Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17679 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. I, 28/07/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 28/07/2010), n.17679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11821/2005 proposto da:

IMPRESA PIZZAROTTI & C. S.P.A. (c.f. e P.I. (OMISSIS)), in

proprio e nella qualità di capogruppo dell’Associazione temporanea

di imprese tra Pizzarotti-Mondelli-Rabbiosi, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 180, presso l’avvocato SANINO Mario, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CUGURRA GIORGIO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, VALORZ D.G. DER GEBZ. KLOTS

H.&.A.;

– intimati –

sul ricorso 15609/2005 proposto da:

VALORZ K.G, DER GEBR. KLOTZ H.& A. (con modificazione della

ragione

sociale in KLOTZ BETON KG/SAS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. GRAMSCI 36,

presso l’avvocato TOTINO CARLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DRAGOGNA SERGIO, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, IMPRESA PIZZAROTTI & C. S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 191/2002 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 17/04/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/06/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato BRASCHI FRANCESCO (delega) che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato MAURIZIO CALO’ (delega)

che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento del

ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo, rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Trento con sentenza non definitiva del 17 aprile 2002 ha determinato l’indennità dovuta dalla s.p.a.

Pizzarotti, delegata dall’ANAS (cui era subentrata la Provincia di Trento) alla realizzazione della superstrada (OMISSIS), alla ditta Valorz K.g. per l’espropriazione di un terreno di sua proprietà ubicato nel comune di Lana ove veniva gestito un impianto di lavorazione inerti con centrale di betonaggio, l’indennizzo di Euro 565.131,41 calcolato ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40, per differenza tra il valore dell’immobile contenente l’azienda prima e quello della proprietà residua dopo l’ablazione; e, disapplicando i valori agricoli tabellari di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, perchè del tutto inadeguati, nonchè disancorati dalla realtà di mercato. Con sentenza definitiva del 25 agosto 2004, ha liquidato l’ulteriore indennizzo di Euro 855.530,09 per le spese di demolizione e di ricostruzione delle opere murarie, di carpenteria nonchè degli impianti e lo spostamento di macchinari ed attrezzature,come determinate dalle consulenze tecniche.

Per la cassazione della sentenza l’impresa Pizzarotti ha proposto ricorso per due motivi;cui ha resistito la Valorz K.G. con controricorso,contenente ricorso incidentale per due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. I ricorsi vanno, anzitutto riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., perchè proposti contro la medesima sentenza.

Con il secondo motivo di quello incidentale dall’evidente carattere pregiudiziale,la Valorz K.G. deducendo violazione dell’art. 42 Cost., D.P.R. n. 327 del 2001, art. 6, nonchè art. 1703 cod. civ., censura la sentenza impugnata per aver respinto l’opposizione alla stima nei confronti della Provincia di Bolzano, subentrata all’ANAS nella titolarità dell’opera pubblica realizzata, e perciò stesso passivamente legittimata nel presente giudizio rivolto dal proprietario al pagamento delle relativa indennità. Aggiunge che la delega attribuita dal D.M. L.P. 26 novembre 1990 per la costruzione della superstrada e lo svolgimento della procedura di esproprio all’impresa in nome e per conto dell’ANAS, così come il loro affidamento in concessione, non seguiti da alcuna comunicazione ad essa ricorrente nè dall’esplicitazione di detto rapporto nel decreto di esproprio poteva al più comportarne l’obbligazione solidale al pagamento dell’indennizzo; non escluderne la titolarità di detto rapporto anche per la mancanza di qualsiasi eccezione al riguardo da parte della Provincia.

La censura è fondata.

