Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17685 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. III, 29/08/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 29/08/2011), n.17685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9686/2009 proposto da:

M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato MORGANTI

David, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA REGIONE SICILIANA (OMISSIS), ASSESSORATO SANITA’

REGIONE SICILIANA DIPARTIMENTO REGIONALE ASSISTENZA SANITARIA,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARGHERA N. 36, presso lo

studio dell’avvocato PRESIDENZA REGIONE SICILIANA UFFICIO LEGISLATIVO

E LEGALE, rappresentati e difesi dagli avvocati FIANDACA Beatrice,

ABBATE SERGIO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL/(OMISSIS) CATANIA, AZIENDA

OSPEDALIERA

UNIVERSITARIA VITTORIO EMANUELE FERRAROTTO & SANTO BAMBINO,

MINISTERO

LAVORO SALUTE POLITICHE SOCIALI;

– intimati –

nonchè da:

MINISTERO DEL LAVORO DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, in

persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difeso per legge;

– ricorrente incidentale –

contro

M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato MORGANTI

DAVID, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso principale;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL/(OMISSIS) CATANIA, AZIENDA

OSPEDALIERA

UNIVERSITARIA VITTORIO EMANUELE FERRAROTTO & SANTO

BAMBINO,

PRESIDENZA REGIONE SICILIANA (OMISSIS), ASSESSORATO SANITA’

REGIONE SICILIANA DIPARTIMENTO REGIONALE ASSISTENZA SANITARIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5208/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 12/11/2008, depositata il 15/12/2008

R.G.N. 3375/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato DAVID MORGANTI;

udito l’Avvocato BEATRICE FIANDACA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15/12/2008 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame interposto dal Ministero della Salute e in conseguente totale riforma della pronunzia Trib. Roma 10/3/2005, rigettava la domanda proposta dal sig. M.R. di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di epatite HCV e cirrosi epatica contratte all’esito di trasfusioni di sangue subite nell’anno (OMISSIS) in occasione di intervento chirurgico eseguito presso l’Ospedale (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il M. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la Presidenza e l’Assessorato alla sanità della Regione Siciliana e il Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, il quale ultimo spiega altresì ricorso incidentale condizionato, sulla base di 4 motivi, cui resiste con controricorso il M..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 296 del 1958, art. 1, L. n. 592 del 1967, art. 1, artt. 1225, 2043, 2056 c.c., art. 41 c.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto non responsabile il Ministero per non essere all’epoca della condotta ancora conosciuta la patologia e non identificato il virus dell’epatite B, laddove “in tema di responsabilità extracontrattuale sono risarcibili anche i danni non prevedibili”.

Lamenta che “nel 1973 il Ministero era a conoscenza che il sangue era un potenziale veicolo di agenti patogeni ed era a conoscenza di tecniche che avrebbero potuto notevolmente limitare il rischio di contagio”, e “ciononostante ha omesso di impartire direttive alle strutture sanitarie e di effettuare qualsivoglia controllo”.

Con il 2 motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 20 L. n. 592 del 1967, 46, 47 51 d.p.r. n. 1256 del 1971, 65 ss. D.M. 18/6/1971, in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. Si duole che “le conclusioni cui perviene il Giudice del gravame” siano “in palese contraddizione con la letteratura scientifica univoca e con quanto affermato dal C.T.U.”.

Con il 3 motivo denunzia omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente interpretato la sentenza delle Sezioni Unite ed abbia “integralmente disatteso le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. incaricato nel primo grado di giudizio”.

Con il 4 motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto “indimostrata” la proposta domanda risarcitoria, trattandosi invero nel caso di responsabilità contrattuale ed avendo egli “provato tanto il contratto mediante la produzione della cartella clinica relativa al ricovero, quanto il danno patito a seguito delle trasfusioni cui si era sottoposto presso gli Ospedali riuniti di Catania mediante i verbali delle Commissioni mediche Ospedaliere e la stessa C.T.U.”.

Il 1 ed il 3 motivo, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.

Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare, il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi (v.

Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584).

Le Sezioni Unite hanno posto in rilievo che gli obblighi del Ministero di prevenzione, programmazione, vigilanza e controllo deriva da una pluralità di fonti normative.

