Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17681 del 17/07/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. VI, 17/07/2017, (ud. 05/04/2017, dep.17/07/2017),  n. 17681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3492-2016 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

ROCCO GIANCRISTOFARO;

– ricorrente –

contro

COMUNE ORTONA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato

LAURA ROSA, rappresentato e difeso dagli avvocati LORENZO DEL

FEDERICO, VALERIA D’ILIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1060/07/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di L’AQUILA SEZIONE DISTACCATA di PESCARA, depositata il

13/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 1060/07/2015, depositata il 13 ottobre 2015, notificata il 9 novembre 2015, la CTR dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara – ha accolto l’appello proposto nei confronti del sig. D.F. del Comune di Ortona per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Chieti, che aveva invece accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento ICI per gli anni 2008, 2009 e 2010 relativamente a terreni ritenuti aree fabbricabili.

Avverso detta pronuncia il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, erroneamente rubricati come due, cui resiste con controricorso il Comune.

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia erronea applicazione e/o interpretazione della L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, artt. 10 e 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la decisione impugnata ha escluso che l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di approvazione del Piano Regolatore Generale (di seguito PRG) del Comune di Ortona avesse comportato l’automatica caducazione della delibera di adozione del piano stesso da parte del Comune, di modo che l’area oggetto dell’atto impositivo non potesse essere più ritenuta fabbricabile secondo la previsione di piano, senza che quindi potessero nella fattispecie trovare applicazione i principi di cui alle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte n. 25505 e 25506 del 2006, richiamate dalla decisione impugnata. Il motivo è inammissibile e, in ogni caso, manifestamente infondato.

Premesso che sono incontroversi i fatti storici posti a base della decisione impugnata e che possono riassumersi nell’intervenuto annullamento, con sentenze del TAR Abruzzo n. 550 e n. 557 del 2014 della delibera di approvazione del PRG per vizi propri del procedimento di approvazione, non essendo stato preceduto l’atto di approvazione dal procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS) e dagli studi di micro zonizzazione sismica di cui alla L.R. Abruzzo n. 28 del 2011, art. 5 il motivo – che si limita a prospettare come conseguenza automatica ex se dell’annullamento dell’atto di approvazione la caducazione del piano regolatore, quale atto presupposto – non coglie l’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata e, in ogni caso, non dimostra l’erroneità in diritto delle conclusioni affermate rispetto alle circostanze fattuali dalle quali trae origine il relativo assunto, che, d’altronde, appare in linea con i principi espressi in materia dal giudice amministrativo.

Se, infatti, può affermarsi che necessariamente l’annullamento della delibera comunale di adozione del piano determini effetti automaticamente caducanti sul successivo provvedimento di approvazione (cfr., ad esempio, Cons. Stato sez. 4, 14 luglio 2014, n. 3654; Cons. Stato, sez. 4, 28 dicembre 2012, n. 6703) non è altrettanto valida in assoluto la proposizione inversa, proprio in ragione dell’autonomia dei relativi procedimenti.

L’impugnazione del provvedimento di approvazione può, dunque, anche prescindere dalla prospettazione dei vizi propri dell’adozione del piano, e ciò è proprio quanto, come in fatto non è controverso, accaduto nella fattispecie in esame, dove l’annullamento della delibera di approvazione è avvenuta per l’omissione della c.d. VAS, che può intervenire sino all’approvazione del PRG, e della predisposizione degli studi di micro zonizzazione sismica di cui alla L.R. Abruzzo n. 28 del 2011, art. 5.

Deve, quindi, darsi atto della correttezza in diritto dell’affermazione del giudice tributario d’appello, laddove ha statuito che l’annullamento del provvedimento di approvazione per vizi propri di quest’ultimo lascia in vigore il piano adottato, col solo obbligo per il Comune di completare il procedimento di pianificazione secondo quanto già determinato nella delibera di adozione, emendandolo dei vizi che ne hanno inficiato l’approvazione.

Ed invero, nei casi nei quali si è ritenuto che l’annullamento giurisdizionale dell’approvazione spiegasse i propri effetti anche sulla delibera di adozione, ciò è avvenuto per un giudizio di sostanziale disfavore delle previsioni del piano adottato (cfr. Cons. Stato sez. 5, 2 agosto 2013, n. 4054; Cons. Stato sez. 5, 12 dicembre 2003, n. 8198), come in maniera pertinente evidenziato dall’amministrazione controricorrente.

D’altronde la stessa impugnativa della delibera di adozione di piano non è suscettibile sempre e comunque di comportare l’annullamento in toto dell’adozione del piano impugnato, ma varia in ragione dei motivi prospettati, sicchè la valutazione dell’ambito degli effetti caducatori deve essere verificata caso per caso.

Nella fattispecie in esame, date le circostanze sopra riportate in fatto, la censura è infondata nella sua premessa maggiore, la cui infondatezza finisce con il travolgere l’argomento consequenziale della pretesa, da parte ricorrente, non riferibilità alla fattispecie in esame del principio, espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con le note sentenze 30 novembre 2006, n. 25505 e n. 25506, secondo cui l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicazione del criterio di determinazione della base imponibile, fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita dal piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione di esso da parte della Regione e dell’adozione di strumenti urbanistici attuativi, principio di seguito costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte Cass. Cass. sez. 5, 27 luglio 2007, n. 16174; Cass. sez. 5, 16 novembre 2012, n. 20137; Cass. sez. 5, 5 marzo 2014, n. 5161; Cass. sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4091), in un quadro di riferimento segnato anche da pronuncia della Corte costituzionale (ord. 27 febbraio 2008, n. 41), che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma d’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b) rappresentata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2 come convertito nella L. n. 248 del 2006, secondo cui “un’area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”, che aveva fatto seguito al D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni, nella L. n. 248 del 2005.

Resta salva, infatti, nella fattispecie in esame, la qualificazione dell’area in oggetto come fabbricabile, secondo la previsione di piano, non travolta dall’annullamento della delibera di approvazione per motivi afferenti al procedimento stesso di approvazione.

Nei termini di cui sopra questa Corte ha già avuto modo di recente di esprimersi in controversie del tutto analoghe (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 29 novembre 2016, n. 24309; Cass. sez. 6-5, ord. 3 novembre 2016, n. 22247), dovendo pertanto detto indirizzo essere ulteriormente ribadito in questa sede.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b) (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) assumendo che la decisione impugnata sarebbe incorsa in erronea determinazione delle aree tassabili.

Con il terzo motivo, erroneamente rubricato come secondo, il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1973, art. 74 e della L. n. 296 del 2006, art. 1 riproponendo la questione di nullità dell’atto impositivo per carenza di sottoscrizione da parte del funzionario comunale cui sono attribuiti i poteri gestionali per il tributo in oggetto e per carenza della comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze della relativa nomina.

Entrambi i motivi risultano inammissibili.

Non risulta che parte ricorrente abbia censurato la statuizione della CTR nella parte in cui ha affermato che l’unica questione espressamente riproposta dall’appellato, vittorioso in primo grado, nel proprio atto di controdeduzioni in appello, sia stata quella relativa alla presunta invalidità del PRG per mancato adeguamento delle variazioni delle destinazioni urbanistiche ai “superiori strumenti urbanistici”, mentre “le altre censure proposte in primo grado non risultano neanche richiamate nella memoria di costituzione”.

Tra queste vanno annoverate le questioni che risultano invece alla base dei motivi due e tre di cui al ricorso per cassazione.

Dovendo intendersi rinunciate le questioni assorbite dalla decisione di primo grado, laddove non espressamente riproposte in appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, è inammissibile la loro riproposizione in sede di legittimità.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA