Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17686 del 02/07/2019

Cassazione civile sez. III, 02/07/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 02/07/2019), n.17686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20846-2017 proposto da:

V.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FILIPPO BENNARDO;

– ricorrente –

contro

S.F.E. FINANCIERE ET D’ENCAISSEMENT SOCIETA’, in persona del

Presidente Delegato e Legale rappresentante pro tempore

S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO RIZZO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CLAUDIO BONORA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2017 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 28/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato COSTANZA SPAMPINATO per delega;

udito l’Avvocato CLAUDIO BONORA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.G. aveva rilasciato a SFE Societè Financiere et d’Encaissement, società anonima con sede a (OMISSIS), un assegno – a suo dire in bianco – dietro la consegna di fiches per Lire 240.000.000 (pari ad Euro 123.949,66) che aveva poi impiegato, secondo quanto dallo stesso allegato, nel giuoco d’azzardo presso il (OMISSIS).

Non essendo stata restituita la somma, la società finanziaria, sul presupposto dell’inadempimento del mutuatario, aveva notificato al V. decreto ingiuntivo per l’importo indicato, emesso dal Tribunale di Gela, che era stato opposto dal debitore.

Il giudizio era stato definito con il rigetto della opposizione, decisione confermata dalla Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza 28.2.2017 n. 238.

Il Giudice di merito rilevava, da un lato, che non era stata fornita prova della esistenza e quindi della violazione del patto di riempimento dell’assegno asseritamente dato a garanzia; dall’altro che, in assenza della prova di una diretta compartecipazione di SFE al rapporto di giuoco o di un interesse diretto della medesima società al risultato del giuoco d’azzardo, la mera corresponsione della somma di denaro, in fiches, dietro consegna di assegno bancario, quando anche accompagnata dalla consapevolezza della mutuante della finalità d’impiego delle somme, non integrava per questo obbligazione di giuoco, dovendo invece tale rapporto essere sussunto nello schema negoziale del mutuo, ed essendo, pertanto, accordata azione a tutela del creditore mutuante in caso di inadempimento del mutuatario.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata da V.G. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso SFE Societè Financiere et d’Encaissement.

La causa inizialmente assegnata alla VI sezione civile è stata rimessa, sulle memorie depositate dalle parti ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., alla odierna pubblica udienza, con ordinanza in data 9.10.2018.

Le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione degli artt. 1813,1933 e 2034 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene il ricorrente che i Giudici di merito avrebbero errato a riconoscere nello scambio tra assegno bancario e quantitativo di fiches – per l’importo corrispondente ad attuali Euro 123.949,66 – un negozio dotato di causa autonoma rispetto al rapporto di giuoco, riconducibile allo schema legale del mutuo disciplinato dal codice civile, atteso che:

le sentenze di legittimità richiamate dalla Corte territoriale avevano ad oggetto fattispecie del tutto diverse (Cass. n. 17689/2004 riguardava un contratto avente ad oggetto un finanziamento bancario per l’acquisto di valuta estera da investire in titoli obbligazionari italiani a tasso di rendimento favorevole, ove il rischio della variazione del tasso di cambio della valuta estera che il cliente si era impegnato a restituire ad una certa data, non era riconducibile alla causa negoziale), ovvero contraddicevano addirittura la soluzione adottata dal Giudice di appello, in quanto riconoscevano l’applicazione dell’art. 1933 c.c. nel caso di somme di denaro concesse in mutuo ove tale operazione costituisse mezzo funzionalmente connesso all’attuazione del giuoco o della scommessa, realizzando tra mutuante e mutuatario le stesse finalità pratiche del giuoco (Cass. n. 4001/1986, e così anche Corte appello Milano sentenza in data 10.11.2004, in controversia in cui era stata parte proprio la SFE) nella specie, anche a considerare autonomamente i due rapporti, era evidente il collegamento funzionale tra il contratto di mutuo, avente ad oggetto la dazione delle fiches, e il giuoco effettuato dal mutuatario presso il Casinò impiegando le somme ricevute in mutuo.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c.; degli artt. 115,167,116 e 232 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che la Corte d’appello non avrebbe correttamente valutato le risultanze istruttorie ed in particolare che: 1-non era contestato che l’ufficio della SFE era collocato all’interno del locale del Casinò; 2-che la SFE era risultata, dal documento prodotto in giudizio, società controllata da SBM Societè Anonyme des Bains de Mer et du Cercle de Monaco – tra l’altro proprietaria del Casinò- con partecipazione quasi totalitaria pari al 97% del capitale sociale; 3-che la mancata risposta del legale rapp.te di SGE all’interrogatorio formale deferitogli, consentiva di ritenere per ammesso che le fiches era stato date a mutuo al fine di proseguire il rapporto di giuoco. La Corte territoriale avrebbe quindi dovuto trarre da tali elementi la prova presuntiva di una diretta partecipazione al giuoco anche di SFE, con conseguente preclusione ai sensi dell’art. 1933 c.c. della pretesa restitutoria formulata dalla società.

