Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17667 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 22/06/2020, dep. 25/08/2020), n.17667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28799/2018 proposto da:

R.V. elettivamente domiciliato in Roma alla via

Francesco Denza n. 3 presso e nello studio dell’avvocato Marco

Battaglia che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A., in persona dell’avvocato B.P., in virtù

di procura conferita dall’Amministratore Delegato di Unicredit

S.p.A. con atto del 26/11/2010 in Notaio A.S., domiciliata

in Roma, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco Punzo;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 00487 della CORTE di APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/03/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2020 da Dott. Cristiano Valle, osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) R.V. agì, con citazione notificata il 19 dicembre 2002, dinanzi al Tribunale di Agrigento per ottenere la restituzione degli importi versati a titolo d’interessi affermati come illegittimamente calcolati dall’allora Banco di Sicilia S.p.a., in ordine a tre distinti rapporti di conto corrente, di cui due intestati a lui direttamente ed uno ad una società nella quale egli aveva conferito la propria ditta individuale, la IMAR Costruzioni S.p.a.

1.1) Nel contraddittorio delle parti il Tribunale di Agrigento, espletata consulenza tecnico contabile di ufficio, con sentenza del 2324 marzo 2010 condannò il Banco di Sicilia S.p.a. alla restituzione in favore del R. della somma di oltre Euro duecentonovantamila, oltre interessi dal 19 dicembre 2002.

1.2) La Corte di Appello di Palermo, adita in via principale dal Banco di Sicilia S.p.a., e in via incidentale dallo stesso R., chiesti chiarimenti per due volte al consulente tecnico già officiato in primo grado, ha escluso dal novero dei rapporti di conto corrente quello intrattenuto dalla banca con l’IMAR S.p.a., affermando che il R., non essendo titolare di rapporto obbligatorio, non aveva titolo al ricalcolo degli interessi e ha ricalcolato le somme dovute in Euro duecentotrentunomila novecentosessantasei e cinquantanove centesimi oltre interessi dal 19 dicembre 2002.

1.3) Avverso la decisione della Corte territoriale ricorre il R. con atto affidato a due motivi.

1.4) Unicredit S.p.a., quale società incorporante del Banco di Sicilia S.p.a. resiste con controricorso, e propone ricorso incidentale su tre motivi.

1.5) La trattazione del ricorso veniva fissata nell’adunanza camerale di sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c. del 9 marzo 2020, in vista della quale la ricorrente incidentale depositava memoria.

1.6) Il Collegio, in ragione della sopravvenienza del D.L. 8 marzo 2020, n. 11 rinviava a nuovo ruolo.

1.7) La trattazione veniva fissata nuovamente nell’odierna adunanza camerale.

1.8) Il P.G. non ha preso conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) I due motivi del ricorso di R.F. sono formulati il primo per violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. ed il secondo per violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e art. 1952 c.c., commi 2 e 3.

2.1) Il primo motivo afferma violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e sostiene che la norma sostanziale sopra richiamata prevede che gli elementi costitutivi del diritto alla ripetizione dell’indebito oggettivo sono esclusivamente due, ovverosia che sia stato effettuato un pagamento e che tale pagamento non sia dovuto. Il mezzo prosegue affermando che altrettanto chiara è la ragione sottesa all’art. 2033 c.c., finalizzato a fornire un rimedio giuridico generale in tutti i casi in cui un soggetto (solvens) abbia disposto, in favore di un altro soggetto (accipiens), un’attribuzione patrimoniale eseguita in assenza, originaria o sopravvenuta, totale o parziale, di una causa o di un titolo giuridico che la giustifichi. La norma in parola, quindi, afferma il mezzo, riconosce il diritto di ripetizione delle somme indebitamente pagate a colui che “ha eseguito il pagamento” e per il semplice fatto che tale prestazione non sia “dovuta”, indipendentemente dalla circostanza che tale pagamento sia stato effettuato nell’ambito di un rapporto contrattuale intestato al suo esecutore ovvero ad un terzo.

2.2) Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e dell’art. 1952 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed afferma che l’art. 1952 c.c., commi 2 e 3, coordinato con la disposizione di cui all’art. 2033 c.c., ovverosia in presenza di un pagamento ingiusto e non dovuto che sia stato effettuato dal fideiussore in luogo del debitore principale, impone di ritenere legittimato all’azione di ripetizione il solo fideiussore.

