Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17681 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 25/08/2020), n.17681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7046-2018 proposto da:

R.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, rappresentato

e difeso dall’avvocato DORETTA BRACCI;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in Roma, via

Monte Zebio 30, presso lo studio dell’avvocato Barbara Luppino, che

la rappresenta e difende;

e contro

CARIGE RD ASSICURAZIONI SPA, M.F., L.M.,

L.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 65/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 27/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/06/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza 27.1.2017 n. 65, in parziale riforma della decisione di prime cure che aveva accertato il prevalente concorso di colpa di R.I. nella causazione del sinistro stradale, nel quale quest’ultimo aveva riportato lesioni personali, ha ritenuto di riconoscere efficienza causale esclusiva alla imprudente condotta tenuta dal danneggiato, ed in accoglimento degli appelli incidentali proposti da M.F. e da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., nonchè da CARIGE Ass.ni s.p.a., ha condannato l’appellante principale R. alle spese di lite ed alla restituzione delle somme da quelli versate a titolo risarcitorio in ottemperanza della sentenza di prime cure.

La sentenza di appello non notificata è stata impugnata per cassazione da R.I. con ricorso affidato a quattro motivi con ricorso ritualmente notificato in data 26.2.2018 a M.F., UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., e CARIGE Ass.ni s.p.a., essendo risultate invece negative le notifiche del ricorso eseguite a M. e L.S., come da relata dell’Ufficiale giudiziario in data 26.2.2018.

Ha resistito con controricorso soltanto UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a..

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa in data 27.2.2020 con allegata istanza di rimessione in termine per provvedere al rinnovo della notifica del ricorso ai L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la memoria illustrativa in data 27.2.2020 la difesa di R.I. è stata formulata istanza di rimessione in termine per provvedere al rinnovo delle notifiche negative eseguite a mezzo Ufficiale giudiziario, con accesso in data 26.2.2018 presso le residenze anagrafiche di L.M. e L.S., come attestato dalla relata dell’Ufficiale giudiziario.

Indipendentemente da ogni rilievo di inammissibilità della istanza di rimessione in termine ex art. 153 c.p.c., comma 2 e art. 294 c.p.c., non essendo stato neppure allegato il fatto non imputabile che avrebbe impedito la spontanea riattivazione, da parte del ricorrente, del procedimento notificatorio volto ad emendare il difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari (e processuali) L.M. e S., osserva il Collegio che il ricorso può essere definito, in applicazione del principio processuale della ragione più liquida (che trova fondamento nella interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 276 c.p.c. in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 24 e 111 Cost., dovendo la tutela giurisdizionale risultare effettiva e spedita per le parti in giudizio), con pronuncia di inammissibilità dei motivi, non rispondenti ai requisiti prescritti dall’art. 366 c.p.c., in quanto questione preliminare di più agevole soluzione senza che sia necessario risolvere previamente la questione pregiudiziale che rimane assorbita per difetto di interesse (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014; id. Sez. 6 – L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014). Deve confermarsi, pertanto, l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o di una manifesta infondatezza dello stesso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari, cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 690 del 18/01/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013).

Il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., degli artt. 40 e 41 c.p.; dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ed il secondo motivo di ricorso (omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in reazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sono entrambi inammissibili.

Il ricorrente impugna la sentenza di appello sostenendo che il Giudice avrebbe indicato correttamente il principio di causalità materiale desunto dagli artt. 40 e 41 c.p. ma poi ne avrebbe fatto errata applicazione ritenendo che la condotta di guida tenuta dal R. avrebbe interamente assorbito, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, la efficienza causale dell’evento dannoso. Sostiene che egli era sopraggiunto, in fase di sorpasso di un autoarticolato, sul luogo in cui i due autocarri – quello fermo per guasto meccanico in banchina, condotto da L.M., e quello condotto dal M. che aveva tamponato il primo – si erano collocati dopo l’urto trasversalmente rispetto alla carreggiata, e che pertanto nella sua condotta non era ravvisabile la eccezionalità della condotta successiva volta a determinare in via esclusiva il danno che si sarebbe altrimenti prodotto in virtù di autonoma serie causale. Il solo fatto che gli autocarri fossero disposti trasversalmente sulla carreggiata era sufficiente ad integrare la causa dello scontro.

Il primo motivo è inammissibile in quanto attraverso il vizio di “error juris”, il ricorrente intende piuttosto richiedere una rivalutazione del giudizio di merito espresso dalla Corte sull’accertamento probatorio del nesso di causalità materiale tra la condotta tenuta dal R. e l’evento dannoso verificatosi a seguito del tamponamento con la vettura che lo precedeva, condotta da Ma.Na. il quale aveva rallentato e si era fermata dietro un altro autoveicolo, condotto da Mu.Pi.Sa., anch’egli fermatosi avendo avvistato l’ostacolo dei due autocarri collocati di traverso sulla strada.

