Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17684 del 07/09/2016

Cassazione civile sez. II, 07/09/2016, (ud. 16/02/2016, dep. 07/09/2016), n.17684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19475-2011 proposto da:

P.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GRADISCA 7, presso lo studio dell’avvocato ANDREA BARLETTA,

rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELE PANACCIONE;

– ricorrente –

contro

B.R., B.E., B.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA T. MONTICELLI 12, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, rappresentati e difesi

dall’avvocato SANDRO SALERA;

– controricorrenti –

e contro

T.M.A.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2292/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato MELUCCO Giorgio, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato SALERA Sandro, difensore dei controricorrenti che si

è riportato agli atti depositati ed ha insistito sul duplice motivo

di inammissibilità;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il tribunale di Cassino il 10 febbraio 2005 ha respinto la domanda proposta dai fratelli B., volta all’accertamento della loro piena proprietà, in forza di titoli di acquisto e comunque per usucapione di due terreni, siti in località (OMISSIS), in comune di (OMISSIS) (FG 13, part. n. 197 e Fg 26 n.35), pervenuti per successione paterna nel 1979 e posseduti in modo indisturbato fino al 1996, epoca delle intromissioni di terzi.

I B. hanno citato in sede di appello P.A., odierna ricorrente, che nel settembre 1996 aveva acquistato i due terreni da tal T.M., nonchè quest’ultima, rimasta contumace anche in fase di appello.

La Corte di appello di Roma con sentenza 26 maggio 2010 ha riformato la sentenza di primo grado; ha riconosciuto che era maturata l’usucapione in favore degli attori e per l’effetto ha dichiarato la nullità dell’atto di vendita da T. a P..

Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione, notificato nel luglio 2011, con un solo complesso motivo.

I B. hanno resistito con controricorso.

Vi sono memorie di entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, che secondo parte resistente sarebbe tardivo, in quanto proposto oltre il termine c.d. lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di appello previsto dall’art. 327 c.p.c..

Il rilievo è infondato, perchè il termine applicabile nella specie è quello di un anno, secondo il disposto dell’art. 327 c.p.c. nel testo anteriore alla novella del codice di rito che lo ha dimezzato.

Il nuovo termine è applicabile ai soli giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, come stabilito dall’art. 58, che regola la disciplina transitoria (Cass. 9246/15 ex multis).

Il ricorso è tempestivo perchè la sentenza del 26 maggio 2010 è stata impugnata con atto consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica alla litisconsorte T. in data 11 luglio 2011 e dunque esattamente nell’ultimo giorno utile (1 anno e 46 giorni dopo). Indifferente è che la notifica alle altre parti sia stata posteriore, atteso che ex art. 331 c.p.c. il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato successivamente, anche molti anni dopo, con ordinanza in udienza (SU 14124/2010), se parte ricorrente non avesse provveduto alla notifica nei successivi giorni di luglio.

3) L’unico motivo di ricorso per cassazione denuncia l’insufficienza della motivazione della sentenza di appello, che avrebbe erroneamente ritenuto che sia stata raggiunta la prova dell’usucapione del terreno conteso.

La censura, pur abilmente argomentata, risulta priva di fondamento.

Giova premettere che in sede di appello la controversia si è ristretta all’accertamento dell’intervenuta usucapione, atteso che gli attori non erano riusciti a dar prova dell’esistenza del titolo originario di acquisto del bene, loro pervenuto per successione paterna, apertasi nel 1979.

Al 1996 risale invece l’atto di vendita con il quale la ricorrente P. ha acquistato i terreni contesi da T.M., che vantava anch’essa soltanto una successione testamentaria dal padre adottivo B.M., apertasi nel 1976, ma concretizzatasi con una denuncia di successione integrativa presentata dalla venditrice vent’anni dopo, in data 28.8. 1996.

Nel 1996, dopo l’acquisto P., si sarebbe verificata l’occupazione di terreno alla quale i B. hanno reagito con la citazione del 2000.

