Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17678 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 25/08/2020), n.17678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17491-2018 proposto da:

L.L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SAN

LORENZO IN LUCINA 26, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO STICCHI

DAMIANI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE GRAVINA IN PUGLIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio del Dott. ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA IACOBELLIS;

– controricorrente –

e contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2077/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 06/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

P.M. conveniva in giudizio il Comune di Gravina di Puglia per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta indicata come cagionata da un dislivello stradale;

il Comune era autorizzato alla chiamata in causa, in manleva, della ditta individuale di L.G.L., appaltatrice de lavori della rete fognaria nella zona del sinistro;

il Tribunale accoglieva la domanda;

impugnava L.G.L. quale persona fisica, deducendo l’illegittimità della chiamata in causa per irritualità della relativa notificazione, e per essere intervenuta cancellazione della ditta individuale con cessione dell’azienda alla Leuzzi s.u.r.l.;

la Corte di appello rigettava il gravame osservando che la cancellazione della ditta individuale dal registro delle imprese non ostava alla responsabilità dell’imprenditore individuale la cui attività non risultasse cessata, e che la notifica della chiamata in causa era ritualmente avvenuta a norma dell’art. 140 c.p.c.;

avverso questa decisione ricorre per cassazione L.G.L. articolando tre motivi;

resiste con controricorso il Comune di Gravina di Puglia;

le parti hanno formulato, con documento pervenuto telematicamente il 19 giugno 2020, istanza congiunta di rinvio per bonario componimento della lite.

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,139,145 c.p.c., artt. 2697,2700 c.c., poichè la Corte territoriale avrebbe errato omettendo di considerare che la notifica ex art. 140 c.p.c., era stata effettuata a un indirizzo ricavato dalla visura camerale da cui era stata evinta la cancellazione della ditta, dopo una prima notificazione con esito negativo, e che si trattava della propria precedente residenza e non di quella relativa al momento della notificazione in parola, come risultava dal certificato anagrafico prodotto con l’atto di appello e illegittimamente non esaminato con radicale carenza motivazionale;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, poichè la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso, conseguentemente all’errore di cui alla prima censura, di permettere la riespansione di tutte le facoltà processuali cui il deducente avrebbe avuto diritto, con la rimessione al primo giudice, in conseguenza dell’accertata nullità della notificazione della chiamata in causa;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2494, 2560 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che con la trasformazione sociale avvenuta prima dell’inizio della lite, era intervenuta successione nel diritto controverso, con conseguente carenza di legittimazione passiva del deducente;

Rilevato che:

preliminarmente deve osservarsi che l’istanza di rinvio di cui in parte narrativa non può accogliersi perchè, specie tenuto conto del tempo trascorso dall’introduzione del giudizio di legittimità, non meglio circostanziata;

nel merito cassatorio, il primo motivo è inammissibile;

va premesso, in relazione a una specifica eccezione di – diversa -inammissibilità formulata in controricorso, che nel giudizio di cassazione, il motivo d’impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute dall’elencazione delle norme che si assumono violate e dalla deduzione del vizio di motivazione, è di regola inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o di difetto motivazionale (Cass., 20/09/2013, n. 21611; cfr. anche Cass., 05/02/2018, n. 2746, pag. 6, evocata dal controricorrente);

la suddetta inammissibilità, però, può dirsi sussistente, logicamente, a patto che la descritta mescolanza di motivi sia inestricabile (cfr. anche Cass., 17/03/2017, n. 7009);

e infatti, deve al contempo farsi applicazione del principio per cui la circostanza che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le deduzioni prospettate in modo da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi distinti (Cass., Sez. U., 06/05/2015, n. 9100);

ciò posto, deve per converso constatarsi che la parte fonda la sua censura su documenti che (a pag. 6 del ricorso) si evince sono stati prodotti in secondo grado, ma che non risultano allegati al ricorso, rispetto al quale non si riporta numerazione riferibile e in calce al quale non si rinviene alcun riferimento utile;

infatti, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero, ancora, da una parte senza precisarne la presenza nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e, dall’altra, necessariamente, senza specificarne la loro produzione e conseguente collocazione in sede di giudizio di legittimità (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);

il secondo motivo è manifestamente inammissibile;

la censura è sostanzialmente inintellegibile, non essendovi quindi stato alcun rilievo “a sorpresa”;

la “censura”, per quel che riesce a evincersi, è diretta a sostenere che il vizio di cui al primo motivo aveva leso il diritto di difesa inibendo le allegazioni e controprove in prime cure, e anche la chiamata in causa cumulativa per manleva della propria assicurazione: in questa cornice la critica si risolve in un “non motivo”, risolvendosi in un argomento a sostengo della prima critica, piuttosto che in un profilo assorbito dall’inammissibilità ricostruita con il precedente scrutinio;

il terzo motivo è inammissibile ponendo una questione, questa sì, nuova, quella della successione nel diritto controverso, perchè da quanto riferisce lo stesso ricorso, che comunque non è diversamente specifico, la cancellazione dal registro delle imprese era stata allegata per sostenere l’inammissibilità della chiamata di un soggetto estinto, laddove la Corte territoriale ha sul punto e infatti risposto che, assunta la ritualità della notifica, non era stata provata la cessazione dell’attività dell’impresa individuale, nè alcunchè di più specifico si sa dei termini della trasformazione in s.u.r.l. e del preteso conferimento aziendale;

peraltro il motivo pone un problema di legittimazione passiva che, una volta ritenuta valida la notifica della chiamata in causa e regolare la contumacia in primo grado, era precluso introdurre in appello violando le preclusioni all’onere di allegazione in primo grado;

le spese vanno compensate in ragione della condotta delle parti che, con l’istanza di rinvio sopra menzionata, hanno manifestato una posizione conciliativa.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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