I motivi primo e secondo, stante la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente.

Il primo rilievo del ricorrente, secondo cui la Corte territoriale avrebbe richiamato a sostegno del “decisum” precedenti giurisprudenziali non pertinenti o addirittura in contraddizione con la soluzione adottata, non coglie nel segno in quanto:

– il precedente di questa Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 17689 del 02/09/2004, pur con riferimento a fattispecie negoziale distinta, tuttavia ha specificato in modo pertinente i limiti di applicazione dell’art. 1933 c.c. rilevando che “Ove anche, infatti, volesse ammettersi che contrariamente a quanto affermato dalla corte d’appello – lo scopo comune alle parti fosse stato proprio quello di consentire alla sig.ra L. una scommessa sul futuro andamento del tasso di cambio, non ne deriverebbe, sol per questo, l’applicabilità al rapporto di mutuo del peculiare regime previsto, in tema di giuoco e di scommessa, dal citato art. 1933. A tal fine occorrerebbe fosse anche dimostrato che la banca intese in tal modo partecipare essa stessa alla scommessa, condividendone il rischio; altrimenti, se pur scommessa vi è stata (sull’andamento del tasso di cambio), questa ha coinvolto soltanto la cliente, su disposizione della quale sono state compiute le diverse operazioni di cui si discute. La sola consapevolezza, nel mutuante, che la somma data a mutuo sarà impiegata dal mutuatario per giocare o scommettere non è infatti sufficiente ad estendere la disciplina dei debiti di giuoco ad un negozio tipico diverso; e quindi spetta pur sempre al mutuante l’azione per la restituzione di quanto dato a mutuo, qualora non sussista un suo interesse diretto alla partecipazione al giuoco del mutuatario (cfr., in tal senso, Cass. 17 novembre 1999, n. 12752; 6 aprile 1992, n. 4209; 16 giugno 1986, n. 4001)….

– anche il precedente di questa Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4001 del 16/06/1986 non risolve affatto la questione a favore della tesi del ricorrente, atteso che riconduce la applicazione della “denegatio actionis” e della “soluti retentio”, nel caso di contratti collegati (in quanto strumentali) al giuoco ed alla scommessa, solo ove ricorrano determinati e specifici presupposti: “l’estensione della disciplina riguardante i contratti di giuoco ai mutui che risultino a questi collegati si giustifica solo in quanto la dazione di danaro o di fiches, la promessa di mutuo, il riconoscimento del debito ecc. costituiscono mezzi funzionalmente connessi all’attuazione del giuoco o della scommessa e siano, quindi, tali da realizzare fra i giuoca tori le stesse finalità pratiche del rapporto di giuoco; deve, cioè, concorrere un interesse diretto del mutuante a favorire la partecipazione del mutuatario al giuoco o per la rivincita che il primo si augura di realizzare a danno del secondo, partecipando egli stesso al giuoco, ovvero per il guadagno connesso a quella partecipazione nell’ipotesi che il mutuo sia accordato dalla casa organizzatrice di quell’attività, moralmente e socialmente disapprovata. Allorchè, invece, il mutuante non sia a confronto del mutuatario in una determinata partita nè partecipi insieme a questo ad un giuoco collettivo di azzardo, la causa del negozio di mutuo non risulta alterata da un suo collegamento diretto con il contratto di giuoco che stimola il mutuante a concedere il prestito; in tal caso, la sola consapevolezza del mutuante che la somma data in mutuo sarà impiegata dal ricevente nel giuoco non basta ad attirare nell’area dei debiti di giuoco un negozio tipico diverso per effetto di un supposto motivo illecito determinante, comune ad entrambi i contraenti……” (sulla stessa linea si collocano i precedenti di Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 4209 del 06/04/1992 -prestiti tra giocatori, ma senza coinvolgimento del mutuante nel rapporto di giuoco- e di Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2386 del 31/01/2008 – che esclude qualsiasi collegamento funzionale al prestito concesso dal terzo, successivamente alla giocata, per pagare il debito di giuoco -).

