Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17681 del 07/09/2016


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Cassazione civile sez. I, 07/09/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 07/09/2016), n.17681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25542/2011 proposto da:

G.A. (C.F. (OMISSIS)), L.M. (C.F.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GRAMSCI 36,

presso l’avvocato MAURIZIO DE TILLA, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ADRIANO RAFFAELLI, FABIO SCHILIRO’, MARCO

BENITO SALOMONE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., W.B.R.F.;

– intimati –

Nonchè da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. (C.F./P.I. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, Via BOEZIO 6, presso l’avvocato MASSIMO LUCONI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO

BIGLIARDI, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.A. (C.F. (OMISSIS)), L.M. (C.F.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GRAMSCI 36,

presso l’avvocato MAURIZIO DE TILLA, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ADRIANO RAFFAELLI, FABIO SCHILIRO’, MARCO

BENITO SALOMONE, giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

contro

W.B.R.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 679/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale M.P.S.,

l’Avvocato NICOLA PABIS TICCI, con delega, che ha chiesto

l’inammissibilità e rigetto del ricorso principale, accoglimento

dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto per entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’S marzo 2011, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., quale incorporante la Banca C. Steinhauslin a C. s.p.a., ha condannato quest’ultima al pagamento, in favore di L.M., della minor somma di Euro 1.635.000,00, oltre interessi, confermando la decisione per il resto, in relazione al contratto d’investimento in strumenti derivati concluso fra le parti ed all’appropriazione indebita di somme da parte del funzionario della banca W.B.R.F..

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che: a) il versamento della somma di Euro 240.000,00 da parte di L.M. non risulta provato, posto che manca qualsiasi firma riferibile alla banca sulla ricevuta di versamento, onde il detto importo va decurtato dal credito; b) sono, invece, attendibili le altre ricevute di versamento, pur essendo alcune prive di data e tutte non accompagnate dalla cd. distinta di versamento, posto che quest’ultima non è prevista dalle norme e che detta modalità era usuale presso l’intermediaria, una private banking usa a compiere operazioni di investimento personalizzate e basate sulla fiducia nell’operatore bancario, il quale rilasciava la ricevuta; c) non vi è prova di un accordo illecito tra il B. ed i clienti L. e G., al fine di provvedere all’investimento di denaro proveniente da evasione fiscale dei clienti, avendo essi dichiarato, nel corso del processo penale a carico del B. (per appropriazione indebita continuata e ricettazione, nonchè della di lui madre per riciclaggio) di avere in buona fede creduto di potere eseguire un investimento privilegiato, mediante un conto transitorio e cifrato, riservato ai migliori clienti della banca, al fine di realizzare guadagni notevoli; del resto, l’evasione fiscale, a meno che non integri frode fiscale, non costituisce in sè un delitto; nè è illecito l’investimento in titoli finanziari, quali azioni, obbligazioni e fondi di investimento; d) non può ravvisarsi un concorso di colpa degli investitori, dato che il B. si era auto-magnificato come dirigente di alto livello con autonomia sino a 20 miliardi di Lire d’investimento, in procinto di diventare responsabile di tutta l’Italia del nord, ed egli riceveva i clienti in salottini riservati, creando un rapporto di fiducia personale; il B. aveva loro proposto la “favola” del fondo comune riservato ai migliori clienti che portavano denaro in gran quantità ed in contanti; in sostanza, è comprensibile che i due rimasero abbagliati dalla prospettiva di arricchirsi in tal modo, colpiti dalla personalità del B.; il breve tempo di tre mesi, in cui si svolse la vicenda, non rende rimproverabile ai due imprenditori di non aver controllato la reale giacenza dei loro investimenti; del resto, nella pratica bancaria svizzera ed austriaca vi sono conti correnti cifrati, anche se non sono ammessi in Italia; e) non sussiste neppure concorso ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, per non avere ridotto il danno, in ragione del breve lasso temporale in cui si sono svolti gli investimenti, non destinati a transitare sui regolari conti correnti, onde non era da essi esigibile una condotta più cauta; f) non vi è prova negli atti di un ulteriore versamento di Euro 676.000,00 da parte del G., onde tale somma non può essergli riconosciuta.

Avverso questa sentenza propongono ricorso G.A. e L.M., affidato a tre motivi.

Resiste l’intimata con controricorso, proponendo pure ricorso incidentale per tre motivi, cui resistono i ricorrenti con controricorso.

Le parti hanno depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunziano il vizio di motivazione, sotto ogni profilo, per non avere la corte del merito esaminato i documenti, da cui si sarebbe desunto l’ulteriore versamento di Euro 676.000,00 da parte del G..