Possono al riguardo in particolare indicarsi:

– la L. n. 296 del 1958, art. 1, che attribuisce al Ministero il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica, di sovrintendere ai servizi sanitari svolti dalle amministrazioni autonome dello Stato e dagli enti pubblici, provvedendo anche al relativo coordinamento, nonchè ad emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari;

– la L. n. 592 del 1967, art. 1, che attribuisce al Ministero le direttive tecniche per l’organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti la raccolta, la preparazione, la conservazione, la distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale, nonchè la preparazione dei suoi derivati, e per l’esercizio della relativa vigilanza;

– La L. n. 592 del 1967, art. 20, che attribuisce al Ministero il compito di proporre l’emanazione di norme relative all’organizzazione, al funzionamento dei servizi trasfusionali, alla raccolta, alla conservazione e all’impiego dei derivati, alla determinazione dei requisiti e dei controlli cui debbono essere sottoposti;

– la L. n. 592 del 1967, art. 21, che attribuisce al Ministero il compito di autorizzare l’importazione e l’esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico;

– la L. n. 592 del 1967, art. 22, che attribuisce al Ministero il potere di autorizzare l’autorità sanitaria a disporre la chiusura del centro, del laboratorio o dell’officina autorizzati;

– il D.P.R. n. 1256 del 1971 (recante regolamento di attuazione della L. n. 592 del 1967), contenente norme concernenti i poteri di controllo e vigilanza in materia del Ministero, e contemplante (art. 44) l’obbligo di controllare se il donatore di sangue sia affetto da epatite virale, vietando in tal caso la trasfusione (cfr. Cass., 20/4/2010, n. 9315);

– il D.M. Sanità 7 febbraio 1972, contenente norme regolanti l’attività del Centro nazionale per la trasfusione del sangue, nonchè la previsione che il Ministero della sanità sia costantemente informato delle attività del Centro;

– il D.M. Sanità 15 settembre 1972, disciplinante l’importazione e l’esportazione del sangue e dei suoi derivati, contemplante l’autorizzazione ministeriale (almeno nel caso di provenienza da Paesi nei quali non vi sia una normativa idonea a garantire la sussistenza dei requisiti minimi di sicurezza) agli ospedali ed ai centri gestori per la produzione di emoderivati ed alle officine farmaceutiche che, all’esito di accertamento dell’Istituto superiore di sanità, siano risultati idonei ad eseguire i controlli sui prodotti importati;

– la L. n. 519 del 1973, attribuente all’Istituto superiore di sanità compiti attivi a tutela della salute pubblica;

– la L. 23 dicembre 1978, n. 833, che ha istituito il Servizio sanitario Nazionale conservando al Ministero della Sanità, oltre al ruolo primario nella programmazione del piano sanitario nazionale con compiti di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali delegate in materia sanitaria, importanti funzioni in materia di produzione, sperimentazione e commercio dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati (art. 6. lett. b, c), confermando (art. 4, n. 6) che la raccolta, il frazionamento e la distribuzione del sangue umano costituiscono materia di interesse nazionale;

– il D.L. n. 443 del 1987, che ha introdotto la c.d.

farmacosorveglianza dei medicinali da parte del Ministero della Sanità, a quest’ultimo attribuendo il potere di stabilire le modalità di esecuzione del monitoraggio sui farmaci a rischio, e di emettere provvedimenti cautelari relativamente ai prodotti in commercio;

– la L. n. 107 del 1990, attribuente all’Istituto superiore di sanità il compito di provvedere alla prevenzione delle malattie trasmissibili, di ispezionare e controllare le aziende di produzione di emoderivati e le specialità farmaceutiche emoderivate, nonchè di vigilare sulla qualità dei plasma derivati prodotti in centri individuati ed autorizzati dal ministero (art. 10); e che assegna al Ministero della sanità il potere di autorizzare l’importazione di emoderivati pronti per l’impiego;

– la L. n. 178 del 1991, disciplinante (anche) le modalità di rilascio e revoca dell’autorizzazione ministeriale alla produzione, importazione e immissione in commercio delle specialità medicinali, con incisivi poteri ispettivi e di vigilanza del Ministero;

il D.M. Sanità 12 giugno 1991, disciplinante l’autorizzazione ministeriale all’importazione di sangue e plasma derivati;

– il D.Lgs. n. 502 del 1992, che ha riordinato la normativa in materia sanitaria, ampliando le competenze delle Regioni e conservato al Ministero della sanità poteri di ingerenza e sostitutivi;

– il D.Lgs. n. 266 del 1993, che ha conservato al Ministero compiti e poteri di vigilanza in materia di sanità pubblica;

– il D.Lgs. n. 267 del 1993, che ha attribuito poteri di controllo e di vigilanza all’Istituto superiore di sanità a tutela della salute pubblica;

– il D.Lgs. n. 44 del 1997, che ha attribuito al Ministero della sanità poteri in tema di farmacosorveglianza;

il D.Lgs. n. 449 del 1997, art. 32, comma 11, attribuente al Ministero la vigilanza sull’attuazione del Piano sanitario nazionale;

– il D.Lgs. n. 112 del 1998, che nel conferire alle Regioni la generalità delle attribuzioni in materia di salute umana, ha lasciato invariato il riparto di competenza in materia di sangue umano e suoi componenti.