In sostanza la giurisprudenza demanda all’accertamento in fatto della causa concreta della complessiva operazione negoziale realizzata dalle parti, la sussunzione del rapporto di finanziamento o di mutuo della somma concessa al giocatore, nello schema legale del giuoco o della scommessa ex art. 1933 c.c., che si verifica soltanto quando si accerti: a) la diretta compartecipazione del mutuante nel giuoco svolto con il mutuatario (condivisione del rischio); b) l’interesse economico diretto del mutuante al risultato dell’attività del mutuatario (conseguimento di utili dalla giocata -tale ipotesi è stata oggetto di esame nel precedente di questa Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 21712 del 26/10/2015: in quel caso era lo stesso Casinò che aveva prestato le somme al giocatore, sicchè alla perdita al giuoco delle somme prestate a quest’ultimo, corrispondeva la vincita delle medesime somme da parte del Casinò-).

A tali principi si è espressamente richiamato – e dunque non ha inteso derogarvi – anche il precedente di Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 7694 del 02/04/2014 enfatizzato dal ricorrente nella memoria illustrativa per supportare la tesi che il collegamento negoziale tra mutuo e giuoco, consentisse ex se l’applicazione della disciplina dell’art. 1933 c.c..

In quel caso, infatti, contraddistinto dalla circolazione dell’assegno pagato dal giocatore al Casinò, a saldo del debito di giuoco, e da quest’ultimo girato al terzo che aveva organizzato il viaggio per condurre il giocatore dal luogo di sua residenza ai locali del Casinò, la Corte di legittimità, ritenendo esente da vizi logici la sentenza di merito impugnata, secondo cui la circostanza che “le spese anticipate dall’organizzatore del viaggio venissero rimborsate dal casinò mediante girata degli assegni ricevuti dai clienti in pagamento delle somme dovute per le perdite subite, denotava la sostanziale unitarietà del rapporto tra traente, prenditore e giratario” con la conseguenza che il terzo non aveva azione a tutela del rapporto di provvista nei confronti del giocatore, non ha fatto altro che confermare il precedente orientamento giurisprudenziale, riconoscendo al terzo la qualità di partecipante al rapporto di giuoco o scommessa, in quanto soggetto di fatto associato con il Casinò nel rischio connesso alla posta in giuoco, venendo a realizzare il proprio utile – pari ad una quota della posta – esclusivamente nel caso in cui il giocatore avesse perduto.

