione, con la conseguenza che non ricorreva l’obbligo del giudice di rinvio di pronunciarsi su eccezione di per sè inammissibile. Respinte le prime due censure del terzo motivo, resta assorbita ogni decisione in ordine alla terza, non essendo prospettabile (davanti al giudice di rinvio e, quindi, neanche in questa sede), per la preclusione innanzi diffusamente descritta, la questione della ricorrenza in concreto degli effetti di giudicato delle invocate sentenze tra le stesse parti.

5.1. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 139 e 140 c.p.c. e art. 43 c.c. e chiede se, trattandosi di valutare la ritualità della notificazione eseguita a norma dell’art. 140 c.p.c., per superare la presunzione portata dalle risultanze anagrafiche si debba far riferimento al luogo in cui il destinatario abbia un “recapito effettivo” o al luogo in cui il destinatario abbia la “residenza effettiva”.

5.2. Con il quinto motivo, il ricorrente, deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ^ sul fatto controverso dell’esistenza di una residenza effettiva diversa da quella anagrafica, in relazione al quale la motivazione dell’impugnata sentenza è insufficiente perchè attribuirebbe rilevanza a circostanze in;vero irrilevanti (domicilio eletto ai fini del contratto; corrispondenza ricevuta dalla moglie ; pignoramento ricevuto dalla figlia quattro anni dopo la notifica dell’atto introduttivo) o inutilizzabili perchè erroneamente assunte esistenti (la notificazione dell’avviso di pignoramento riguardante la moglie personalmente; il trasferimento “della famiglia”; le dichiarazioni testimoniali in punto di cura degli affari in Grosseto).

5.3. I motivi – che possono trattarsi congiuntamente, proponendo, sia pure sotto il diverso profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, la questione della conformità delle valutazioni del giudice di rinvio alle indicazioni desumibili dalla sentenza di annullamento di questa S.C. – si rivelano entrambi inammissibili per inidoneità del quesito di diritto e del momento di sintesi rispettivamente formulati.

5.4. Infatti, l’art. 366 bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione: nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter – argomentativo della decisione impugnata), è richiesta un’illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

5.5. Orbene, nel caso in esame, nel quinto motivo il quesito è del tutto inidoneo, in quanto si limita a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge; mentre va ribadito che il quesito di diritto di cui all’indicata norma deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. n. 19769/08; 24339/08; 4044/09, nonchè S.U. 20360/07).

5.6. Invece, con riferimento al sesto motivo, il ricorrente non ha formulato il richiesto momento di sintesi. che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470(08), oltre che consistere in un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata. Si deve, infatti, ribadire che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. n. 4589/09).

Le spese – esclusa, quanto agli onorari, la “voce” relativa al controricorso, rivelatosi inammissibile – seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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