Al riguardo, il collegio deve anzitutto premettere che costituisce circostanza del tutto pacifica in entrambe le decisioni impugnate, nonchè nelle difese svolte dalle parti, che l’espropriazione diretta alla realizzazione di un’opera di competenza del Ministero dei L.P. è stata svolta con il procedimento di cui alla Legge Statale n. 865 del 1971; in base al cui art. 16, è stata anche determinata dalla Commissione provinciale l’indennità opposta dalla Valorz (pag. 7 sent. non defin.; 4 ric. incid.). Per cui, non possono trovare applicazione nella fattispecie le norme del T.U. sulle espropriazioni appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, più volte invocate ora dalla Corte di appello, ora dalle parti, in quanto predisposte in base all’art. 57, esclusivamente per i progetti contenenti la dichiarazione di p.u., successivi al 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del T.U..

Fin dalle pronunce immediatamente successive a detta L. n. 865 del 1971, poi, questa Corte ha enunciato il principio che l’individuazione del soggetto attivo del rapporto di espropriazione, tenuto al pagamento dell’indennità, e, quindi, del soggetto passivamente legittimato nel giudizio di opposizione avverso la stima dell’indennità medesima, promosso dall’espropriato, va effettuata con esclusivo riferimento al decreto di espropriazione, in base alla persona in cui favore esso risulta adottato.

Ciò anche nell’ipotesi di concorso di più enti nell’attuazione dell’opera pubblica, dovendosi anche allora, nei rapporti esterni verso l’espropriato, ed indipendentemente dai rapporti interni tra i vari enti che rilevano solo ai fini dell’eventuale rivalsa dell’uno verso l’altro, aversi riguardo al soggetto che nel provvedimento ablatorio risulta beneficiario dell’espropriazione, salvo che dal decreto stesso non emerga che ad altro ente, in virtù di legge o di atti amministrativi e mediante figure sostitutive a rilevanza esterna (delegazione amministrativa, affidamento improprio, sostituzione e simili) sia stato conferito il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti e di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative, ed addossati i relativi oneri (cfr. Cass. 25 luglio 1997 n. 6959; 28 maggio 1991 n. 6029; 13 gennaio 1988 n. 176).

In ogni altro caso a nulla rileva che gli atti ablativi siano delegati dall’amministrazione espropriante ad istituti, a cooperative o alla stessa impresa appaltatrice, incaricati della realizzazione dell’opera pubblica, posto che, la loro attività a rilevanza esterna, si esaurisce nel compimento, in nome e per conto del soggetto delegante, degli atti necessari a conseguire il provvedimento ablatorio (materiale occupazione del fondo, offerta dell’indennità, eventuale anticipazione delle somme ecc.) che risulta perciò riferibile all’ente beneficiario dell’espropriazione (cfr. Cass. 19048/2008; 12153/2007; 539/2004; 9097/2003; 6367/2001).

E non rileva neppure che quest’ultimo abbia affidato in concessione il compimento dell’opera e delle relative espropriazioni, in quanto:

A) il mero ricorso allo strumento della concessione, perfino se traslativa con l’attribuzione al concessionario affidatario dell’opera, della titolarità di poteri espropriativi, non può comportare indiscriminatamente l’esclusione di ogni responsabilità al riguardo del concedente. Perchè ciò avvenga è infatti necessario, in osservanza al principio di legalità dell’azione amministrativa, che l’attribuzione all’affidatario di detti poteri e l’accollo da parte sua degli obblighi indennitari siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi: non essendo altrimenti consentito alla p.a. disporne a sua discrezione onde sollevarsi dalle responsabilità che il legislatore le attribuisce, B) in ogni altra ipotesi di concessione, ovvero in quella traslativa in cui la legge non la preveda o non la consenta espressamente (cfr. L. n. 219 del 1981, art. 81), l’accollo degli obblighi indennitari può essere utilmente invocato purchè non sia rimasto fatto interno tra espropriante ed affidatario, e quest’ultimo nell’attività che lo abbia portato in contatto con il soggetto passivo dell’esproprio, si sia correttamente manifestato come titolare delle relative obbligazioni, oltre che investito dell’esercizio del potere espropriativo (Cass. 6807/2007; 25544/2006; 464/2006; 821/2004); e nei confronti del proprietario la responsabilità dell’affidatario può al più aggiungersi a quella del concedente quale che sia il contenuto della delega conferita a quest’ultimo, nonchè delle pattuizioni tra detti soggetti intercorse (Cass. sez. un. 6769/2009).