Orbene fermo il principio secondo cui il giudizio di causalità materiale relativo all’accertamento del nesso “causa-effetto”, opera sul piano dei fatti naturali ed attiene alla verifica della efficienza concorrente od esclusiva di un fatto a produrne un altro ovvero alla verifica della cessazione di tale efficienza in quanto impedita dalla interferenza di un altro fatto sopravvenuto dotato di autonoma efficienza (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8096 del 06/04/2006; la applicazione della regola, nel diritto civile, è declinata secondo il criterio del “più probabile che non”: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 10741 del 11/05/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013), e ribadito che il principio stabilito dalle norme penali, di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per cui un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), deve trovare temperamento nella teoria della “causalità adeguata” od in quella similare della “regolarità causale” (la quale in realtà, oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell’imputazione del danno), secondo cui all’interno delle serie causali così determinate, occorre dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante, non appaiano del tutto inverosimili (tali essendo quei fatti che, secondo l'”id quod plerumque accidit” e quindi in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile “ex ante” integrano gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose che si genera da un evento originario che ne costituisce l’antecedente necessario: viene in rilievo, pertanto, una nozione di prevedibilità che è diversa dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, poichè essa prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell’uomo medio, ossia all’elemento soggettivo dell’illecito, e concerne, invece, le regole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un fatto: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11609 del 31/05/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 21619 del 16/10/2007), costituisce affermazione consolidata che il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel “principio di causalità efficiente”, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della “condotta sopravvenuta”, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto.

Fermi si ripete gli elementi strutturali della causalità materiale, correttamente richiamati dalla Corte d’appello, non pare dubbio che la critica volta ad escludere o riconoscere la esclusiva efficienza causale (o la maggiore od inferiore efficienza causale) di una condotta nella serie che ha prodotto l’evento di danno, attiene ad un apprezzamento di merito sul quale non può essere richiesto il sindacato della Corte di legittimità, se non nei ridottissimi limiti in cui ha accesso il controllo dell'”errore di fatto” (omessa considerazione di un fatto storico decisivo, provato nel giudizio ed oggetto di discussione tra le parti) così come delineato nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo riformato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012.

Nella specie il motivo in esame non evidenzia, nè un errore nella individuazione, da parte della Corte territoriale, dello schema normativo applicabile al nesso causale (come sopra delineato dalla giurisprudenza di questa Corte), e neppure una omissione di uno specifico fatto storico incidente in modo decisivo sulla complessiva valutazione degli elementi fattuali costituenti la serie eziologica dell’evento lesivo.

Quanto al primo profilo, assume il ricorrente che la propria condotta di guida (esecuzione di un regolare sorpasso) non poteva considerarsi “eccezionale” o imprevedibile, e dunque tale da elidere la efficienza causale della condotta tenuta dai due conducenti degli autocarri. Ma non si avvede il ricorrente che non è il requisito di eccezionalità (riferito alla effettuazione del sorpasso), ma quello di esclusività (riferito alla omessa attivazione efficace della manovra di frenata), che rileva nell’accertamento della efficienza eziologica del fatto sopravvenuto: e nella specie a tale criterio si è attenuta la Corte territoriale laddove ha considerato la rilevanza causale da attribuire alla condotta del R.. Ed infatti, se non pare dubbio che l’ostacolo costituito dagli autocarri posti di traverso sulla carreggiata – quale risultato della condotta tenuta dai conducenti dei rispettivi – possa essere astrattamente idoneo ad inserirsi nella serie causale dannosa, nella specie, tuttavia, la efficienza potenziale di quella serie causale non si è trasformata in “causa in atto” in quanto – come rilevato dalla Giudice di appello l’ostacolo era stato avvistato ed evitato, già in precedenza, mediante l’azione frenante degli autoveicoli che precedevano quello condotto dal R., sicchè essendo stato privato ormai l’originario ostacolo di una propria immediata e diretta efficienza causale, detto ostacolo non avrebbe potuto, successivamente, riacquistare nuovamente una ulteriore efficienza causale “concorrente” – o come ritiene il ricorrente addirittura “esclusiva” – nella produzione dell’evento lesivo successivamente verificatosi in seguito al tamponamento del veicolo del R. con l’autovettura già ferma. Pertanto il successivo evento lesivo doveva ritenersi eziologicamente riferibile, in via esclusiva, alla sola condotta colposa del R. il quale, secondo la ricostruzione in fatto compiuta dalla Corte d’appello, andava ad urtare contro l’autovettura condotta dal Ma. che lo precedeva, non essendo stato in grado in conducente di azionare efficacemente l’impianto frenante, sia per inosservanza della distanza di sicurezza, che per l’eccessiva velocità: accertamento fondato, quanto alla prima condotta colposa, dalla presunzione semplice tratta dalla modalità di collisione dei veicoli che procedono sulla stessa corsia (parte posteriore del veicolo che precede e parte anteriore del veicolo che segue), nonchè dalle stesse ammissioni del R., nel corso dell’interrogatorio formale (avendo egli affermato che lo spazio esistente tra le due autovetture era insufficiente ad un arresto improvviso del veicolo), e quanto alla seconda, dal verbale di contestazione della violazione dell’art. 141 C.d.S., commi 2 ed 11, e dalla lunghezza delle tracce di frenata (di mt. 56,40 avendo comportato l’urto lo spostamento in avanti di mt. 15 delle due auto ferme) rilevate in loco dai verbalizzanti (del tutto irrilevante al proposito è l’annullamento da parte del Giudice di Pace della sanzione irrogata, essendo stato disposto l’annullamento del verbale di constatazione della infrazione soltanto per “vizi di forma”, come peraltro puntualmente rilevato dl Giudice di appello).

