Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17684 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. II, 28/07/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 28/07/2010), n.17684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20281-2007 proposto da:

T.M.G. (OMISSIS), T.

M.B. (OMISSIS), U.A.V.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO V. 37, presso lo studio dell’avvocato PURITANO MARCELLO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALGOZINI ALESSANDRO;

– ricorrenti –

e contro

P.M.G., P.I., G.F.G.,

anche quali eredi di P.B.;

– intimati –

e contro

ASSESS BBCCAA E PI REG SICILIANA, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2205/2006 del TRIBUNALE di PALERMO, depositata

il 15/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dep. il 4 giugno 1993 il Pretore di Palermo accoglieva il ricorso di reintegrazione del possesso proposto da T. M.G. di (OMISSIS), U.A.V. e T.M.B. dichiarando che: questi ultimi avevano il compossesso dell’edicola marmorea con all’interno il busto del vicerè Speciale sito alla sommità del palazzo (OMISSIS); l’alienazione che di detto busto avevano compiuto i condomini P.B., P.M. G., P.I. e G.F.G. ved. P. costituiva spoglio ai danni dei ricorrenti, spoglio di cui l’acquirente Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali e alla Pubblica Istruzione della Regione Sicilia era consapevole.

Con sentenza dep. il 15 maggio 2006 il Tribunale di Palermo, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’Assessorato, rigettava la domanda di reintegrazione, compensando le spese processuali fra gli attori e i P. e condannando i ricorrenti al pagamento in favore dell’ Assessorato delle spese del giudizio di primo e secondo grado.

I giudici di appello – rilevato che correttamente il Pretore aveva ritenuto l’esistenza del compossesso, corrispondente all’esercizio del diritto reale di natura pertinenziale vantato sul busto collocato, al momento del dedotto spoglio, sulla sommità della scala di palazzo (OMISSIS) al centro tra gli ingressi delle abitazioni degli eredi P. e dei ricorrenti – hanno escluso che fosse stata raggiunta la prova della consapevolezza da parte dell’Assessorato dello spoglio: dopo avere ritenuto sospetto l’esercizio del diritto di prelazione sul bene esercitato ai sensi dell’art. 32 della Legge sul bene che era stato dai P. alienato all’avv. Lanza che era l’originario procuratore dei medesimi, il primo Giudice aveva tratto dalla consapevolezza di tali circostanze da parte dell’Assessorato la indebita conclusione che l’alienazione del busto da parte dei P. al loro procuratore fosse finalizzata a “prevenire possibili pretese nei confronti di quest ‘ultimo da parte di altri proprietari del palazzo in grado di vantare situazioni di compossesso del busto ” e che l’Assessorato se ne fosse reso in qualche modo interessato complice avendo accelerato la pratica; tale affermazione – secondo la sentenza di appello – era sfornita di prove, mentre dal carteggio intercorso con l’Assessorato non era mai emerso il riferimento a soggetti diversi dai P. quali proprietari del busto; d’altra parte, nell’atto di vendita dagli eredi P. all’avv. Lanza di Scalea, in relazione al quale l’Assessorato aveva esercitato un diritto di opzione, all’art. 3 i venditori dichiaravano e garantivano di essere unici proprietari dei beni oggetto del presente contratto e che all’infuori di loro venditori nessuno poteva vantare diritti di sorta.

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione T. M.G., T.M.B. e U. A.V. sulla base di quattro motivi.

L’Assessorato Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali e alla Pubblica Istruzione Regione Sicilia ha depositato memoria di costituzione non sottoscritta. Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata inammissibile la costituzione nel presente giudizio dell’Avvocatura dello Stato nell’interesse dell’Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali e alla Pubblica Istruzione della Regione Sicilia, in quanto avvenuta con memoria di costituzione non sottoscritta.

Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1168 e 1169 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censurano la decisione gravata che, dopo avere correttamente ritenuto la sussistenza del compossesso da parte dei T.- U. del busto oggetto di spoglio perpetrato dai P., aveva qualificato l’Assessorato come terzo acquirente, escludendo la consapevolezza nel medesimo che il bene era stato oggetto di spoglio.

La sentenza aveva violato l’art. 1169 cod. civ., che ammette lo spogliato all’esercizio dell’azione di reintegrazione contro colui che abbia acquistato il bene a titolo particolare con la conoscenza dell’avvenuto spoglio. Nella specie, a seguito di comunicazione da parte dei P. in data (OMISSIS), l’Assessorato aveva dichiarato di esercitare il diritto di prelazione sul bene alienato con Decreto 1-9-1988, puntualizzando che il bene de quo diveniva di proprietà dalla data del presente provvedimento, cioè dal 1 settembre 1988 , più di sei mesi prima del lamentato spoglio che aveva avuto luogo il 13-4-1989 secondo quanto risultava dal verbale di rimozione del busto e dalla prova testimoniale resa dal L., dalla quale era emerso che lo spoglio era avvenuto ad opera degli alienanti e dell’Assessorato Pertanto, formulano al riguardo, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il seguente quesito: “Dica codesta Suprema Corte di Cassazione se la sentenza … resa dal Tribunale di Palermo … viola l’art. 1168 c.c. nella parte in cui non ha ritenuto applicabile la norma stessa, e qualificato Assessorato BB.CC.AA. e PI. come terzo acquirente, rigettando di conseguenza la domanda di reintegrazione nel possesso”.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando che la motivazione era contraddittoria, censurano la sentenza che, pur avendo accertato il rapporto di pertinenzialità fra il busto, l’edicola ed il Palazzo Speciale (OMISSIS), aveva poi escluso la consapevolezza dello spoglio da parte dell’Assessorato, il quale doveva considerarsi autore materiale dello spoglio ed era consapevole della situazione dei luoghi e dunque a conoscenza del predetto rapporto.

Pertanto, formulano al riguardo, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il seguente quesito: “Dica codesta Suprema Corte di Cassazione se la motivazione della sentenza … sia affetta da erronea e contraddittoria nella parte cui ha ritenuto la applicabilità dell’art. 1169 c.c. ed ha rigettato la domanda di reintegrazione nel possesso spiegata dai ricorrenti nei confronti dello Assessorato BB.CC.AA. e P.I. ritenendo non provata la consapevolezza dello spoglio da parte quest ‘ultimo pur in presenza di una situazione di fatto, che inequivocabilmente denunciava la esistenza di un rapporto di pertinenzialità tra l’immobile ed il bene per cui è causa”.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro connessione, sono inammissibili, in quanto non sono conformi ai requisiti prescritti dal citato dell’art. 366 bis, ratione temporis applicabile.

Ed invero, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4), il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dal l’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., secondo cui è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006,oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato.

In tal modo il legislatore si era proposto l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. è quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del ricorso per cassazione, che non è solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.

Analogamente, nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto),separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall’esposizione del motivo,che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U. 20603/07). In tal caso,l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del vizio del procedimento logico-giuridico che, incidendo nella erronea ricostruzione del fattoria stato determinante della decisione impugnata. Pertanto, non è sufficiente che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua esposizione. La norma ha evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’art. 360 c.p.c., n. 5 al giudice di legittimità, che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato,non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si è ,così,inteso precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.