Pertanto il relativo esame dovrà essere svolto dal giudice di rinvio cui,non avendo l’impresa delegata o concessionaria impugnato le sentenze di merito che le hanno attribuito la titolarità passiva dell’obbligazione indennitaria, spetterà il compito di stabilire se i decreti di esproprio 1 marzo 1997 e 3 marzo 1998 siano stati emessi in favore della Provincia di Bolzano (o dell’ANAS), come dedotto dalla Valorzr: posto che in quest’ultimo caso, l’obbligazione suddetta dovrà gravare anche su quest’ultima amministrazione.

3. Con il ricorso principale,che si articola in due motivi, la soc. Pizzarotti,deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 40, 43 e 46, L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e L. n. 865 del 1971, art. 19, si duole che la Corte di appello abbia da un lato applicato i criteri di calcolo dell’espropriazione parziale non ricorrenti perchè il terreno aveva destinazione agricola e soltanto una porzione residua di esso pari al 27% dell’intero fondo era stato oggetto di espropriazione; per cui l’indennizzo deve essere calcolato esclusivamente in base al suo valore agricolo peraltro ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale. E dall’altro aggiunto all’indennità una serie di poste peculiari del risarcimento del danno (spese sostenute per opere,impianti trasporti ecc.), invocando ora le disposizioni degli art. 40 e 43 della legge fondamentale del 1865, ora quella dell’art. 46 peraltro incompatibile con le prime;

laddove nessuna di esse risultava applicabile alla fattispecie.

Per converso la Valorz K.G., deducendo la violazione delle stesse norme della legge fondamentale del 1865, censura la sentenza impugnata per avere escluso dalle voci risarcite una serie di spese da essa sostenute e documentate, per il trasferimento di impianti e macchinari dell’impresa esercitata anche sul fondo espropriato,senza alcuna motivazione; per la cui determinazione era stato in origine disposto anche il richiamo del primo c.t..

Il Collegio ritiene fondato il ricorso della Pizzarotti e che debba essere conseguentemente accolta anche la censura proposta dalla ditta espropriata, nei limiti appresso precisati.

Come, infatti, ha rilevato la società delegata al compimento dell’espropriazione, la Corte di appello,dopo avere dato atto che la funzione precipua dell’indennità di cui all’art. 42 Cost., è quella di attribuire al proprietario espropriato “un equo ristoro per la perdita del bene”, ha in realtà liquidato alla ditta espropriata,come dalla stessa riconosciuto, l’intero pregiudizio sofferto dal suo patrimonio per la perdita suddetta in base al parametro contenuto nell’art. 2043 cod. civ.: perciò finendo per sottrarre l’espropriazione in esame alla disciplina sostanziale e processuale sua propria e sottoporla a regole e valutazioni, che non trovano riscontro nell’attuale sistema normativo.