Tanto premesso il richiamo alla teoria del “collegamento negoziale” non è pertinente a giustificare la applicazione dell’art. 1933 c.c. ed a ricondurre anche il mutuo alla “causa” di gioco, atteso che la connessione funzionale può ravvisarsi solo tra atti negoziali idonei a produrre effetti giuridici, mentre il risultato del gioco non fa sorgere alcuna obbligazione giuridica (salvo l’effetto legale della “soluti retentio”). Affinchè il prestito di denaro possa essere ricondotto alla posta di gioco, occorre piuttosto che il mutuante venga “a partecipare direttamente al giuoco” in antagonismo con il mutuatario, o comunque, unitamente a quello in quanto, pur non effettuando direttamente la giocata, sia in qualche modo anch’egli effettivo destinatario del risultato del giuoco (abbia scelto cioè di correre l’alea tipica del giuoco di azzardo). Pertanto, più che allo schema dei contratti collegati il fenomeno rilevato evidenzia aspetti analoghi alla figura del contratto complesso che, secondo la tesi condivisa dalla giurisprudenza di questa Corte, si contraddistingue per la esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un’intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 14372 del 21/12/1999; id. Sez. 3, Sentenza n. 14611 del 12/07/2005). Tuttavia discostandosi da esso in quanto la vicenda si svolge in senso inverso alla giuridicizzazione del rapporto, venendo annichilita la “causa” tipica del mutuo nel “fatto-gioco”: il prestito viene deprivato della causa ex artt. 1813 e 1815 c.c. in quanto la dazione del denaro non determina la insorgenza di un – autonomo – rapporto obbligatorio tra le parti ma viene interamente assorbita nel fatto-giuoco (nella creazione della posta la cui vincita o perdita è il risultato finale dell’attività del giocatore che riveste un rilievo “acausale”, di mero fatto). In tale caso il prestito della somma è, infatti, esclusivamente funzionale a far giocare non soltanto il giocatore-mutuatario ma anche il soggetto-mutuante.

Diversamente, ove cioè il mutuante non assuma anche il rischio del risultato del gioco, il nesso relazionale tra la prestazione della somma data a mutuo e l’impiego della stessa per partecipare al giuoco si esaurisce sul piano meramente teleologico, permanendo il mutuo quale autonomo negozio giuridico dottato di propria causa, relazione che può evidenziare finanche un diretto interesse del mutuante ad incentivare il mutuatario alla partecipazione al giuoco d’azzardo (nel caso di istituto di credito o finanziario tale interesse bene può consistere nella speranza di ritrarre maggiori utili dalla reiterazione di ulteriori richieste di finanziamento a titolo oneroso concesso al debitore in caso di perdita delle somme al giuoco), ma che per ciò solo non determina alcuna “partecipazione” anche del mutuante al “rapporto di giuoco”, essendo irrilevante a tal fine la mera consapevolezza della destinazione finale delle somme prestate.

Orbene, nel caso di specie, la diretta partecipazione della società mutuante SFE al rapporto di giuoco con il V., vorrebbe essere dimostrata dal ricorrente attraverso la relazione di controllo dominante tra detta società – controllata e la SBM – controllante che detiene nella prima la assoluta maggioranza della partecipazione azionaria.

Premesso che tale questione, sollevata con il secondo motivo di ricorso, introduce un elemento in fatto che viene puntualmente riportato in quella parte motivazionale della sentenza impugnata ove viene definito – in base al contenuto degli atti di parte – il “thema decidendum”, e sul quale il Giudice di appello, pur non espressamente, si è tuttavia pronunciato implicitamente, ritenendolo irrilevante, rimanendo quindi escluso un vizio inerente all’errore di fatto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osserva il Collegio che lo scrutino richiesto a questa Corte non può che essere delimitato al vizio di sussunzione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove, secondo la prospettazione del ricorrente, il Giudice di merito non avrebbe considerato che la relazione di controllo societario tra la società mutuante SFE e la società anonima SBM – proprietaria del Casinò – integrava una sostanziale immedesimazione della prima società nella seconda, in tal modo, venendo ad assumere SFE la stessa posizione di giocatore antagonista rispetto al V..

L’assunto difensivo è infondato.

Il ricorrente confonde il piano economico con quello giuridico, intendendo trasporre quello che può configurarsi come interesse del Gruppo societario sul piano della titolarità delle situazioni giuridiche soggettive ossia sulla assunzione della qualità di parte del rapporto obbligatorio.