Orbene, già in considerazione delle fonti sopra richiamate emerge un quadro alla stregua del quale risultano attribuiti al Ministero attivi poteri di vigilanza nella preparazione ed utilizzazione di emoderivati, e di controllo in ordine alla relativa sicurezza.

Si evince altresì, e d’altro canto la giurisprudenza -anche di merito- da tempo ne ha dato diffusamente conto, come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni x60 -inizi anni 70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la rilevazione (indiretta) dei virus essendo possibile già mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti-HbcAg (cfr. Cass., 15/7/1987, n. 6241;

Cass., 20/7/1993, n. 8069. In giurisprudenza di merito cfr. Trib.

Milano, 19/11/1997; Trib. Roma, 14/6/2001), e che già da tale epoca sussistevano obblighi normativi (L. n. 592 del 1967; D.P.R. n. 1256 del 1971; L. n. 519 dei 1973; L. n. 833 del 1973) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto.

Sin dalla metà degli anni 60 erano infatti esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT – indicatori della funzionalità epatica – fossero alterati rispetto ai limiti prescritti (cfr., da ultimo, Cass., 20/4/2010, n. 9315).

Come questa Corte ha già avuto modo di osservare, lo stesso Ministero, ben a conoscenza del fenomeno, ha con circolari n. 1188 del 30 giugno 1971, 17 febbraio e 15 settembre 1972 disposto la ricerca sistematica dell’antigene Australia (cui fu dato poi il nome di antigene di superficie del virus dell’epatite B); e con circolare n. 68 del 1978 ha poi reso obbligatoria la ricerca della presenza dell’antigene dell’epatite B in ogni singolo campione di sangue o plasma.

Anche prima dell’entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivatì, sulla base della legislazione vigente in materia il Ministero della sanità era dunque tenuto ad attività di controllo, direttiva e vigilanza in materia di sangue umano. E l’omissione delle attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento gli attribuisce il potere (nel caso concernente la tutela della salute pubblica) espone il Ministero a responsabilità extracontrattuale allorquando come nella specie dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico (il quale è strumentale ed accessorio a quel potere) derivi la violazione di interessi giuridicamente rilevanti dei cittadini-utenti (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576).

Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, a fronte di tali obblighi normativi la discrezionalità amministrativa invero si arresta, e non può essere invocata per giustificare le scelte operate nel peculiare settore della plasmaferesi.

Il dovere del Ministero della salute di vigilare attentamente sulla preparazione ed utilizzazione del sangue e degli emoderivati postula d’altro canto l’osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, specificamente in relazione all’impiego delle misure necessarie per verificarne la sicurezza, essendo esso tenuto ad evitare o ridurre i rischi a tali attività connessi (cfr.

Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581).

A tale stregua il comportamento omissivo o comunque non diligente del Ministero nei controlli e nell’assolvimento dei compiti affidatigli (ivi compresi quelli relativi all’attuazione del Piano sangue, previsto dalla L, n. 592 del 1967 e realizzato solo nel 1994) ridonda in termini di relativa responsabilità.

La colpa della P.A. rimane al riguardo integrata in ragione della violazione dei comportamenti dovuti di vigilanza e controllo, imposti dalle fonti normative più sopra richiamate, costituenti limiti esterni all’attività discrezionale ed integranti la norma primaria del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. (cfr., in relazione ad altra fattispecie, Cass., 27/4/2011, n. 9404), in base alle quali essa è tenuta ad un comportamento di vigilanza, sicurezza ed attivo controllo in ordine all’effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio di emotrasfusione di quanto loro prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto (cfr. Cass., 28/9/2009, n. 20765, e, da ultimo, Cass., 23/5/2011, n. 11301), non potendo considerarsi invero esaustiva delle incombenze alla medesima in materia attribuite la quand’anche assolta mera attività di normazione (emanazione di decreti, circolari, ecc.).

Al mantenimento di tale condotta la P.A. è d’altro canto tenuta già in base all’obbligo di buona fede o correttezza, generale principio di solidarietà sociale – che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale – in base al quale nei rapporti della vita di relazione il soggetto è tenuto a mantenere un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui -nei limiti dell’apprezzabile sacrificio-, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651;

Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n. 22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056. Da ultimo cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404).

A tale stregua, in caso di concretizzazione del rischio che la regola violata tende a prevenire non può prescindersi dalla considerazione del comportamento dovuto e della condotta nel singolo caso in concreto mantenuta, e il nesso di causalità che i danni conseguenti a quest’ultima astringe costituendone lo specifico risultato rimane invero presuntivamente provato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 582. E, da ultimo, Cass., 27/4/2011, n. 9404).