Giova pertanto ancora una volta ribadire i principi elaborati al riguardo, da questa Corte, anche a sezioni unite: 1) l’indennità di espropriazione è unica, ed essendo destinata a tener luogo del bene espropriato, non può superare in nessun caso il valore che esso presenta, in considerazione della sua destinazione legale (il valore cioè che il proprietario ne ritrarrebbe se decidesse di porlo sul mercato della L. n. 2359 del 1865, ex art. 39), e nelle singole fattispecie, neppure quello derivante dal criterio di valutazione posto dalla legge applicabile per determinarlo; 2) il termine di riferimento dell’unica indennità è quindi rappresentato dal valore di mercato dell’immobile espropriato quale gli deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, e soprattutto dal criterio previsto dalla legge per apprezzarle; e non anche (all’infuori delle ipotesi previste dal menzionato della L. n. 865 del 1971, art. 17) dal pregiudizio che il proprietario risente come effetto del non potere ulteriormente svolgere mediante l’uso dello stesso immobile la precedente attività. 3) Sicchè anche quando sull’immobile espropriato siano stati costruiti edifici ed installate attrezzature, al fine di imprimergli una destinazione industriale, il fatto che, estinto il diritto di proprietà, risulti impedito sul luogo l’ulteriore svolgimento dell’impresa che utilizzava gli immobili per fornire i propri servizi, non comporta che l’espropriazione sì estenda al diritto dell’imprenditore, nè che sia acquisita all’espropriante l’azienda da costui organizzata, sì che il valore del bene espropriato debba comprendere quello dell’azienda; 4) tale regola resta ferma anche in ipotesi di applicazione del criterio di calcolo differenziale di cui alla L. N. 2359 del 1865, art. 40, rivolto a coprire ogni danno diretto ed indiretto conseguente all’esproprio, e quindi anche quello derivante dall’interclusione, o divisione o minore estensione del suolo rimasto all’espropriato; per cui anche sotto questo profilo, al giudice è sicuramente inibito in presenza di un’unica vicenda espropriativa liquidare distinte indennità, come ha fatto la sentenza impugnata; e per quanto riguarda il criterio cui commisurare detto pregiudizio, l’indennizzo deve essere liquidato o in base al meccanismo differenziale suggerito dallo stesso art. 40 determinando sia il valore dell’area nella sua originaria consistenza, sia quello della parte risultante dalla perdita o separazione della porzione espropriata, ed operando poi, la differenza tra i due valori (salva l’applicazione dei perametri riduttivi di cui alla Legge Statale n. 865 del 1971, art. 16). Ovvero con criteri che raggiungono il medesimo risultato quali esemplificativamente quello di aggiungere al valore della parte espropriata il valore perduto da quella residua (Cass. 26216/2005; 15359/2000; 13887/1999).

4. Nel caso concreto, la sentenza non definitiva dopo avere accertato che il terreno espropriato, esteso mq. 3399 era incluso dal Piano urbanistico comunale di Lana adottato nel 1985 in zona agricola, e che tale destinazione sussisteva anche all’epoca dei decreti ablativi (1997-1998), in cui doveva esserne compiuta la ricognizione legale, ne ha invece considerato la destinazione di fatto allo esercizio di un’azienda industriale per il deposito e la lavorazione di materiali inerti con centrale di betonaggio, anche perchè una delibera dell’U.T. di detto comune del 20 agosto 1996 aveva definito il fondo in questione: “area agricola tratta come produttiva”. In tal modo è incorsa in ulteriori violazioni della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, non considerando: a) che il sistema posto da quest’ultima norma ha introdotto una rigida dicotomia, che non lascia spazi per un “tertium genus”, tra “aree edificatali” ed “aree agricole” cui ha equiparato quelle “non classificabili come edificabili”, associandola ad una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può esser data solo dalla classificazione urbanistica dell’area in considerazione; b) più non consente di far riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto ovvero all’attività di fatto espletata dall’espropriante, divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge; e tanto meno a provvedimenti o qualificazioni attribuite al fondo da provvedimenti amministrativi diversi da detti strumenti: quale nella specie la valutazione dell’U.T. di Lana che aveva peraltro ribadito la destinazione agricola dell’immobile, a nulla rilevando ai fini della ripartizione posta dall’art. 5 bis, che la zona suddetta fosse altresì “produttiva”; c) che il criterio dell’edificabilità legale vale a maggior ragione per la fattispecie di espropriazione parziale di cui alla Legge del 1865, art. 40, in cui la valutazione prescritta dalla norma non poteva essere compiuta al lume dell’attività industriale espletata dalla Valorz sull’immobile prima e dopo l’espropriazione,ed apprezzando peraltro il pregiudizio subito dal ridimensionamento e/o spostamento dell’azienda sulla proprietà residua per effetto dell’ablazione, ma unicamente considerando la destinazione legale agricola attribuita al terreno espropriato dal Piano urbanistico del 1985; e quindi accertando al lume di siffatta destinazione se si erano verificati i presupposti previsti dalla norma per la sua applicazione: postulanti,come è noto l’esistenza di un rapporto di unità funzionale (per ubicazione e destinazione) fra la parte espropriata e quella residua, con l’effetto che il distacco della prima influisca positivamente o negativamente sul valore della seconda.

Pertanto anche a siffatto accertamento dovrà provvedere il giudice di rinvio; tenendo presente che ove esso abbia esito favorevole per la ditta espropriata, il relativo criterio di calcolo dell’indennità, previsto dal menzionato della L. n. 2359 del 1865, art. 40, per quanto si è detto, copre necessariamente tutti i danni conseguenti all’esproprio.

5. Ma la Corte territoriale ha errato anche laddove ha disapplicato il criterio di calcolo disposto per le aree agricole dalla citata L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16, sulla base del valore agrario medio per tipologie di colture, sostituendo arbitrariamnte le “tabelle” formate dalle commissioni amministrative previste dalla legge proprio per il calcolo della indennità di espropriazione di terreni inedificabili con il valore venale del bene ancorato al suo (asserito) prezzo di mercato. Senza considerare che in forza di queste disposizioni, peraltro recepite anche dal T.U. delle espropriazioni, l’indennità per le espropriazioni “delle aree agricole non è automaticamente pari al prezzo di mercato del fondo agricolo ed al suo valore venale, ma deve invece essere commisurata al suo valore agricolo: ossia al valore determinato (anche) sulla base del parametro costituito dal valore medio (cioè ottenuto sulla media dei valori concretamente individuati) da analoghe commissioni provinciali, nell’anno solare precedente al provvedimento ablativo, dei terreni ubicati nell’ambito della medesima regione agraria, nei quali erano praticate le stesse colture in opera nel fondo espropriato (Cass. 4357/2003; 13473/2002; 3662/2001).

D’altra parte, la scelta legislativa di suddividere le aree in due sole categorie – aree edificabili da una parte, e tutte le rimanenti, dall’altra – e di valutare queste ultime ai fini del calcolo dell’indennità di espropriazione in base al valore agricolo tabellare di cui si è detto, è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla sentenza 261/1997 della Consulta invocata dalla corte di merito; sicchè la considerazione conclusiva della Corte che le tabelle formate dalle commissioni provinciali non restano sottratte al tradizionale sindacato giurisdizionale sugli atti e provvedimenti ammministrativi, sta a significare soltanto che dette tabelle possono essere impugnate dagli interessati davanti al giudice amministrativo, ove riscontrate affette da alcuno dei vizi dell’atto amministrativo indicati nella L. n. 1034 del 1971; nonchè che di esse può comunque chiedersi al giudice ordinario la disapplicazione della L. n. 2348 del 1865, ex art. 5, All. E, ove adottate dall’autorità amministrativa in carenza di potere; ma non certamente che detto giudice possa sostituire al calcolo del “valore agricolo” operato dalle commissioni in questione in base ai meccanismi ed agli elementi indicati nella stessa L. n. 865 del 1971, una propria autonoma valutazione del valore del fondo, ritenuta più congrua e comunque più rispondente al suo prezzo in un libero mercato (Cass. 15016/2001; 12543/2000; 50/2000).

6. La sola voce da aggiungere all’indennizzo come sopra calcolato proviene dalla L. n. 2359 del 1865, art. 43 (ora riprodotto nell’art. 32, comma 2 del T.U.), che consente di includere nell’indennità anche il valore delle costruzioni esistenti sul fondo, (a meno che non risultassero eseguire al solo scopo di conseguire, un’indennità maggiore), ed in presenza di terreni agricoli permette di indennizzare – a differenza del soprassuolo – i fabbricati insistenti su detti immobili avendo la giurisprudenza di legittimità costantemente affermato che i manufatti in questione costituiscono pertinenza del terreno agricolo su cui insistono in quanto non sono fonti di utilità diretta ma solo strumentale, per essere volti al miglior godimento del terreno stesso che costituisce il bene principale e l’oggetto dell’attività agricola. Sicchè si è ritenuto: a) che l’indennità prevista per l’ablazione dei terreni agricoli a norma della L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16, deve tenere necessariamente conto, in difetto di diversa regolamentazione, dei fabbricati rurali; b) che tuttavia, ove la costruzione sia dotata di autonomia funzionale rispetto al fondo, il giudice deve aggiungere all’indennizzo, calcolato comunque in base al suo valore agricolo quello della costruzione (ove di essa non si sia già tenuto conto applicando il criterio differenziale di cui alla L. n. 2359, art. 40); che in tale caso costituisce, dunque, un quid pluris rispetto all’indennizzo in senso stretto, concernente il solo terreno agricolo e soggetto – esso solo – al meccanismo di calcolo previsto dalle menzionate norme della L. n. 865 del 1971 (Cass. 10930/2001;

4585/1988; 7585/1983).

Nessun’altra “indennità aggiuntiva” è prevista da alcuna di dette leggi; nè può essere liquidata ricorrendo al disposto dell’art. 46 della legge fondamentale, come ha fatto invece la Corte di appello mostrando di non comprenderne la funzione: posto che la norma non richiede necessariamente il che la situazione contemplata venga a determinarsi in conseguenza di un procedimento espropriativo, ma è diretta alla tutela dei soggetti che (quand’anche un procedimento espropriativo vi sia stato) o ne siano rimasti completamente estranei (in quanto proprietari di suoli contigui a quelli sui quali è stata eseguita l’opera) o abbiano subito un danno non già per effetto della mera separazione (per esproprio) di una parte di suolo, bensì in conseguenza dell’opera eseguita sulla parte espropriata ed indipendentemente dall’espropriazione stessa. Ed è quindi invocabile allorchè la riduzione della godibilità di un loro immobile e/o la menomazione, la diminuzione o la perdita di una o più facoltà (non marginali) del loro diritto dominicale si manifesti in conseguenza dell’esecuzione o della presenza dell’opera pubblica, ovvero della sua utilizzazione in conformità della funzione per la quale è stata progettata e realizzata; ed arrechi al proprietario, un pregiudizio permanente (c.d. espropriazione larvata),che viene dalla norma riparato – malgrado il carattere legittimo dell’opera pubblica realizzata – in base al principio pubblicistico di giustizia distributiva, per cui non è consentito soddisfare l’interesse generale attraverso il sacrificio del singolo, senza che questo ne sia indennizzato (Cass. 25017/2005; 10163/2003; 7390/2001;

15305/2000). Laddove nel caso l’indennità è stata liquidata alla Valorz per compensarla di un’opera muraria realizzata non dall’ANAS o dalla Pizzarotti, ma da essa stessa nella porzione non espropriata del fondo;e che a giudizio della sentenza definitiva arrecava vantaggi sia alla ditta espropriata che all’amministrazione proprietaria della superstrada (pag. 10).

7. Per tutte queste ragioni entrambe le sentenze impugnate vanno cassate, con rinvio alla stessa Corte di appello di Trento, che provvedere al riesame ex novo dell’opposizione della proprietaria alla stima dell’indennità di espropriazione attenendosi ai principi esposti anche in relazione all’individuazione dei soggetti tenuti a corrisponderla;nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, e li accoglie, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Trento in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

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