Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17690 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 25/08/2020), n.17690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27052/2018 R.G. proposto da:

A.L., elettivamente domiciliata presso l’avvocato MARIO DI

LUZIO, in ROMA, VIA GIOVANNI PAOLO PANNINI 19, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONINO MACERA;

– ricorrente –

contro

ASL (OMISSIS) AVEZZANO SULMONA L’AQUILA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 87, presso lo studio dell’avvocato ALDO SEMINAROTI, dal

quale è rappresentata e difesa;

– controricorrente –

contro

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

CHINOTTO 1, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO EQUIZI, dal

quale è rappresentato e difeso unitamente e disgiuntamente

all’avvocato ALEANDRO EQUIZI;

– controricorrente –

contro

INA ASSITALIA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1184/2018 della CORTE D’APPELLO dell’AQUILA,

depositata il 15/06/2018;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 26/06/2020 dal relatore Dott. Franco DE STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La domanda risarcitoria proposta da A.L. – davanti al Tribunale dell’Aquila con atto di citazione del 28/08/2006 – nei confronti dell’oculista S.L. e dell’Azienda Sanitaria n. (OMISSIS) Avezzano Sulmona L’Aquila, nella quale fu chiamata in causa l’assicuratrice della responsabilità civile del primo INA Assitalia spa, fu accolta sulla riscontrata negligenza professionale del sanitario nell’esecuzione di un intervento chirurgico mediante laser eseguito in tempi diversi – e fino al (OMISSIS) – ad entrambi gli occhi, da cui erano residuati postumi invalidanti all’occhio sinistro.

2. Il tribunale riconobbe una ITT di 30 giorni, una ITP di 45 giorni al 50%, postumi permanenti del 20% ed una riduzione della capacità lavorativa specifica di pari misura, quantificando il risarcimento, oggetto di condanna solidale dei convenuti (e, per lo S., della sua assicuratrice), in Euro 70.000 per invalidità permanente, Euro 4.780 per invalidità temporanea, Euro 35.000 per danno non patrimoniale, Euro 20.000 per perdita di capacità lavorativa ed Euro 220 per spese mediche, oltre interessi al tasso legale dal 05/10/2005 e spese di lite in complessivi Euro 7.357.

3. La A. interpose appello, con cui contestò la quantificazione del danno da perdita di capacità lavorativa specifica in relazione sia alla prospettiva di svolgimento dell’attività di avvocato che al mancato ricorso al criterio del triplo della pensione sociale, ma pure l’adeguatezza della personalizzazione del danno non patrimoniale e della liquidazione delle spese di lite.

4. Costituitesi tutte le controparti per contrastarlo, il gravame è stato rigettato dalla Corte di appello dell’Aquila con sentenza n. 1184 del 15/06/2018, addotta come notificata a mezzo p.e.c. lo stesso giorno: per la cui cassazione ricorre la A., con atto articolato su almeno nove (benchè quello rubricato dopo l’ottavo rechi il n. 10) motivi e notificato a mezzo p.e.c. il 14/09/2018.

5. Degli intimati resistono, con separati controricorsi, la ASL (OMISSIS) Avezzano Sulmona L’Aquila e S.L.; e, per l’adunanza camerale del 26/06/2020, la prima dei controricorrenti deposita memoria ai sensi del penultimo periodo dell’art. 380-bis.1 c.p.c., come inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Dei nove motivi di ricorso i primi sette riguardano la doglianza proposta al giudice di appello sulla quantificazione del danno da perdita di capacità lavorativa, avvenuta in primo grado per soli Euro 20.000, riproponendo l’odierna ricorrente la tesi della spettanza di una somma forfetaria pari almeno al 20% (quota di diminuzione della capacità) di un reddito presuntivo da avvocato indicato in Euro 50.000 annui per i quaranta anni presumibili di potenziale esercizio della relativa professione, o in subordine di una somma, per detti quaranta anni, almeno pari al triplo della pensione sociale (Euro 4.596,02-3 = 13.788,06 – 0,20 = 2.145,70 annui, per quaranta pari ad almeno Euro 85.826,90).

2. La corte d’appello, nel respingere il motivo di gravame relativo all’insufficiente quantificazione del danno da perdita di capacità lavorativa, ha escluso la sussistenza di prova di un reddito da esercizio continuo – anche in misura ridotta – dell’attività professionale da parte dell’attrice, all’epoca dei fatti trentenne praticante avvocato (per essere indicata l’abilitazione all’esercizio nel novembre 2004 e quindi in tempo successivo agli eventi lesivi), ma pure l’applicabilità del criterio del triplo della pensione sociale, per non avere l’appellante nè sostenuto di essere disoccupata, nè addotto di svolgere attività professionale anche in modo saltuario, nè provato comunque il proprio reddito.

3. In particolare, al riguardo la A. lamenta:

– col primo motivo, “violazione di legge con riferimento agli art. 2909 c.c. – artt. 342 – 346 c.p.c. – violazione del principio del tantum devolutum quantum appellatum”: poichè era passata in giudicato la statuizione del primo giudice di sussistenza di un’attività professionale svolta dall’attrice, la corte di appello non poteva invece escluderla o ritenerla non provata;

– col secondo motivo, “contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”: vizio ritenuto applicabile evidentemente alla stregua del previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in base alla data di instaurazione del giudizio di secondo grado, rilevando tra l’altro una contraddizione tra la non spettanza del danno da incapacità lavorativa specifica ed il rilievo della carenza di contestazione degli appellati sul punto;

– col terzo motivo, “errata e/o omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero in ordine alla sussistenza della prova circa l’esistenza di un reddito in capo all’avv. A.”: ricordando come fossero stati versati in atti tre contratti d’opera professionale, pedissequamente trascritti in ricorso;

– col quarto motivo, “omessa e/o errata e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero sulla presunta mancata allegazione della vittima di essere disoccupata”: rilevando come fosse stato fin dall’atto di citazione dedotto che mancava un reddito al momento del sinistro;

– col quinto motivo, “violazione di legge con riferimento agli artt. 2697 e 2729 c.c.; omessa e/o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia ovvero sulla possibilità di offrire la prova richiesta della sussistenza di un reddito mediante presunzioni”: esponendo che, una volta accertata la riduzione della capacità di lavoro specifica, doveva ritenersi evidente quella del reddito futuro, anche mediante presunzioni;

– col sesto motivo, “violazione di legge con riferimento agli artt. 2697 e 2729 c.c.; omessa e/o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo del giudizio ossia sulla possibilità di offrire la prova circa l’insussistenza di un reddito (disoccupazione) ovvero sulla saltuarietà dello svolgimento della professione mediante presunzioni”: lamentando l’erroneità dell’esclusione di prova sul reddito senza un invece doveroso ricorso alle presunzioni;

– col settimo motivo, “insufficiente e/o erronea motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero se il criterio del triplo della pensione sociale possa considerarsi una soglia minima garantita di risarcimento”: invocando la prevalente giurisprudenza di legittimità, in superamento di Corte Cost. 445/95, posta dalla corte territoriale a base del rigetto del relativo motivo.

4. Alla disamina di tali primi sette motivi va premesso che al ricorso si applica, proprio in virtù del tenore testuale della normativa transitoria richiamata dalla ricorrente (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. con mod. in L. n. 134 del 2012, a mente del quale “la disposizione di cui al comma 1, lett. b), si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (introdotto dal medesimo art. 54, comma 1, lett. b) citato D.L.), rilevando a tal fine la data di pubblicazione della sentenza di appello e non quella di instaurazione del giudizio di secondo grado (rilevante invece ai fini dell’applicazione di diverse norme, benchè pure introdotte dal medesimo intervento legislativo di urgenza).

5. Tanto travolge tutte le censure impostate sulle carenze motivazionali, non assurgendo quelle prospettate a quella gravità sola riconosciuta rilevante a partire da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014: ed implica la manifesta infondatezza del secondo motivo e l’inammissibilità, in parte qua, di tutti i successivi.

6. Sono poi inammissibili le censure incentrate sulla pretesa violazione dell’art. 2697 c.c., poichè con quelle si lamenta l’erroneità non dell’attribuzione dell’onere della prova ad una piuttosto che ad altra delle parti (tra moltissime, v. Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598), ma del risultato dell’apprezzamento delle prove ad opera del giudice del merito, ciò che, in quanto tale, è sempre vietato in sede di legittimità.

7. Sono pure inammissibili le censure di violazione della disciplina sulle presunzioni, per non essere quelle dedotte secondo i parametri anche di recente ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte ed in particolare da Cass. Sez. U. 24/01/2018, n. 1785, al cui punto 4.1. delle ragioni della decisione qui basti un integrale richiamo: nel ricorso oggi in esame manca, in particolare, “un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza”.