Quanto al secondo profilo di censura (errore di fatto), difetta del tutto la indicazione del fatto storico omesso, tale non potendo essere ritenuta la presenza dell’autoarticolato che il R. aveva iniziato a sorpassare, nè l’asserito mancato azionamento da parte delle autovetture che avevano inizialmente rallentato e poi si erano fermate del segnale luminoso di emergenza, atteso che entrambe tali circostanze hanno costituito oggetto di espresso esame in fatto da parte della Corte territoriale secondo cui la presenza dell’autoarticolato – che secondo il R. impediva la visuale dell’ostacolo costituito dai mezzi posti di traverso sulla carreggiata – era priva di qualsiasi rilevanza causale, atteso che lo stesso danneggiato aveva dichiarato di aver notato le luci degli stop dell’auto che precedeva, e che i testi escussi avevano confermato che entrambe le vetture condotte dal Ma. e dal Mu. aveva azionato anche “le frecce di emergenza”.

Consegue che la censura ad altro non tende che ad una inammissibile rivisitazione del materiale probatorio al fine di pervenire ad una nuova valutazione di merito, che è preclusa in sede di legittimità. Nè viene in questione la prospettata esigenza di espletamento della c.t.u. cinematica, atteso che: 1- rientra nella piena discrezionalità del Giudice di merito la selezione e valutazione degli elementi di prova acquisiti al giudizio che ritiene decisivi e sufficienti a pervenire alla decisione sul merito; 2- la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito; 3- indipendentemente dalla velocità del veicolo condotto dal R., la c.t.u. non verrebbe ad elidere l’altra “ratio decidendi” fondata sulla mancata osservanza della distanza di sicurezza quale condotta causalmente efficiente alla produzione dell’evento dannoso.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 246 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e con il quarto motivo denuncia la violazione delle stesse norme in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Sostiene il ricorrente che tanto il Mu. quando il Ma. in quanto coinvolti nel sinistro stradale ed aventi interesse a partecipare al giudizio, dovevano ritenersi incapaci a testimoniare ex art. 246 c.p.c., risultando in conseguenza invalide le dichiarazioni dagli stessi rese nel corso della istruttoria.

I motivi sono inammissibili per difetto del requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, della compiuta descrizione del fatto processuale.

Il ricorrente, infatti, correttamente evidenzia gli atti processuali nei quali aveva contestato la incapacità prima, e poi la nullità relativa ex art. 157 c.p.c., comma 2 delle dichiarazioni rese dai predetti testi; ma omette del tutto di specificare se detta nullità abbia costituito o meno specifico motivo di gravame dedotto con l’atto di appello principale, essendosi limitato al riguardo soltanto ad affermare che la eccezione di incapacità “era stata ripetuta per tutto il secondo grado di giudizio, ma indica quale luogo in cui era stata formulata la eccezione la memoria conclusione e la memoria in replica (ricorso pag. 31 e 32); nè dalla descrizione riassuntiva dei motivi di gravame principale, contenuta alle pagg. 12-16 del ricorso, emerge la reiterazione di detta eccezione di nullità della prova orale.

Orbene la nullità di una testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell’art. 246 c.p.c., essendo posta a tutela dell’interesse delle parti, è configurabile come una nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2: ne segue che, qualora detta eccezione venga respinta, la parte interessata ha l’onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 23054 del 30/10/2009; id. Sez. U, Sentenza n. 21670 del 23/09/2013; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 23896 del 23/11/2016).

Indipendentemente dall’assorbente rilievo della inammissibilità, vale peraltro osservare come le dichiarazioni dei due testi -utilizzate dalla Corte d’appello – concernano la sola questione dell’azionamento o meno delle luci di emergenza, circostanza che quando anche venisse espunta come non provata dal materiale istruttorio, non risulterebbe decisiva, atteso che il Giudice di merito ha, da un lato, ritenuto accertato che l’autovettura che precedeva aveva azionato gli stop – come riferito anche dal R. -, e, dall’altro, che lo spazio tra le due auto che procedevano sulla stessa corsia era inferiore alla prescritta distanza di sicurezza.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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