3) Entrambi i motivi del ricorso principale, che possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto strettamente connessi, sono infondati in quanto le questioni proposte non attengono del tutto all’originaria domanda fatta valere in primo grado, di nullità della capitalizzazione di interessi in conto corrente o, quantomeno, non superano il rilievo di carenza di legittimazione in relazione alla ripetizione degli importi relativi al terzo conto corrente, quello intestato alla IMAR Costruzioni S.p.a., anche perchè omettono di specificare che la detta società è successivamente fallita e la banca si è insinuata al passivo fallimentare.

In particolare, si osserva che la questione relativa all’applicazione dell’art. 2033 c.c. non risulta essere stata proposta, negli esatti termini, nelle fasi di merito, avendo R.V. agito, anche con riferimento al conto corrente intestato alla IMAR S.p.a. con un’azione di restituzione delle somme pagate in eccedenza a titolo di interessi, senza alcun riferimento alla sua posizione di fideiussore della detta società.

Entrambi i motivi del ricorso principale si infrangono, quindi, sulla novità delle questioni che essi pongono o, quantomeno, sulla carente localizzazione ed individuazione degli atti processuali in cui esse erano state poste. A conferma di ciò deve, invero, osservarsi che la ragione del decidere della Corte d’Appello, con esclusione delle somme versate sul conto intestato alla IMAR S.p.a. è stata la carenza di legittimazione attiva del R., in quanto non titolare del conto e la questione dell’azione di ripetizione spettantegli, secondo la prospettazione del ricorso, in forza del combinato disposto dell’art. 2033 c.c. e art. 1952 c.c., commi 2 e 3 non risulta in alcun modo affrontata, in quanto la Corte territoriale alle pag. 8 e 9 della propria motivazione afferma che la questione atteneva unicamente i rapporti tra il R. e la detta IMAR Costruzioni S.p.a. Detto capo del ragionamento decisorio della Corte non risulta in alcun modo adeguatamente scrutinato dai due motivi del ricorso principale.

3.1) E’ opportuno, altresì, ribadire che non è contestato dalla stessa banca resistente, e qui ricorrente incidentale, che il R. rivestisse la qualifica di fideiussore rispetto al conto corrente dell’IMAR Costruzioni S.p.a.f tuttavia egli non ha agito rispetto a detto conto corrente adducendo che i pagamenti effettuati nel periodo indicato erano stati fatti a seguito di una richiesta della banca avente ad oggetto somme dovute (anche) a titolo di interessi, ma, per quello che emerge dalle stesse allegazioni, genericamente deducendo di avere fatto “versamenti” sul conto corrente in un certo periodo ossia di avere effettuato dei versamenti a prescindere da una richiesta e, in particolare, senza che la banca indicasse specifiche causali del versamento, in particolare a titolo di interessi, nè sono state specificamente indicate le ricevute esposte nel motivo, risultando non assolto, dal ricorrente principale, che ne era gravato, l’onere di riprodurne il contenuto ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

3.2) In ogni caso, le deduzioni del ricorrente, anche se i pagamenti fossero stati fatti a motivo della sua posizione di fideiussione, non ineriscono, o almeno non lo si allega, a pagamenti espressamente fatti per interessi nella misura non dovuta.

In una situazione in cui i pagamenti erano stati fatti come versamenti sul conto e non a seguito di richiesta di adempiere alla fideiussione e, soprattutto, senza che vi fosse l’indicazione di specifiche causali, la prospettazione del R. era inidonea ad evidenziare una ripetizione di indebito quanto a somme imputabili agli interessi sulla base della nullità della clausola anatocistica.

3.3) L’affermazione della sentenza impugnata, che un ipotetico pagamento fatto da parte del R. quale fideiussore non avrebbe potuto legittimarlo all’azione di ripetizione è, pertanto, giustificata nei termini evidenziati: invero se in un rapporto taluno assume la qualità di fideiussore e paga un debito ad esso inerente in una situazione di oggettiva condictio indebiti, inerente al modo di essere del rapporto principale rispetto al quale è fideiussore, egli è senz’altro legittimato a ripetere il pagamento indebito adducendo la condictio. Ma deve dimostrare di aver pagato espressamente in base a quella condictio.

Il secondo motivo è infondato anche perchè comunque non è dimostrato, ed anzi neppure allegato, che i pagamenti fossero stati fatti per una richiesta relativa ad interessi.

3.4) Il ricorso principale del R. è, pertanto, rigettato.