Con il secondo motivo, lamentano il vizio di motivazione, sotto ogni profilo, perchè il credito del L. è stato ridotto dalla corte del merito con riguardo alla ricevuta non firmata dal promotore, mentre la sentenza penale aveva condannato il B. per l’appropriazione di un importo complessivo ricomprendente anche tale somma, onde la corte territoriale avrebbe dovuto ritenere diversamente.

Con il terzo motivo, deducono la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 2702 e 2729 c.c., perchè la detta ricevuta, pur non firmata, è redatta su foglio intestato della banca ed essa è idonea, con gli altri elementi, ad integrare la prova piena anche di tale versamento.

2. – Con il primo motivo del ricorso incidentale, la banca deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2049, 2697 e 2729 c.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, perchè la corte del merito non ha considerato come esistesse sin dall’estate del 2002 un rapporto tra il B. e i due imprenditori prima dell’apertura dei conti correnti ordinari presso la banca, avvenuta il 5 settembre 2002: uno stretto rapporto fiduciario ed esclusivo con il funzionario, che aveva veicolato – in modo rimasto invariato anche in seguito – il compimento di atti illeciti, con l’agevolazione che il B. forniva ai due imprenditori canalizzando in forme protette il denaro frutto di evasione fiscale, da convogliare all’estero, versato volta a volta in contante e per importi assolutamente inusuali. In tal modo, la corte del merito ha finito per non svolgere affatto l’indagine circa la sussistenza del nesso di occasionalità necessaria, la cui esistenza è richiesta per reputare responsabile la banca ex art. 2049 c.c., per il fatto del funzionario infedele, nè circa il pactum sceleris. Mentre del tutto inconferente è il riferimento alla tipologia degli investimenti leciti posti in essere, su cui non vi è questione, essendo rilevante proprio il doppio piano dei rapporti, l’uno esteriore e lecito (ed invero, i due imprenditori avevano aperto conti personali con operazioni del tutto regolari), l’altro sostanziale ed illecito, basato sul transito di flussi in contanti di denaro sottratto al fisco, confluito per espressa ammissione su “conto cifrato e transitorio” loro non riferibile: nè l’esistenza del primo può giustificare la illiceità del secondo. La liceità di tale piano sommerso, ammesso dagli stessi interessati, avrebbe dovuto essere indagata dal giudice al fine dell’incidenza sul nesso di occasionalità necessaria; e la narrazione soggettiva resa dai due imprenditori non avrebbe dovuto essere considerata prova essa stessa, avendo in tal modo la corte del merito invertito l’onere della prova. La responsabilità, accertata in sede penale, del B. verso i due investitori per una fattispecie appropriativa non coincide affatto con la responsabilità della banca.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la banca deduce la violazione dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2, e art. 2697 c.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, per non essere stato valutato il concorso di colpa dei danneggiati, imprenditori e uomini d’affari cinquantenni e ricchissimi, i quali hanno raccontato la storia di aver creduto alle millanterie del B. sulla sua posizione all’interno dell’istituto, quando egli vantava che avrebbe a breve scelto se diventare consigliere di amministrazione della banca o tornare a Wall Street, fingeva di mettere “in attesa” al telefono M.M., ed altro. Ed essi hanno mostrato massima imprudenza nella scelta dei mezzi e delle modalità di pagamento, omettendo qualsiasi controllo, pur avendo consegnato milioni di Euro in contanti ad un funzionario di banca.

Anche l’incarico conferito al B. di eseguire due bonifici in Cina, senza che fossero loro riconducibili, palesava il già esistente concorso nel canalizzare masse di contante (Euro 700.000,00), frutto di evasione fiscale.

Se sono state loro raccontate “favole”, era poi necessario almeno constatare che ad esse i due imprenditori volevano credere, nella speranza di poter “ripulire” i proventi frutto di evasione fiscale, con operazione assolutamente incauta, attese le modalità incredibilmente pericolose del loro “investimento”.