8. E’ mancata una, invece necessaria, “… preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi”.

9. Infatti, “la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, comma 1 (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali)”.

10. Ne consegue che “in questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti”, precluso a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come ricostruito fin dalle sentenze di Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054.

11. A quanto finora esposto in linea generale sui primi motivi devono aggiungersi inoltre notazioni relative ai primi sei.

12. Il primo motivo è, per la parte in cui non è inammissibile, tecnicamente infondato, non avendo la sentenza di appello violato alcun giudicato, implicito o esplicito, sulla sussistenza di un’attività professionale, visto che quella ha solo ritenuto che mancasse la prova, ritenuta determinante, sul carattere continuo del reddito: e tale ragione del decidere, non adeguatamente attinta da valida censura nella sua enunciazione in diritto, consente di disattendere anche il terzo ed il quarto motivo.

13. Ancora, il quinto motivo – o, per quanto possa ad esso ricondursi, ogni altra collegata doglianza – è infondato, perchè la riduzione della capacità di lavoro comporta sì la presumibile riduzione della capacità di guadagno, ma non esonera il danneggiato dalla prova del reddito: la presunzione copre solo l’an dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perchè esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare (tra molte: Cass. ord. 15/06/2018, n. 15737).

14. Inoltre, il sesto motivo è inammissibile perchè non pertinente alla ratio decidendi, poichè la corte territoriale non ha escluso in astratto la possibilità di provare per presunzioni un reddito futuro, ma in concreto la sussistenza di un reddito attuale con caratteristiche di continuità, tanto ritenendo elemento dirimente o decisivo; ed ancora perchè non si indica quali elementi gravi, precisi o concordanti sarebbero stati pretermessi nell’esclusione di una valutazione prognostica favorevole alla danneggiata.

15. Invece, è fondato il settimo motivo, adeguatamente riqualificato da inammissibile vizio motivazionale in falsa applicazione dell’art. 2056, in relazione all’art. 1226 c.c.

16. Non osta la circostanza dell’applicazione del criterio al di fuori dell’ambito del codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 137, comma 3; in precedenza, si veda il D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 4 convertito dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39), di norma esclusa dalla giurisprudenza,di questa Corte (dopo le meno recenti Cass. 04/12/1998, n. 12312, nonchè Cass. 01/06/2004, n. 10482, tra le ultime v.: Cass. 25/08/2014, n. 18161; Cass. 11/11/2019, n. 28988), ma in via diretta e comunque quale criterio di liquidazione del danno biologico e non anche, come nella specie, come parametro per quella del danno patrimoniale in cui si risolve la conseguenza della diminuzione della capacità di guadagno.

17. Già potrebbe osservarsi che tanto le parti (se non altro nelle difese utilmente svolte in questa sede) che la corte territoriale postulano che tale criterio sia in astratto idoneo a regolare la fattispecie; eppure, tale presupposizione non vincolerebbe certo questa Corte, ove non fosse altrimenti condivisibile.

18. Al riguardo, va ribadito (tra le altre, Cass. 20/01/2006, n. 1120) che l’accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta l’automatico obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno – derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica – e, quindi, di produzione di reddito.

19. Detto danno patrimoniale da invalidità deve, perciò, essere accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o – trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa – presumibilmente avrebbe svolto, un’attività produttiva di reddito; la liquidazione del danno non può essere fatta in modo automatico in base ai criteri dettati dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39, art. 4 norma dettata in via immediata per il settore della responsabilità civile autoveicoli e soprattutto che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa, che comunque incombe al danneggiato e che può essere data anche in via presuntiva, purchè sia certa la riduzione di capacità di lavoro specifica.

20. In via dirimente, peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto al giudice del merito il potere, in sede di liquidazione equitativa del danno ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., di ricorrere al criterio del triplo della pensione sociale anche allorquando l’invalidità permanente come nel caso non consegua a sinistro stradale (Cass. 29/02/2016, n. 3893; Cass. 16/02/2006, n. 3436), atteso che la liquidazione del danno in via equitativa resta affidata ai suoi apprezzamenti discrezionali.

21. Piuttosto, questi apprezzamenti restano insindacabili in sede di legittimità, ma nei limiti in cui la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo (Cass. 31/07/2015, n. 16222; con specifico riferimento al ricorso al triplo della pensione sociale per la liquidazione del danno patrimoniale futuro, si veda già Cass. 30/09/2008, n. 24331) e soprattutto purchè gli argomenti a tale scopo impiegati nell’impugnata sentenza non si appalesino sostanzialmente apodittici e illogici (Cass. n. 3893/16, cit.).