4) Il primo motivo del ricorso incidentale di Unicredit S.p.a. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione degli artt. 2934,2935,2946 e 2697 c.c. per non avere riconosciuto la sentenza d’appello la prescrizione per la ripetizione dell’indebito riguardo al periodo oltre i dieci anni antecedenti l’atto interruttivo, per carenza, da parte del R., della prova della natura solutoria dei versamenti effettuati dallo stesso e conseguentemente per non avere escluso per i rapporti di conto corrente (quelli recanti nn. (OMISSIS), (OMISSIS)) dalla quantificazione della ripetizione gli interessi ritenuti illegittimi, pagati con i versamenti effettuati oltre i dieci anni antecedenti la domanda proposta con l’atto di citazione notificato il 19.12.2002.

Il secondo motivo di ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del capo della sentenza che pronuncia la condanna alia ripetizione riguardo ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), quantificandone l’importo tenendo conto dell’addebito degli interessi extrafido e del differente importo degli interessi creditori convenzionalmente dovuti rispetto a quello risultante dagli estratti conto, per violazione della norma dell’art. 112 c.p.c. che vieta la pronuncia oltre i limiti della domanda e anche dell’art. 345 c.p.c., rispetto al diverso tasso degli interessi convenzionali creditori.

Infine, il terzo motivo di ricorso incidentale è proposto per art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione della norma dell’art. 1284 c.c., comma 3, per avere la Corte d’Appello incluso nell’importo della condanna ripetizione gli interessi extrafido.

4.1) La parte di motivazione alla quale fa riferimento il primo mezzo del ricorso incidentale è la seguente:

“Pure infondato si ravvisa il terzo motivo d’appello principale, dovendosi ritenere che il Tribunale abbia correttamente rigettato l’eccezione di prescrizione formulata dal Banco di Sicilia, con specifico riferimento al periodo anteriore al 19 dicembre 1992.

Infatti le argomentazioni della banca appellante non valgono a confutare adeguatamente le considerazioni esposte nella sentenza impugnata (alle pagg. 3 e 4) sulla prescrizione dei crediti vantati dal R..

In tale situazione, ci si può limitare ad evidenziare che:

nel caso di specie, è applicabile il termine di prescrizione decennale;

il termine prescrizionale non decorre dalla data delle singole operazioni, bensì dalla data definitiva di chiusura dei conti correnti, in quanto si tratta di un rapporto unitario;

i due conti residui correnti dedotti in giudizio sono stati chiusi in data 31 dicembre 1994;

il termine di prescrizione decennale è stato interrotto dalla notifica dell’atto di citazione, in data 19 dicembre 2002;

non assumono rilievo decisivo ai fini della definizione della controversia i principi giuridici enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 (successiva al deposito della sentenza di primo grado);

infatti, doveva essere la banca a dimostrare la funzione solutoria dei versamenti effettuati in conto corrente dal R..”.

Su detto impianto motivazionale, in relazione al primo motivo del ricorso incidentale, si rileva, tuttavia, che la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 31927 del 06/12/2019 Rv. 656479 – 01, successiva sia a Sez. U n. 24418 del 2010 Rv. 615489 – 01 che a che a n. 15895 del 13/06/2019 Rv. 654580 – 01 e che di detti precedenti fa coerente applicazione), alla quale il Collegio intende dare, seguito, afferma: “In materia di rapporti bancari, a fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo la prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate, ma il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purchè ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perchè la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto”.

L’affermazione della Corte territoriale, di rigetto dell’eccezione di prescrizione della banca, alla stregua di detto orientamento, non risulta, pertanto, adeguatamente motivata, ponendo il giudice territoriale erroneamente a carico della banca la prova della natura solutoria dei versamenti effettuati dal R..

Il primo motivo del ricorso incidentale è, pertanto, fondato e deve essere accolto.

I restanti due motivi del ricorso incidentale rimangono assorbiti, in quanto essi investono capi dipendenti della stessa sentenza (art. 336 c.p.c., comma 1).

La sentenza impugnata è, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto.

La causa, essendo necessari accertamenti in fatto, è rinviata per rinnovato scrutinio alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, che nel procedere a nuovo esame si atterrà a quanto in questa sede rilevato e provvederà, altresì, alla regolamentazione delle spese anche di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conformemente all’enunciato recentissimo della giurisprudenza nomofilattica (Sez. U n. 04315 del 20/02/2020 Rv. 657198 – 04: “Il giudice dell’impugnazione non e tenuto a dare atto della non sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato quando il tipo di pronuncia non e inquadrabile nei tipi previsti dalla norma (pronuncia di integrate rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione), dovendo invece rendere l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 quater T.U.S.G., solo quando tali presupposti sussistono”), ricorrendo ipotesi di accoglimento del ricorso, non deve darsi atto, in dispositivo, della sussistenza (o insussistenza) dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale;

accoglie il primo motivo del ricorso incidentale assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione sezione Terza civile, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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