Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17669 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 22/06/2020, dep. 25/08/2020), n.17669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 35992/2018 proposto da:

G.A., G.G., G.M.,

P.M., elettivamente domiciliati in Roma alla via F. Civinini, n.

105 presso lo studio dell’avvocato Fioretti Enrico, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

Unione Di Banche Italiane S.p.a., in persona del procuratore

speciale, domiciliata in Roma, presso la cancelleria civile della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Del Bigio

Giampiero, e Eusebi Gabriele;

– controricorrente –

e contro

G.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 01784/2018 della CORTE d’APPELLO di ANCONA,

depositata il 20/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2020 da Cristiano Valle, osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Banca Popolare di Ancona, ora UBI Banca S.p.a., ottenne due decreti ingiuntivi nei confronti di due gruppi di fideiussori della G. S.r.l.

1.2) Opposte entrambe le ingiunzioni una delle due cause di opposizione venne dichiarata interrotta, non fu riassunta e, quindi, si estinse, con definitiva esecutività del monitorio.

1.3) L’altra opposizione venne rigettata dal Tribunale di Macerata e la relativa sentenza è stata confermata in appello dalla Corte territoriale di Ancona, con sentenza n. 01784 del 20/08/2018, impugnata in questa sede.

1.4) Ricorrono per cassazione i fideiussori A., G., e G.M. e P.M. con quattro motivi.

1.5) Resiste con controricorso UBI Banca S.p.a.

1.6) G.L., originaria appellante avverso la sentenza di primo grado, ed accettante l’eredità del padre G.C. con beneficio d’inventario, è rimasta intimata.

1.7) La trattazione del ricorso veniva fissata per l’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c., del 9 marzo 2020, in vista della quale la ricorrente depositava memoria.

1.8) Il Collegio, in ragione della sopravvenienza del D.L. 8 marzo 2020, n. 11 rinviava a nuovo ruolo.

1.9) La trattazione veniva fissata nuovamente per l’odierna adunanza camerale.

1.10) Il P.G. non ha formulato conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Il primo motivo di ricorso è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 2697 c.c. ed agli artt. 115,116 e 210 c.p.c. e deduce nullità della sentenza, e comunque del procedimento, per la mancato ammissione della produzione documentale allegata alle note autorizzate.

2.1) Il secondo mezzo prospetta violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 1938 e 1284 c.c. e censura la sentenza della Corte territoriale per avere ritenuto legittimo l’ampliamento dell’originaria fideiussione, in contrasto con la (nuova: di cui alla L. 17 febbraio 1992, n. 154, intervenuta dopo la stipula del contratto di fideiussione) formulazione dell’art. 1938 c.c.

2.2) Il terzo motivo in quanto fa leva sull’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1956 e 1375 c.c.

2.3) Il quarto ed ultimo mezzo per nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 1956 c.c.

3) In via preliminare si rileva che i motivi di ricorso per cassazione sono pressochè pedissequi a quelli d’appello, per riduzione, perchè ne mancano due degli originari proposti alla Corte territoriale. Il ricorso per cassazione, inoltre, si compone in gran parte del contenuto della stessa sentenza d’appello.

3.1) Il primo motivo, – come si è detto – è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 2697 c.c. e artt. 115,116 e 210 c.p.c.

Il mezzo è inammissibile in quanto non idoneamente formulato.

La ragione decisoria della sentenza d’appello in punto di mancata acquisizione della documentazione allegata alle note autorizzate è contenuta alle pagine 7 e seguenti della motivazione della sentenza d’appello e il primo mezzo cerca di veicolare un dissenso motivazionale.

Il primo motivo lamenta, innanzitutto, che la corte territoriale ha condiviso la decisione del giudice di prime cure, ma la censura è articolata senza alcuna indicazione specifica delle note autorizzate che, evidentemente, spiegavano come e perchè dovesse consentirsi il deposito dei documenti. Ne segue che in tale situazione, questa Corte non è messa in grado di apprezzarne la decisività e prima ancora la censura viola l’art. 366 c.p.c., n. 6 in ordine alla indicazione specifica degli atti fondanti la censura. Tale norma è altresì violata, in quanto si omette di riprodurre il contenuto della decisione di primo grado riguardo alle dette note.

L’illustrazione del motivo non reca alcuna spiegazione del come del perchè sarebbero state violate, da parte della Corte territoriale, per effetto della condivisione del ragionamento decisorio del primo giudice, le norme indicate nella sua intestazione, dovendosi tenere presente che la violazione dell’art. 2697 c.c. è apprezzabile (secondo i criteri indicati – in motivazione non massimata – da Cass., Sez. U n. 16598 del 2016) solo se nel mezzo risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, ossia attribuendo l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni; viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentato in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che là valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale), secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità (da Cass. n. 11892 del 2016 Rv. 640193 – 01, condivisi da numerose successive ed in fine sempre dalla citata Sez. U n. 16598 del 2016).

L’illustrazione del mezzo, d’altro canto, si risolve nella riproduzione alle pagine 23-24 della motivazione della sentenza impugnata, cui segue senza alcuna spiegazione della pertinenza l’evocazione dell’art. 116 c.p.c. e, quindi, dell’art. 210 c.p.c.

