Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17673 del 17/07/2017

Cassazione civile, sez. VI, 17/07/2017, (ud. 12/04/2017, dep.17/07/2017),  n. 17673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27738-2015 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA DUSE

5G, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO TESEO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO 95,

presso lo studio dell’avvocato MAURO MONACO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 5296/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio,

imposto dalia legge non partecipata del 12/04/2017 dal Consigliere

Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha pronunciato la separazione dei coniugi P.M. e T.S., con addebito alla moglie, ha rigettato la domanda di addebito dalla stessa proposta, e quella volta ad ottenere l’assegno di mantenimento. Avverso detta sentenza, ricorre per cassazione la P. sulla base di tre motivi, ai quali il T. resiste con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma sintetica.

2. Va, preliminarmente, rilevato che, in sede di memoria, il procuratore della ricorrente ha chiesto di comparire, per essere ascoltato, all’adunanza del 12.4.2017 o ad “altre eventualmente fissande”. Tale istanza va disattesa: in esito alla L. n. 197 del 2016, il giudizio di legittimità risulta suddiviso in base alla valenza nomofilattica delle cause, mentre per quelle che ne sono munite è prevista la celebrazione dell’udienza pubblica e la decisione con sentenza, per le seconde è previsto un procedimento camerale “non partecipato”. La disciplina dell’art. 380-bis c.p.c. si iscrive nell’ambito di tale secondo gruppo, essendo funzionale alla decisione di ricorsi che si presentino, all’evidenza (“a un sommario esame”: art. 376 c.p.c.), inammissibili, manifestamente infondati o manifestamente fondati (art. 375 c.p.c.), sicchè essi vanno decisi con ordinanza all’esito di adunanza camerale non partecipata. La garanzia del contraddittorio, che costituisce il nucleo indefettibile del diritto di difesa, resta, comunque, garantita dalla trattazione scritta della causa (la pubblicità del giudizio essendo stata assicurata in primo ed in secondo grado), con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare le rispettive ragioni, facoltà di cui si è, appunto, avvalsa la ricorrente (cfr. Cass. ord. n. 395 del 2017; n. 5374 del 2017).

3. Il primo motivo, col quale si deduce la nullità della sentenza per violazione del giusto processo, è inammissibile per la sua genericità: la circostanza che il giudice d’appello abbia comunicato in anticipo al T. la sua decisione costituisce infatti un’illazione, e la violazione del principio di terzietà viene collegato a non meglio precisata “vicinanza” del giudice alla parte. Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass, Sez. U. 20/01/2017 n. 1545; Cass. 7/7/2016 n 13935), in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza.

4. Il secondo ed il terzo motivo, coi quali si lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. nonchè motivazione contraddittoria circa fatti decisivi per il giudizio, sono infondati: a parte che la sentenza dà conto dell’avvenuta conferma della relazione investigativa e fa leva, anche, su incongruenze nella ricostruzione dei fatti ad opera della stessa ricorrente e dei testi da lei addotti, va rilevato che, nell’ordinamento processuale vigente, manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, e, pertanto, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche purchè idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito (che nella specie vi ha puntualmente provveduto) e non censurabile in sede di legittimità – con le altre risultanze del processo (cfr. Cass. n. 11892 del 10/06/2016).

5. Inoltre, il potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile: a) nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio – vizio che non è integrato dall’omesso esame di elementi istruttori, se il fatto rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (come nella specie; cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014); b) nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, non risultando apprezzabile come violazione del diritto di difesa alcuna delle varie circostanze in proposito allegate da parte ricorrente.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore del procuratore distrattario. Non sussistono i presupposti per la chiesta condanna ex art. 96 c.p.c., non ravvisandosi un’ipotesi di impiego pretestuoso e strumentale – e quindi di abuso – del diritto di impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso e la domanda di condanna al risarcimento ex art. 96 c.p.c. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre a spese generali ed accessori, e di cui si dispone la distrazione in favore dell’Avv. Mauro Monaco. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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