Proprio la doppia natura degli investimenti che il B. proponeva loro, parte su conti ordinari e parte sul “conto cifrato”, avrebbe dovuto portare ad interrogarsi se la favola del secondo non fosse indice di una condotta imprudente. Ed anche tenuto conto che un conto cifrato – che la stessa sentenza impugnata dichiara non ammesso in Italia non reca scritto “conto cifrato e transitorio” a penna, in via autoreferenziale, ma piuttosto un numero di serie alfanumerico: dunque, doveva essere valutata la pretesa assenza di colpa in chi si dichiara di essersi accontentato di documenti di grossolana fattura. Allo stesso modo, il mero rilascio di ricevute di versamento senza data, senza indicazione del conto, senza successiva documentazione comprovante la contabilizzazione dei versamenti avrebbero dovuto – quantomeno dopo il primo versamento – indurre in sospetto i due investitori.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale, la banca deduce la violazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, per avere la sentenza ritenuto provato il quantum dei versamenti sulla base di meri foglietti siglati dal B., senza alcun elemento per ricondurli ai due imprenditori, foglietti non opponibili alla banca, soggetto terzo, e privi oltretutto di data, onde resta da provare che i versamenti siano avvenuti in costanza di rapporto di lavoro tra il B. e la Banca C. Steinhauslin & C. s.p.a.; e l’essere la liquidità frutto di “smobilizzazioni” di precedenti investimenti, sostenuta dai due investitori, non è provata ed è anzi smentita dalle indagini della Guardia di Finanza, che attesa l’evasione fiscale, mentre essi avrebbero potuto agevolmente fornire detta prova, se l’affermazione fosse vera.

3. – I tre motivi del ricorso incidentale vanno trattati con priorità, per ragioni logico-giuridiche.

Essi non possono trovare accoglimento.

La responsabilità del datore per fatto del dipendente è prevista sia, in sede contrattuale, dall’art. 1228, c.c., sia, in sede extracontrattuale, dall’art. 2049 c.c.. A parte la diversa natura della responsabilità, entrambe le norme prevedono che colui che si avvale dell’opera di altri ne risponde, purchè sussista – secondo quanto elaborato dalla giurisprudenza – il cd. nesso di occasionalità necessaria, il quale si atteggia quale nesso causale tra l’esercizio delle incombenze dell'”ausiliario” e il danno.

La disciplina si fonda sul fatto che l’agire del dipendente (ma v. pure, in tema di promotori finanziari, la L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 5, comma 4, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 3) è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali e ragionevole far corrispondere i rischi e sull’esigenza di offrire una adeguata garanzia all’investitore. Si tratta dunque di una responsabilità che è espressione di un criterio di allocazione di rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell’impresa, come componente dei costi di questa.

In particolare, la responsabilità della banca nei confronti del cliente per il fatto del suo dipendente si inquadra nell’art. 1228 c.c., atteso il contratto che si instaura tra i medesimi.

Come questa Corte ha più volte affermato, il nesso di occasionalità necessaria si riscontra ogni qual volta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell’attività lavorativa, anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del datare di lavoro (Cass. 6 marzo 2008, n. 6033; 17 maggio 2001, n. 6756, tra le altre).

Orbene, il nesso in questione è suscettibile di essere interrotto da alcune evenienze concrete. Ciò si è ritenuto, così, in presenza di elementi presuntivi, quali il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le complessive condizioni culturali e socio-economiche (Cass. 24 marzo 2011, a. 6829); o allorchè l’investitore aveva intenzionalmente comunicato al promotore i codici di accesso al proprio conto corrente (Cass. 4 marzo 2014, n. 5020) o il consulente finanziario operava in borsa per conto dei propri clienti senza alcun vincolo di mandato (Cass. 13 dicembre 2013, n. 27925), o, ancora, per l’esistenza di un separato mandato conferito dall’investitore al promotore, con rapporto diretto ed esclusivo tra clienti ed il promotore medesimo (Cass. 10 novembre 2015, n. 22956). E la situazione predetta in capo all’investitore può essere provata con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni.

Nella specie, la sentenza impugnata, esaminate le circostanze di fatto, ha escluso che quel nesso sia stato interrotto; essa, altresì, ha escluso il concorso di colpa ex art. 1227 c.c..

Si tratta di accertamenti di fatto che, compiuti alla stregua degli elementi documentali e presuntivi in atti, non possono essere ripetuti in questa sede.

Invero, anche qualora la ricostruzione della ricorrente incidentale fosse più convincente e credibile di quella fatta propria dalla corte d’appello, ciò non potrebbe integrare la deduzione di un vizio ammissibile in questa sede.

Costituisce principio costante che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, sia pure alla stregua del vecchio testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (e multis, Cass. 14 febbraio 2013, n. 3668; 13 aprile 2010, n. 8730; 7 dicembre 2004, n. 22979).

4. – Il ricorso principale, in tutti i suoi motivi – che dunque possono essere unitariamente trattati – è affetto dal medesimo vizio, pretendendo di sottoporre nuovamente alla corte, ora sotto il profilo ora del difetto di motivazione e ora della violazione di legge, una rivalutazione degli elementi e delle circostanze di fatto, per giungere ad una diversa determinazione del quantum.

5. – Le spese vengono interamente compensate, attesa la reciproca soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale, compensando per intero le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2016

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