Al riguardo, vale ulteriormente osservare, nello specificare che il Ministero della salute risponde “anche per il contagio degli altri due virus” già “a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B”, trattandosi non già di “eventi autonomi e diversi” ma solamente di “forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto”, le Sezioni Unite non hanno certamente inteso, diversamente da quanto apoditticamente affermato nell’impugnata sentenza, limitare la rilevanza del fenomeno e la relativa responsabilità alla “data di conoscenza dell’epatite B” (laddove era stata invero la precedente Cass., 31/5/2005, n. 11609, ad affermare che fino a quando non erano conosciuti dalla scienza medica i virus della HBV, HIV ed HCV, e, quindi i “test” di identificazione degli stessi, cioè, rispettivamente fino al 1978, 1985 e 1988, in caso di evento infettivo causato da detti virus per effetto di emotrasfusioni e assunzione di prodotti emoderivati inverosimile dovesse considerarsi difettare il nesso causale fra la condotta omissiva del Ministero della Sanità – tenuto in base alla normativa previgente a quelle date a compiti di autorizzazione, direzione e sorveglianza sul settore dell’importazione del sangue e degli emoderivati – e tale evento, argomentando dal rilievo che, in tema di illecito aquiliano colposo mediante omissione, all’interno della serie causale può darsi rilievo solo a non del tutto inverosimile, tenuto conto della norma quello che al momento in cui si verifica l’omissione appaia comportamentale imponente l’attività omessa; ed altresì ritenendo di dover a fortiori escludere la colpa del Ministero in presenza di evento imprevedibile, in quanto lo stesso non può conoscere la capacità infettiva dei detti virus prima ancora della comunità scientifica).

Le Sezioni Unite hanno al riguardo per converso sottolineato come si tratti di un “rischio che è antico quanto la necessità delle trasfusioni” (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581).

A tale stregua, non può allora non ritenersi il Ministero della salute tenuto, anche anteriormente alle sopra riportate date indicate da Cass., 31/5/2005, n. 11609, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente dai virus de quibus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi, in adempimento di obblighi specifici posti dalle fonti normative speciali più sopra indicate (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581).

Orbene, nell’affermare che “la recente pronunzia delle Sezioni Unite Civili della Corte di cassazione (sent. n. 581/2007) non ha mancato di sottolineare che anche nel caso del virus HCV la responsabilità del Ministero non poteva andare a ritroso nel tempo, oltre la data di conoscenza dell’epatite B (anno 1978)”, e nel conseguentemente concludere che “risalendo all’anno 1973 le trasfusioni di sangue subite dal M., nessun addebito di responsabilità può essere mossa al Ministero e alle Amministrazioni della regione Sicilia”, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, traendone corollari erronei, alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto.

Alla fondatezza, negli indicati termini, del 1 e del 3 motivo consegue l’accoglimento in relazione del ricorso principale, con assorbimento delle altre censure.

Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2 motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., artt. 157, 438, 452, 590 c.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2935, 2947 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

II quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia -tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, i quesiti di diritto recati dal ricorso incidentale non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando invero la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

I formulati quesiti in realtà nel caso si sostanziano nella richiesta di declaratoria di generico principio di diritto, e a tale stregua si palesano privi di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività tale da consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 84 63), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;

Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un,, 28/9/2007, n. 20360), circoscrivendo la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez., Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso i motivi risultano formulati in violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorrente in via incidentale fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., al “gravame proposto dal Ministero”; alla “prima diagnosi della malattia (avvenuta nel (OMISSIS)); all’atto di appello”; alla “presentazione della domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 del 1996”; alla “data di prima diagnosi della malattia in occasione di un ricovero ospedaliere, come risulta dagli stessi scritti difensivi della controparte”; “al momento in cui la stessa ha dichiarato di avere avuto conoscenza dell’affezione contratta” limitandosi a meramente richiamarli, senza debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse- riprodurli nel ricorso.

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazìone avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il motivo con il quale si denunzia vizio di motivazione non reca la “chiara indicazione” -nei termini più sopra indicati- delle relative “ragioni”, tali non potendo ritenersi i formulati momenti di sintesi, invero non recando essi la sintetica e riassuntiva indicazione del fatto controverso, degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Non può d’altro canto sottacersi, con riferimento in particolare al 1 motivo (con il quale si duole che la corte di merito abbia apoditticamente rigettato l’eccezione di prescrizione, senza esprimere alcuna considerazione esplicita nè sul termine applicabile nè sulla data di decorrenza della stessa), che il ricorrente in via incidentale non ha al riguardo invero formulato denunzia di error in procedendo ex art. 112 c.p.c..

All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Atteso l’accoglimento nei suesposti termini del ricorso principale, va disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei disattesi principi applicazione.

Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie p.q.r. il 1 ed il 3 motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti del ricorso principale e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, dal Collegio riconvocatosi nella medesima composizione, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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