Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17674 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 25/08/2020), n.17674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1416/2019 R.G. proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Sabrina Serroni;

– ricorrente –

contro

B.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Enrico

Fascione, con domicilio eletto in Roma, via Pisanelli, n. 2, presso

lo studio dell’Avv. Stefano Di Meo;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Pisa, n. 517/2018 depositata il

1 giugno 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 giugno

2020 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore generale Dott. Corrado Mistri, che ha chiesto

dichiararsi l’inammissibilità del primo motivo di ricorso e

l’accoglimento del secondo motivo.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pisa ha confermato, con diversa motivazione, la sentenza del Giudice di pace che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta da M.A. contro B.A., quale erede del geometra B.L., per i danni subiti a causa dell’inadempimento dell’incarico professionale conferito a quest’ultimo, nel 1995, di presentare al Comune una domanda di condono edilizio.

Secondo quanto accertato in sentenza, la domanda era stata effettivamente presentata in data 24/2/1995 ma – come appreso dal committente solo più di dieci anni dopo, in data 7/11/2005, da una comunicazione del competente ufficio del Comune – la pratica risultava incompleta, poichè mancante di una serie di documenti.

Respinta la difesa dell’appellato, secondo cui l’incarico riguardava solo la presentazione dell’istanza, e ritenuta altresì infondata, difformemente dal primo giudice, l’eccezione di prescrizione, il Tribunale ha però ritenuto che – in considerazione del fatto che, come dimostrato dalla documentazione medica acquisita, quanto meno a partire dal mese di gennaio del 1996, al geometra B.L. era stata diagnosticata una gravissima malattia, che lo aveva costretto a sottoporsi da subito a trattamento chemioterapico, rivelatosi però inutile, dato lo stato già avanzato del male che lo condusse poi a morte nel (OMISSIS) – risultava in contrasto con il dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede ex art. 1375 c.c., in uno con il principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Cost., la pretesa del creditore all’adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dal professionista, in un momento in cui questi non solo (era) cosciente di essere affetto da una gravissima malattia ma “contempla(va) il proprio exitus come una certezza vicinissima nel tempo… accompagnata da elevate sofferenze fisiche ed emotive”.

2. Avverso tale decisione M.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito l’intimato depositando controricorso.

Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

In vista di tale adunanza il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Fissata per la trattazione l’udienza pubblica dell’11 marzo 2020, a causa del sopravvenire dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in attuazione del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, art. 1 il Primo Presidente, con decreto del 9 marzo 2020 (prot. Interno n. 526) ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo (come di tutte le cause fissate per le udienze e adunanze camerali in calendario nel periodo compreso tra il 9 e il 22 marzo 2020, con la sola eccezione – che qui non viene in rilievo – di quelle indicate nell’art. 2, comma 2, lett. g D.L. cit.).

Quindi, in attuazione dei decreti del P.P. nn. 44, 47, 55 e 76, a loro volta attuativi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 7, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 e successivamente modificato dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, art. 3, comma 1, lett. c), essendo stata prevista la possibilità di fissare adunanze camerali nel numero ivi precisato nel periodo dal 22 al 30 giugno, la presente causa è stata destinata per la trattazione in adunanza camerale nella data odierna, con decreto del Presidente titolare del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Collegio preliminarmente rileva che la trattazione del presente ricorso – già rimessa alla Sezione dalla Sesta Sezione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3, – era stata fissata nell’udienza pubblica dell’11 marzo 2020, la quale venne rinviata d’ufficio dalla legislazione emergenziale sul contagio da coronavirus.

Osserva, altresì, che, secondo il decreto del Primo Presidente n. 76 del 2020 (che richiama il precedente decreto n. 55 del 2020) una nuova trattazione in pubblica udienza non avrebbe potuto fissarsi se non dopo il 31 luglio 2020. Rileva che la trattazione è stata fissata nell’odierna adunanza camerale al fine di assicurare una sollecita trattazione dopo la stasi determinata dalla suddetta emergenza e considera che, poichè da nessuna delle parti e nemmeno dal Pubblico Ministero sono state sollevati rilievi, sia adducendo l’esistenza del provvedimento del Primo Presidente come giustificativa della rinnovazione della trattazione solo in pubblica udienza, sia adducendo la rimessione da parte della Sesta Sezione, ritiene che nulla osti alla presente trattazione camerale.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di alcune circostanze asseritamente decisive, quali in sintesi:

il fatto che la domanda di condono era stata presentata in data 24/2/1995, in un momento in cui la malattia non si era minimamente ancora manifestata;

il fatto che il Comune aveva richiesto al geometra B. le integrazioni necessarie al completamento e al buon esito della pratica con lettera del 20/11/1995, prima dunque che la malattia giungesse alla fase acuta e culminante;

il fatto che il B. aveva richiesto e ottenuto dal committente il saldo delle proprie competenze nel giugno del 1996.

Lamenta che il Tribunale, non tenendo conto di tali circostanze, è giunto ad una decisione non corretta “in quanto fondata su di un presupposto (l’inesigibilità della prestazione richiesta per le condizioni di salute in cui il professionista – presumibilmente – versava) completamente errato, sia perchè il B. avrebbe potuto completare la pratica di sanatoria prima dell’insorgenza della malattia (o, comunque, rinunciare al mandato nel momento in cui la stessa si era palesata), sia perchè la malattia stessa non gli aveva impedito di curare i propri interessi lavorativi e professionali, come dimostrato dall’intervenuta richiesta di pagamento avanzata nel giugno dell’anno 1996 (quando, cioè, la malattia era già stata scoperta da più di sei mesi ed erano già in corso le cure del caso)”.

Soggiunge che, peraltro, l’asserita impossibilità di svolgere l’attività professionale “non ha trovato riscontro probatorio alcuno negli atti processuali, nè nelle stesse affermazioni di parte convenuta (non essendo stato dimostrato, ma neppure allegato, che il B., successivamente alla scoperta della malattia, abbia interrotto o sospeso la propria attività)”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto.

Osserva che, ai sensi degli artt. 1218,1453 e 2697 c.c., il debitore è responsabile dell’inadempimento dell’obbligazione se non prova che tale inadempimento (sia assoluto che relativo) sia dipeso da una causa a lui non imputabile: in quest’ultimo caso (fornendo la relativa prova) egli va esente da responsabilità, dal momento che l’evento imprevedibile o inevitabile fuoriesce dal controllabile sforzo diligente, unico parametro al quale il debitore deve commisurare il proprio impegno esecutivo.

3. E’ fondato il secondo motivo, di rilievo preliminare e assorbente, nei termini appresso precisati.

3.1. Ai sensi dell’art. 1218 c.c. il debitore è liberato dalla responsabilità per inadempimento se prova che questo è dovuto a “impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile”;

Secondo pacifico insegnamento, “le cause di estinzione dell’obbligazione sono tema di prova della parte debitrice, e fra queste l’impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (art. 1256 c.c.), con effetto liberatorio sul piano del risarcimento del danno dovuto per l’inadempimento (art. 1218 c.c.).

Il danneggiante deve dimostrare la causa imprevedibile ed inevitabile che ha reso impossibile la prestazione, cioè il caso fortuito (casus = non culpa).

La diligenza non attiene qui all’adempimento, ma alla conservazione della possibilità di adempiere, quale impiego delle cautele necessarie per evitare che la prestazione professionale divenga impossibile, e, riguardando non solo la perizia ma anche la comune diligenza, prescinde dalla diligenza professionale in quanto tale. La non imputabilità della causa di impossibilità della prestazione va quindi valutata alla stregua della diligenza ordinaria ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 1, mentre la diligenza professionale di cui al comma 2, quale misura del contenuto dell’obbligazione, rappresenta il parametro tecnico per valutare se c’è stato l’adempimento (diligenza determinativa del contenuto della prestazione).

Non si rimprovera qui al debitore il mancato rispetto della regola (preesistente) di esecuzione esperta della prestazione professionale quale obbligazione di comportamento, ma la scelta di agire in un modo piuttosto che in un altro che sarebbe stato efficace ai fini della prevenzione della causa che ha reso impossibile la prestazione.

Tale causa resta non imputabile se non prevedibile e se inevitabile.

La colpa del debitore risiede non nell’inadempimento, che è fenomeno oggettivo di mancata attuazione di una regola di comportamento (ed in particolare della regola di esecuzione esperta della prestazione professionale), ma nel non aver impedito che una causa, prevedibile ed evitabile, rendesse impossibile la prestazione.

La causa di non imputabilità dell’impossibilità di adempiere è, come si è detto, in quanto ragione di esonero da responsabilità, tema di prova del debitore/danneggiante. Il debitore che alleghi la fattispecie estintiva dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile deve provare sul piano oggettivo il dato naturalistico della causa che ha reso impossibile la prestazione e sul piano soggettivo l’assenza di colpa quanto alla prevenzione della detta causa (così, ex multis, v. da ultimo Cass. 11/11/2019, nn 28991-28992; Cass. 27/07/2017, n. 18392).

3.2. Il Tribunale non si muove nell’ambito di tale schema ma sembra piuttosto porre un limite alla esigibilità della prestazione determinato dall’agire, nella fattispecie, di un dovere positivo della controparte di tollerare l’inadempimento date le sopravvenute condizioni di salute del debitore.

Adotta in tal senso giustificazioni tratte da tutt’altro ambito tematico, tanto da rendere la motivazione incomprensibile e da esporla a rilievo – consentito dalle illustrazioni sostanziali del motivo – di violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

3.3. In ogni caso, anche volendo leggere le esposte considerazioni nella prospettiva sopra delineata, ritenendo dunque che il dovere di solidarietà e buona fede venga qui evocato quale parametro di valutazione della esigibilità della prestazione e dunque della oggettiva sua impossibilità, la valutazione si rivela monca, posto che, non seguendo lo schema sopra descritto, omette di considerare la cronologia degli eventi e dunque se quella impossibilità della prestazione, quand’anche oggettivamente apprezzabile, avrebbe potuto essere evitata con un comportamento più diligente (e tempestivo).

4. In accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbito l’esame del primo motivo.

La causa va rinviata al giudice a quo al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

PQM

accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia al Tribunale di Pisa in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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