22. E’ noto (tra le ultime, v. Cass. 06/05/2020, n. 8531) che la possibilità di censurare quella valutazione in questa sede è ammessa non solo in caso di omessa enunciazione dei criteri in motivazione, ma anche di una loro manifesta incongruità rispetto al caso concreto, oppure di radicale contraddittorietà, oppure ancora di macroscopica contrarietà a dati di comune esperienza, ovvero infine tali da condurre ad una quantificazione particolarmente ed evidentemente sproporzionata per eccesso o per difetto (Cass. ord. 25/05/2017, n. 13153; Cass. 08/11/2007, n. 23304).

23. Infatti, la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. pura, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicchè, pur nell’esercizio di un potere di carattere ampiamente discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento (Cass. 13/09/2018, n. 22272; Cass. ord. 20/06/2019, n. 16595).

24. Orbene, il criterio del triplo della pensione sociale è bene indicato in premessa nella qui gravata sentenza – a prescindere dal richiamo ad una fonte normativa non direttamente applicabile evidentemente quale parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno da riduzione della capacità di guadagno: ma ne è errata l’esclusione con riferimento alla fattispecie concreta alla stregua della stessa giurisprudenza che la corte territoriale predica di applicare.

25. Tale fattispecie è rappresentata dalla situazione di un soggetto che al momento in cui ha subito il danno si trovava in una condizione, quella di c.d. praticantato, imposta dalla legge per l’accesso alla professione di avvocato. Condizione che, secondo il notorio, non consente di percepire redditi di una qualche entità, ma che rappresentava il presupposto per una successiva potenziale consecuzione di capacità reddituale una volta conseguita l’abilitazione professionale.

26. Nella specie, successivamente alla verificazione del danno e prima del momento della sua liquidazione, è pacifico, peraltro, che tale evento si è effettivamente verificato, avendo la ricorrente conseguito l’abilitazione professionale come avvocato (la ricorrente, infatti, risulta iscritta all’albo dal novembre 2004: v. pag. 3 del ricorso).

27. Ne discende che, ai fini della determinazione del danno, occorreva ormai procedere ad un apprezzamento che doveva considerare. tale evoluzione della situazione della ricorrente inerente alla capacità di produrre reddito.

28. Ebbene, è notorio che anche un avvocato appena abilitato, il quale di solito esercita in seno ad una struttura professionale gestita da un collega più anziano, ha capacità di realizzazione e percezione di reddito limitate e incostanti.

29. Ora, la capacità di percezione di un reddito sporadico non preclude affatto, come reputa la corte territoriale, il ricorso al criterio residuale in esame ove, come nella specie, la stessa danneggiata, pur in carenza di prova su di un reddito continuo o costante per essersi limitata a versare in atti tre contratti di prestazione d’operà professionale, ha comunque prospettato in concreto una condizione lavorativa caratterizzata da carattere saltuario, evidentemente determinata anche dalla condizione di relativa diminuzione della capacità lavorativa.

30. Essa appare tale da farla equiparare, se non altro ai fini della liquidazione del danno consistente nella limitazione di quella capacità, che deve avvenire in proiezione futura, ad una disoccupata, proprio secondo quanto statuito, da ultimo, da questa Corte con ord. 04/05/2016, n. 8896 (seguita pure da Cass. ord. 12/10/2018, n. 25370).

31. Rientrando, per quanto si è detto, nelle nozioni di comune esperienza che un professionista all’inizio del suo – auspicabilmente felice – percorso lavorativo realizza di norma guadagni sporadici, risulta possibile ed anzi opportuno equiparare una simile condizione, se non altro ai fini della normativa in esame e per identità di ratio, a quella di un disoccupato, esonerato dalla prova rigorosa del proprio preciso guadagno.

32. Di conseguenza, in presenza di una prova sulla percezione di redditi così saltuari al tempo del consolidamento definitivo delle conseguenze negative dell’illecito da potersi ritenere – se non proprio insignificanti, quanto meno – non significativi e pure in assenza di elementi sullo sviluppo successivo della capacità di guadagno, il criterio del triplo della pensione sociale può bene trovare applicazione proprio ai fini della liquidazione equitativa del danno patrimoniale derivato, sotto forma di riduzione della potenzialità di guadagno in relazione alla minorata capacità psicofisica concretatasi nei postumi invalidanti permanenti: nella specie, particolarmente evidente per l’intuitiva incidenza negativa di una minorata disponibilità dell’organo della vista per una professione intellettuale quale quella dell’avvocato.