Orbene nella specie i motivi, in realtà, non denunciano la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ma, censurando piuttosto la ricostruzione del fatto compiuto dal giudice di merito, ne prospettano una versione difforme da quella accertata in sentenza (l’Assessorato era l’autore materiale dello spoglio e consapevole dell’altrui possesso), sollecitando la Corte a una inammissibile verifica (in sede di legittimità) in ordine all’accertamento di fatto circa la qualità o meno di terzo acquirente dell’Assessorato e alla sua consapevolezza dell’altrui possesso. In realtà, i “quesiti” si risolvono in una richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie senza che siano state specificamente censurate quelle che sono state le argomentazioni dei giudici nel pervenire al proprio convincimento, dovendo qui osservarsi che, se da un canto, la sentenza ha evidenziato che nelle trattative che avevano portato all’acquisto del busto da parte dell’Assessorato non era mai emerso il riferimento a soggetti diversi dai P., quali proprietari del busto, ed i venditori avevano dichiarato e, garantito di essere unici proprietari del bene, la mera collocazione del busto ubicato sulla sommità della scala del palazzo (OMISSIS) al centro tra gli ingressi delle abitazioni degli eredi P. e T.- U. non era idonea a dimostrare il possesso da parte degli attori e quindi la consapevolezza da parte dell’Assessorato dello spoglio, tenuto conto che, ai fini della natura pertinenziale del rapporto fra la cosa accessoria e quella principale, occorre anche la destinazione da parte del proprietario o possessore della prima al servizio della seconda ed in proposito la sentenza impugnata ha accertato – circostanza decisiva per la configurabilità del possesso a favore degli attori – che erano per l’appunto i predetti ad avere la chiave della nicchia ove era custodito il busto.

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono che l’azione di reintegrazione era stata proposta anche contro i P.- G., la cui qualifica di autori materiali dello spoglio era stata pacificamente accertata, per cui avrebbe dovuto disporre la reintegrazione nel possesso nei confronti di questi ultimi e condannarli alle spese del giudizio.

Il motivo va accolto. La sentenza, riformando la decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di reintegrazione proposta dagli attori, compensando le spese del giudizio fra questi ultimi e gli eredi P., pur avendo confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto avvenuto lo spoglio perpetrato da costoro ai danni degli attori con la arbitraria rimozione del busto da parte dei P., mentre veniva esclusa la consapevolezza da parte dell’Assessorato. Orbene se, come si è visto, quest’ultima statuizione non è scalfita dalle censure sollevate con i primi due motivi, deve ritenersi erronea la decisione laddove, avendo emesso la pronuncia di rigetto della domanda nei confronti dei P., quali autori riconosciuti dello spoglio, ha in sostanza e contraddittoriamente escluso l’illiceità della loro condotta, mentre la circostanza che lo spoliator abbia perso la disponibilità del bene per averlo alienato a terzi è irrilevante tant’ è vero che l’art. 1169 cod. civ., prevedendo che la reintegrazione può essere domandata “anche” nei confronti di chi è nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio, prevede anche in tale ipotesi la legittimazione passiva dell’autore dello spoglio: la sentenza di reintegrazione ha nei confronti del predetto il valore di declaratoria dell’illiceità della condotta dal medesimo tenuta e che potrebbe legittimare una richiesta di risarcimento danni. La consequenziale statuizione relativa alla compensazione delle spese fra gli attori e i P. è, ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., caducata in considerazione di quanto sopra ritenuto.;

Con il quarto motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., deducono che la sentenza impugnata aveva liquidato a favore dell’Assessorato, in relazione al giudizio di secondo grado, onorari di importo (Euro 8.245,00) superiore a quello stabilito nel massimo dalla tariffa in vigore dal 2 giugno 2004, a stregua della quale in considerazione delle varie voci, i minimi sono fissati in Euro 1.080,00 e i massimi in Euro 6.300,00.

Il motivo va accolto. La sentenza, nel liquidare a favore dell’Assessorato gli onorari nella misura di Euro 8.245,00, ha superato i massimi stabiliti dalle tariffe forensi di cui al D.M. n. 127 del 2004 per le cause dinanzi al tribunale: al riguardo, gli onorari ammontavano a complessivi Euro 6.300,00, trattandosi di causa di valore indeterminabile. La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese della presente fase, alla Corte di appello di Palermo.

P.Q.M.

Accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso rigetta i primi due cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia,anche per le spese della presente fase, alla Corte di appello di Palermo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

 

 

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