Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17685 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 25/08/2020), n.17685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25444-2018 proposto da:

B.S., A.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

MANZI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati MICHELE

STECCANELLA, e NICOLETTA STECCANELLA;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MASSINI 121,

presso lo studio dell’avvocato VITTORIO SUSTER, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato RICCARDO GALLESE;

– controricorrenti –

e contro

P.A., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1450/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il (OMISSIS) sito nel comune di (OMISSIS) e i condomini P.A., + ALTRI OMESSI e l’Immobiliare Pegasus s.a.s. convennero in giudizio la s.a.s. La Casa di A.R. & C., B.S. e l’ing. S.G., nelle rispettive qualità di committente/venditore, di costruttore e di progettista dell’immobile condominiale, al fine di sentirne accertare la responsabilità per la parziale rovina del predetto immobile – causata da cedimenti del terreno – e per sentirli condannare al risarcimento dei danni in forma specifica (mediante esecuzione degli interventi necessari ad assicurare la stabilità e la sicurezza dell’edificio) e, in subordine, al risarcimento dei danni per equivalente;

si costituirono in giudizio tutti i convenuti nonchè il Comune di (OMISSIS) (chiamato in causa dallo S.) e le compagnie assicuratrici INA Assitalia e Fondiaria Sai (chiamate in manleva dalla soc. La Casa s.a.s. e dal B.); proposero intervento volontario V.R. e Be.Ro., proprietari di un appartamento compreso nel Condominio;

all’esito dell’istruttoria e dopo che gli attori avevano abbandonato la domanda di risarcimento in forma specifica, chiedendo esclusivamente la condanna al risarcimento dei danni per equivalente, il Tribunale di Belluno pronunciò sentenza n. 668/2011 con cui accertò la concorrente responsabilità dei convenuti La Casa s.a.s., B. e S. e li condannò, in solido, a pagare agli attori e agli intervenutix la somma di 420.000,00 Euro, in valori attuali, a titolo di risarcimento danni, oltre agli interessi al tasso legale da computare sul capitale devalutato all’epoca dei fatti (ossia Euro 277.000,00 Euro al settembre 1993) e rivalutato annualmente in relazione alle variazioni ISTAT dei prezzi al consumo, sino al saldo effettivo;

proposero distinti atti di appello lo S., il B. e A.R. (quest’ultimo legittimato in proprio, in qualità di socio accomandatario della soc. La Casa cancellata dal registro delle imprese in pendenza del termine per impugnare); proposero appello incidentale il Condominio e i singoli condomini (compresi gli intervenuti);

La Corte di Appello di Venezia ha rigettato sia gli appelli principali che quelli incidentali, confermando la sentenza impugnata;

con un unico atto, hanno proposto ricorso per cassazione B.S. e A.R., affidandosi ad un solo articolato motivo; ha resistito con controricorso il (OMISSIS).

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, i ricorrenti denunciano – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione degli artt. 1669,2043,2056,2058,1223 c.c. e art. 1282 c.c., comma 1, nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2;

i ricorrenti rilevano che, con i rispettivi atti di appello, il B. e l’ A. avevano impugnato la sentenza di primo grado “nella parte in cui, pur avendo riconosciuto agli attori, a titolo risarcitorio, somma pari all’attuale integrale costo delle riparazioni da effettuarsi sul fabbricato, aveva liquidato su detta somma anche gli interessi, con decorrenza non dall’effettuazione delle riparazioni (mai intervenuta), ma dall’epoca della prima contestazione dell’evento lesivo”, con ciò “ristorando un pregiudizio in realtà inesistente, poichè il Condominio non aveva subito alcun danno per la ritardata corresponsione di somma che non aveva mai speso”;

tanto premesso, lamentano che la Corte veneta non ha preso in considerazione le loro argomentazioni, ma soltanto quelle svolte – in punto di non spettanza degli interessi – dallo S., di talchè la pronuncia risulta “inficiata da palese violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità”;

sotto altro profilo, deducono l’erroneità dell’assunto della Corte di Appello secondo cui il primo giudice avrebbe correttamente applicato il costante orientamento della Suprema Corte espresso da Cass., S.U. n. 1712/1995 e da successive pronunce conformi; rilevano, infatti, che, nel caso de quo, “non vi è stata liquidazione del danno per equivalente, ma risarcimento in forma specifica, con ciò intendendosi quel risarcimento che è finalizzato “alla diretta rimozione della lesione” o in natura o mediante pagamento di una somma di denaro ragguagliato al costo necessario ed effettivo per operare la reintegra” e concludono che “la effettuazione della riparazione o la corresponsione della somma necessaria allo scopo costituisce integrale ed esaustiva eliminazione della lesione (…), sicchè non è ipotizzabile un danno conseguente alla ritardata percezione della somma (sempre che, ovviamente, la riparazione non sia intervenuta prima della liquidazione), poichè essa è destinata a non entrare nel patrimonio del soggetto leso per restarvi ed essere messa a frutto (come accade nel risarcimento per equivalente di valore), ma ad essere spesa”;

risulta preliminare l’esame della questione di natura processuale, rispetto alla quale si osserva che:

la censura di error in procedendo deduce -nella sostanza-l’omessa pronuncia su un motivo di appello proposto sia dal B. che dall’ A. piuttosto che una carenza della motivazione rispetto ad esso, giacchè – come rilevato dai ricorrenti e per quanto emerge dalla sentenza impugnata – la Corte territoriale si è pronunciata esclusivamente sull’analogo motivo proposto dallo S.;

i ricorrenti localizzano il rispettivo motivo e ne riproducono indirettamente il contenuto (alle pagg. 7, 8 e 9), ma non indicano se lo stesso sia stato ribadito in sede di precisazione delle conclusioni ai sensi dell’art. 352 c.p.c., omettendo pertanto di dimostrare che la Corte territoriale dovesse pronunciarsi su di esso;

da ciò consegue l’inammissibilità del motivo, alla luce del principio secondo cui “la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare – a pena di inammissibilità che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni” (Cass. n. 5087/2010; cfr., ex multis, Cass. n. 11894/2019, Cass. n. 7221/2019, Cass. n. 2393/2019, Cass. n. 22563/2018, Cass. n. 24163/2014, tutte non massimate);

va peraltro considerato, in via gradata, che dalla lettura della sentenza impugnata emerge che le conclusioni depositate in via telematica e in essa riportate non comprendono alcunchè in ordine alla questione degli interessi di cui tratta l’odierno ricorso (vedi pagg. 6-7 per B. e pagg. 7-8 per A.; vedi invece le conclusioni di S., a pag. 3, che fanno riferimento agli interessi); nè può ritenersi che le conclusioni del B. e quelle dell’ A., là dove chiedono le restituzioni di quanto pagato in esecuzione della sentenza “con interessi legali dal giorno del pagamento al soddisfo”, possano essere considerate idonee a giustificare il mantenimento del motivo, dato che sono consequenziali alla richiesta di rigetto integrale della domanda e, dunque, alla negazione della sua fondatezza totale nell’an debeatur (“anche per intervenuta decadenza e/o prescrizione”);

la seconda questione – di natura sostanziale – resta assorbita, non essendo emerso che la stessa sia stata coltivata fino alla conclusione del giudizio di appello;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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