33. Al riguardo, va alla specie applicato il seguente principio di diritto: “quale parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno patrimoniale futuro da incapacità lavorativa, anche se patito in conseguenza di errata prestazione sanitaria da soggetto già percettore di reddito da lavoro, può applicarsi, anche in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto dalla vittima, il criterio del triplo della pensione sociale pure nel caso in cui sia accertato che la vittima, come nell’ipotesi di un libero professionista prima o immediatamente all’inizio della sua attività, al momento del sinistro percepiva un reddito così sporadico o modesto da renderla in sostanza equiparabile ad un disoccupato”.

34. Può ora esaminarsi l’ottavo motivo, di “violazione di legge con riferimento all’art. 2059 c.c.”, con cui la ricorrente lamenta essere mancata una adeguata personalizzazione in ragione delle peculiari circostanze pure indicate (doppio intervento, attesa delusa di ordinario esito fausto, compromissione di attività ludiche etc.).

35. Al riguardo, la corte territoriale, nel respingere il corrispondente motivo di appello sulla quantificazione del danno non patrimoniale, ha rilevato che l’appellante si era limitata a riproporre la gravità del fatto per una operazione routinaria, della sua incidenza sulla vita lavorativa e di relazione, ciò che in concreto il primo giudice aveva chiaramente tenuto in considerazione con la personalizzazione perfino oltre il massimo consentito dalle cosiddette tabelle milanesi applicabili al momento (2011).

36. E’ noto che la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, ma solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano una “personalizzazione” in aumento (da ultimo, v. Cass. 11/11/2019, n. 28988).

37. Alla stregua di tale principio, il motivo è infondato: la personalizzazione vi è stata ed in ragione del 50% e per di più la stessa qui gravata sentenza riconosce essere stata quella applicata in misura perfino maggiore di quella prevista dalle tabelle milanesi del tempo; sicchè l’esito di quella quantificazione non solo non è censurabile in questa sede, derivando da una discrezionale valutazione del fatto operata dal giudice del merito, ma è pure manifestamente congruo, anche alla stregua delle caratteristiche individualizzanti sottolineate dalla ricorrente.

38. Va infine preso in considerazione l’ultimo motivo di ricorso (il nono, benchè indicato decimo), di “violazione di legge con riferimento al D.M. n. 127 del 2004 ed al D.M. n. 127 del 2004, art. 4 omessa motivazione in ordine alla contestazione sulla quantificazione delle spese legali”: col quale si argomenta che, anche ad applicare il minore scaglione, era stato puntualmente dedotto in appello quale sarebbe stata la corretta liquidazione dei diritti, che per la previgente tariffa erano fissi, mentre anche i minimi degli onorari comportavano un totale maggiore; così contestando l’opposta conclusione della corte territoriale, basata sulla complessiva e sommaria asserzione che, applicato il giusto scaglione tariffario, la liquidazione del primo giudice non eccedeva in ribasso i minimi all’epoca vigenti.

39. Pure tale motivo è fondato, perchè l’analitica prospettazione di attività defensionali di cui si lamentava la mancata considerazione da parte del primo giudice, come opportunamente anche riportata nell’odierno ricorso (pag. 40, con richiamo alle pagg. 10 ss. dell’atto di appello), imponeva al giudice del gravame una altrettanto analitica disamina, pure alla stregua della specifica doglianza di violazione dei minimi tariffari in relazione al corretto scaglione da applicare, vista l’entità del decisum e non del petitum.

40. Il ricorso, infondati (in parte il primo, nonchè il secondo, terzo, quarto, quinto e l’ottavo) o inammissibili (in parte anche il primo ed il sesto) gli altri, ma fondati il settimo e l’ultimo motivo, va accolto limitatamente alle censure così accolte, con corrispondente cassazione della gravata sentenza e rinvio alla medesima corte territoriale, ma in diversa composizione, pure per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

41. L’accoglimento, benchè parziale, del ricorso esclude la sussistenza dei presupposti processuali – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

accoglie il settimo e l’ultimo motivo di ricorso, disattesi gli altri. Cassa la gravata sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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