In generale, comunque, la motivazione della sentenza, che è articolata su varie argomentazioni, non è considerata.

3.2) Il primo motivo è, pertanto, inammissibile.

4) Il secondo mezzo – come si è detto – prospetta violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 1938 e 1284 c.c.; il mezzo appare correttamente formulato però non incide sulla motivazione della sentenza d’appello che spiega ampiamente, alle pagine 8-10 per quale ragione la fideiussione originaria era stata ampliata dopo il 1992 e non incorreva in violazione di norme imperative, affermando, con motivazione che il motivo non censura adeguatamente, che l’oggetto della fideiussione, pur dopo l’ampliamento era comunque determinabile con riferimento al rapporto tra debitore principale (la G. S.r.l.) e la banca creditrice e ciò anche avuto riguardo all’oggetto delle obbligazioni via via assunte nei confronti della banca dal debitore garantito e tanto anche con riferimento ai tassi di interessi praticati e tenuto altresì conto che nel contratto di fideiussione era contenuto, a titolo esemplificativo, il riferimento “ad una serie di rapporti bancari tra i quali anche le “anticipazioni su titoli o merci” originanti le partite creditorie dell’istituto di credito…”.

Il secondo motivo, in conclusione, non denuncia le violazioni e falsa applicazione delle norme indicate nella intestazione, bensì le postula come risultato di una rivisitazione della questione di fatto, in tal modo infrangendosi contro i limiti emergenti dalla nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, come indicati dalla giurisprudenza nomofilattica (Sez. U n. 08053 del 07/04/2014 Rv. 629830-01 e 629831-01). La Corte territoriale ha, peraltro, deciso la questione conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 08944 del 05/05/2016 Rv. 639910 – 01): “La fideiussione “omnibus” senza limitazione di importo, stipulata anteriormente alla data di entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 10 – il quale, sostituendo il testo originario dell’art. 1938 c.c., ha subordinato la validità della fideiussione per obbligazioni future all’indicazione dell’importo massimo garantito – conserva efficacia unicamente per i debiti verso la banca sorti a carico del debitore principale prima della predetta data, e non anche per quelli successivi, salvo le parti fissino l’importo massimo garantito con la rinnovazione della convenzione di garanzia, la quale, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, con effetto “ex nunc”, esula dall’ipotesi di inammissibilità della convalida del negozio nullo, ai sensi dell’art. 1423 c.c., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti “ex tunc”, ma non a comprimere la libertà delle parti di reiterare, depurandola dal vizio invalidante, la manifestazione della loro autonomia negoziale al fine di regolare i loro interessi.”.

4.1) Il secondo mezzo è, pertanto, inammissibile.

5) Il terzo ed il quarto motivo di ricorso pure deducono questioni di fatto, peraltro anche in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

5.1) Il terzo mezzo, in particolare, è ampiamente infondato, in quanto, come accennato, deduce violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1956 e 1375 c.c. ma non riesce a spiegare in che modo la sentenza d’appello è in contrasto con i parametri delle dette norme codicistiche, dato la Corte territoriale, alle pagine 10 e seguenti della sentenza, motiva ampiamente sulle ragioni per cui non si poteva ritenere deteriorata la situazione economica della G. S.r.l. dal 1988 al 1989, affermando che non era stata fornita dai G.- P., sui quali incombeva il relativo onere (da ultimo si veda: Cass. n. 23422 del 17/11/2016 Rv. 642655 – 01), alcuna prova di quelle che erano le condizioni economiche del debitore principale, G. S.r.l. al momento della costituzione del rapporto, risalente al 1988, o dell’integrazione della fideiussione, intervenuta nel 1992, con la conseguenza che la continuazione dell’erogazione del credito da parte della banca non comportava violazione alcuna del disposto dell’art. 1956 c.c., comma 1. La Corte d’Appello pure afferma, con ragionamento non idoneamente censurato, che neppure con riferimento al requisito soggettivo di cui all’art. 1956 c.c., dal bilancio dell’anno 1999 della G. S.r.l. non si evinceva un mutamento della situazione patrimoniale della società che potesse far ritenere notevolmente più difficile il rimborso del credito.

5.2) Il terzo motivo è, quindi, anch’esso inammissibile, e comunque infondato.

6) Il quarto ed ultimo mezzo, proposto per nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 1956 c.c. è pure ampiamente infondato, oltre che non idoneamente formulato: la motivazione sulla conoscenza, vera o presunta, in forza dello stretto legame familiare tra i fideiussori e gli amministratori della società, della situazione economica della G. S.r.l. è ampiamente estrinsecata dalla sentenza impugnata, che afferma, alla pag. 12, secondo capoverso, che i fideiussori erano soci della G. S.r.l., nonchè legati da stretti vincoli di parentela con gli amministratori della società che si erano via via succeduti nel tempo, cosicchè i garanti non potevano dedurre fondatamente di avere ignorato senza colpa quale fosse la reale situazione patrimoniale delle società anche in considerazione del fatto che sulla base di espressa clausola contrattuale erano tenuti ad informarsi in materia.

6.1) Il quarto motivo è, pertanto, come i precedenti, inammissibile, ed in ogni caso sarebbe pure infondato.

7) Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.

7.1) Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore complessivo della controversia.

8) Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 8.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione Terza civile, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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