Indipendentemente dal difetto di allegazione, nel motivo di ricorso, del regime giuridico applicabile a società di diritto monegasco, osserva il Collegio come il fenomeno del controllo societario, tale che una società – controllante – esercita una influenza dominante sulla controllata, e quella del Gruppo di imprese, che si ricollega alla attività di direzione e coordinamento della capogruppo sulle altre imprese cd. sorelle, non incidono sulla alterità soggettiva delle società, venendo piuttosto in rilievo il complessivo risultato della attività economica che viene svolta dalla capogruppo/controllante e dalla società controllata o appartenente al gruppo, che viene considerato unitariamente a determinati fini (in materia di contabilità e bilanci o in materia di imposizione fiscale, od in termini di responsabilità derivante dalla violazione dei criteri di corretta gestione societaria), ma che non implica la “sostituibilità” o la “identificazione” tra le dette società, permanendo distinto del soggetto giuridico che, nell’attività di impresa, ha assunto verso terzi obbligazioni giuridiche od acquistato diritti.

E’ nota la giurisprudenza comunitaria, sviluppatasi in materia concorrenziale e di imposta sulla cifra di affari, secondo cui “la nozione di impresa dev’essere intesa come riferita a un’unità economica anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone fisiche o giuridiche (v., in particolare, sentenza del 14 dicembre 2006, Confederacion Espahola de Empresarios de Estaciones de Servicio, C-217/05, Racc. pag. 1-11987, punto 40)…” (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza 8 maggio 2013, causa C508/11 P, ENI SpA c/ Commissione Europea, punto 82), ma tale emersione al giuridico della sostanza del fenomeno economico sotteso alla interrelazione tra l’attività imprenditoriale facente capo a diversi soggetti di diritto, assume connotati peculiari per l’ordinamento comunitario essendo quest’ultimo appunto rivolto specificamente a contrastare le condotte anticoncorrenziali e la elusione di imposta, avendo dunque ad oggetto una nozione di impresa economica e funzionale che trova riscontro nel diritto dell’Unione, in quanto funzionale ad un regime di responsabilità derivante dal fatto che le società interessate costituiscono una sola impresa ai sensi dell’art. 81 Trattato CE, attuale art. 101 TFUE (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C111521/09, Racc. pag. I08947, punto 88), e che si discosta invece dalla nozione di impresa propria del diritto societario (cfr. Corte Giustizia UE, sentenza 18 luglio 2013, causa C-501/11 P, Schindler Holding Ltd e altri c/ Commissione Europea), od ancora alla ripartizione tra attività economiche e attività non economiche della suddetta società della quota IVA assolta a monte da una società holding per l’acquisizione di capitali destinati all’acquisto di quote all’interno di società controllate, venendosi a precisare al riguardo che “non ha lo status di soggetto passivo dell’IVA, ai sensi dell’art. 4 della sesta direttiva, e non ha diritto a detrazioni in base all’art. 17 di tale direttiva una società holding il cui unico scopo sia l’assunzione di partecipazioni presso altre imprese, senza che tale società interferisca in modo diretto o indiretto nella gestione delle stesse, fatti salvi i diritti che tale società possiede nella sua qualità di azionista o di socio (v., in particolare, sentenze Cibo Participations, C-16/00, EU:C:2001:495, punto 18, e Portugal Telecom, C-496/11, EU:C:2012:557, punto 31). 19 li mero acquisto e la mera detenzione di partecipazioni societarie non devono essere ritenuti attività economiche ai sensi della sesta direttiva, tali da conferire al soggetto che le abbia effettuate la qualità di soggetto passivo. Infatti, la semplice assunzione di partecipazioni finanziarie in altre imprese non costituisce sfruttamento di un bene al fine di trarne introiti che abbiano carattere stabile, in quanto l’eventuale dividendo, frutto di detta partecipazione, discende dalla mera proprietà del bene (v., in particolare, sentenze Cibo Participations, C-16/00, EU:C:2001:495 punto 19, e Portugal Telecom, C-496/11, EU:C:2012:557, punto 32). 20 Ciò non vale qualora la partecipazione sia accompagnata da un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società di cui si sono acquisite le partecipazioni, fatti salvi i diritti che chi detiene le partecipazioni possiede nella sua qualità di azionista o socio (v., in particolare, sentenze Cibo Participations, C-16/00, EU:C:2001:495, punto 20, e Portugal Telecom, C-496/11, EU:C:2012:557, punto 33).