La Corte di appello ha ritenuto che sia stata raggiunta la prova dell’usucapione in favore degli attori B., perchè essi hanno unito il possesso esercitato dal padre fin dal 1970, con quello proprio, pacificamente esercitato fino al 1996.

Il ricorso si è sforzato di evidenziare contraddizioni o discrasie delle dichiarazioni testimoniali favorevoli ai resistenti, che risalgono a imprecisi ricordi dei testimoni o a marginali contrasti tra le deposizioni, circostanze che a parere della Corte non sono decisive (e quindi rilevanti in sede di legittimità) per ribaltare la valutazione di merito e che, anzi, se si considera l’ampio spettro temporale esaminato e la circostanza che le deposizioni sono state raccolte intorno al 2003, a molti anni di distanza dai momenti cruciali, dimostrano la genuinità delle deposizioni, non sospettabili di manipolazioni preventive o tentativi di compiacere la parte che aveva indotto la prova.

3.1) La Corte di appello ha valorizzato la sostanziale concordanza tra le deposizioni F., A., D., Be. e C., che hanno attestato in modi diversi e con riferimento a vari anni la conoscenza del fatto che il nonno e il padre degli attori avevano coltivato e goduto il terreno, chiamando il trattorista (Ferrara), chiedendo la potatura (al padre della teste D.), facendo eseguire lavori di pulitura sui terreni in cambio del consenso del pascolo di mucche ( A.), accumulando fieno per i cavalli (nonno della teste Be.), riparando il motorino dell’acqua di irrigazione ( C.).

Con giudizio di merito insindacabile in questa sede, la Corte di appello ha ritenuto queste testimonianze sufficienti a provare un possesso protratto con continuità dal 1970 al 1996, e ha quindi considerato marginale l’errore del teste B., che ha collocato nel 1980 la proposta di B.E., morto nel (OMISSIS), di impiantare un vigneto. E parimenti di scarso rilievo è il contrasto tra la potatura della vigna, ordinata da Enrico B., con la predetta collocazione temporale dell’impianto del vigneto. E’ quasi banale osservare che: a) evidentemente l’impianto doveva essere stato precedente al 1980, data ben difficilmente collocabile, a distanza di oltre 23 anni, dal figlio di chi aveva fatto il lavoro; b) che E. prima di morire aveva chiesto ai conoscenti di potarla.

Non c’è alcuna illogicità o insufficienza motivazionale nella valutazione complessiva data dalla Corte, il cui prudente apprezzamento si è orientato, come doveroso (art. 115 e 116 c.p.c.) sulla sostanza dei fatti da provare e non su marginali indicazioni temporali, peraltro collocate in epoche credibili, prossime a quelle cruciali, quindi coerenti.

3.1) Inconsistente è anche il profilo che maggiormente caratterizza il ricorso, cioè la circostanza che alla morte del padre, nel (OMISSIS), gli attori avessero età compresa tra i 9 e 13 anni. Da questo fatto parte ricorrente trae che essi non avrebbero potuto continuare ad esercitare il possesso dei terreni.

La tesi non merita soverchia attenzione. Detto delle risultanze testimoniali, valorizzate in sentenza, circa il fatto che gli eredi B. continuarono a frequentare il terreno, a farvi scampagnate, a raccogliere fieno, a goderne con ausilio dell’intervento di collaboratori vari, è ovvio che ciò che rileva è la continuità dell’esercizio possessorio, non l’intensità delle lavorazioni svolte.

Nè può tacersi dal punto di vista logico, che, dovendo essere i minori affidati alla potestà dell’altro genitore o di chi ne faceva le veci, a loro beneficio ridondava, per quei pochi anni in cui si può dubitare della loro piena autonomia, la cura eventualmente risalente alla presenza della persona maggiore di età, ancorchè in favore esclusivo dei minorenni.

Da ultimo è ineccepibile la valutazione di coerenza con il quadro probatorio analizzato della circostanza che, per oltre venti anni, l’interesse della venditrice T. per il terreno de quo sia stato così marginale da aver perfino omesso di dichiararlo nella denuncia di successione.

Il ricorso è respinto.

Discende la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.500 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, tenuta il 16 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2016

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