21 L’interferenza di una società holding nella gestione delle società nelle quali ha assunto partecipazioni costituisce un’attività economica ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2, della sesta direttiva, ove essa implichi il compimento di operazioni soggette all’IVA ai sensi dell’art. 2 di tale direttiva, quali la prestazione di servizi amministrativi, finanziari, commerciali e tecnici da parte della società holding alle sue controllate (v., in particolare, sentenze Cibo Participations, C-16/00, EU:C:2001:495, punto 22, e Portugal Telecom, C-496/11, EU:C:2012:557, punto 34)….” (cfr. Corte Giustizia UE, sentenza del 16 luglio 2015, cause riunite C-108/14 e C-109/14, Beteiligungsgesellschaft Larentia e Minerva mbH & Co. KG c/ Finanzamt Nordenham; Finanzamt Hamburg-Mitte c/ Marenave Schiffahrts AG).

Sulla medesima linea, peraltro, si pone anche la giurisprudenza di legittimità laddove, premesso che il fenomeno societario, quale appunto il gruppo di società, è oggetto di riconoscimento solo indiretto, senza formule definitorie, da parte dell’art. 2497 c.c. e ss., ove si rinviene la disciplina della responsabilità da direzione e coordinamento, afferma, in tema di fiscalità interna (imposta sul reddito di impresa), che il perseguimento dell’interesse dello stesso gruppo societario non esclude l’onerosità della prestazione, che s’impone quale diretta conseguenza dell’autonomia patrimoniale e della distinta soggettività giuridica, anche fiscale, delle società appartenenti al gruppo stesso (cfr. Corte cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 18815 del 28/07/2017) e, più in generale, in tema di rapporti obbligatori derivanti dallo svolgimento della attività di impresa, che il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sè solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto giuridico, formalmente intercorso fra un terzo ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro (cfr. Corte cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 3482 del 12/02/2013, con riferimento al rapporto di lavoro dipendente intrattenuto dal lavoratore con una soltanto delle società del gruppo).

Venendo al caso in esame, occorre osservare che, indipendentemente dal dirimente rilievo che l’accertamento dei rapporti di dominanza idonei a dimostrare che fosse la società controllante e non la controllata a gestire l’attività imprenditoriale di erogazione del prestito al pubblico, è questione che attiene alla indagine di fatto, non sindacabile in sede legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (vizio, peraltro, non denunciato dal ricorrente), la situazione di controllo o di direzione e coordinamento della capogruppo-holding non è “ex se” sufficiente a trasferire su quella i diritti e le obbligazioni derivanti dal contratto di mutuo: l’interesse alla realizzazione dei dividendi anche attraverso gli utili conseguiti dagli interessi corrisposti dal giocatore-mutuatario alla società mutuante, appartenente al gruppo e controllata dalla holding, non consente per ciò solo di individuare la insorgenza di un rapporto giuridico obbligatorio diretto tra la holding ed il giocatore, avente ad oggetto il prestito di denaro, non rilevando ai fini dell’art. 1933 c.c. la mera consapevolezza da parte della società che gestiva il Casinò – e che intratteneva il rapporto di giuoco con il V. – che la erogazione del prestito da parte della società controllata era strumentale a consentire al V. di continuare a giocare d’azzardo, occorrendo invece una diretta identificazione tra il soggetto che -comunque -in posizione concorrente od antagonista all’altro giocatore- partecipa al giuoco o comunque beneficia della posta di gioco e quello che sovvenziona l’altro giocatore, solo in tal caso, per il tramite dell’identità soggettiva giocatore-mutuante, può infatti riconoscersi una identità tra la somma data a mutuo e la posta in giuoco tale per cui il debito del giocatore -mutuatario viene di fatto ad assumere la stessa natura del debito di giuoco (per la riscossione del quale non è data azione) od a trasformarsi nella vincita al giuoco (già incassata e per la quale è data la “soluti retentio”).

La censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., non assurge ai requisiti minimi del motivo di ricorso per cassazione, esonerando dall’obbligo di pronuncia questa Corte, essendosi limitato il ricorrente soltanto a chiedere la condanna alla rifusione delle spese di lite dell’intero giudizio, sul presupposto dell’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2019

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