Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17667 del 02/07/2019

Cassazione civile sez. III, 02/07/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 02/07/2019), n.17667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21541-2015 proposto da:

B.A., L.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

G. AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI,

rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO GUARALDI;

– ricorrenti –

contro

GUBER SPA, in persona del Dott. BE.GI., quale procuratrice

speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI, 13,

presso lo studio dell’avvocato DAMIANO DE ROSA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CAROLINA CAPALDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2015 del TRIBUNALE di FERRARA, depositata

il 25/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/04/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Cassa di Risparmio di Cento, agendo per il tramite della propria mandataria Guber s.p.a., nel 2010 sottopose a espropriazione forzata un bene immobile di L.A. e B.A., debitori esecutati residenti a (OMISSIS).

Con D.L. 6 giugno 2012, n. 74, in seguito al terremoto che colpì l’Emilia Romagna, venne disposta la sospensione “dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione” sino al 31.12.2012, termine poi prorogato al 30.6.2013.

2. In pendenza di tale termine, su istanza del creditore procedente, il Giudice dell’esecuzione con ordinanza 12.4.2013 ordinò la vendita dei beni pignorati.

I due debitori esecutati proposero opposizione avverso tale ordinanza, sostenendo che la vendita non poteva essere disposta. Secondo gli opponenti, poichè nell’udienza fissata per provvedere sull’istanza di vendita, ex art. 569 c.p.c., le parti “debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi”, il provvedimento di proroga dei termini processuali avrebbe avuto per effetto anche quello di impedire l’adozione dell’ordinanza di vendita.

3. Con sentenza 25.2.2015 n. 205 il Tribunale di Ferrara rigettò l’opposizione.

Il Tribunale fondò la propria decisione su una pluralità di rationes decidendi, così riassumibili:

-) gli opponenti non avevano subito alcun pregiudizio dall’ordinanza di vendita: sia perchè non si erano avvalsi della facoltà di chiedere la conversione del pignoramento; sia perchè avevano esercitato la propria difesa intervenendo all’udienza e “proponendo opposizione allo spirare del periodo di sospensione dei termini”;

-) la pronuncia dell’ordinanza di vendita non presuppone che siano previamente risolte tutte le “questioni preliminari”;

-) la circostanza che, a causa del terremoto, il prezzo degli immobili fosse crollato, non era di per sè ostativa alla pronuncia dell’ordinanza di vendita.

4. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione da B.A. e L.A. con ricorso unitario, fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito la Cassa di Risparmio, per il tramite della mandataria Guber, con controricorso illustrato anch’esso da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 153 e 569 c.p.c.; nonchè del D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6 convertito nella L. 1 agosto 2012, n. 122.

Espongono che l’art. 569 c.p.c., là dove stabilisce che all’udienza ivi prevista le parti debbano proporre, a pena di decadenza, le opposizioni all’esecuzione, prevederebbe un “termine processuale”.

Ne traggono la conseguenza che nel caso di specie il Giudice dell’esecuzione, ordinando la vendita del bene pignorato durante il periodo di sospensione ope legis dei termini processuali, avrebbe adottato un provvedimento nullo.

1.2. Il motivo è innanzitutto inammissibile per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c..

I ricorrenti infatti non chiariscono se la procedura esecutiva nel corso della quale venne disposta la vendita sia progredita; se l’immobile sia stato venduto; quale concreto pregiudizio abbiano patito dall’adozione dell’ordinanza che dispose la vendita.

In mancanza di tali indicazioni, il ricorso deve dirsi inidoneo a fare emergere l’interesse che, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., avrebbe dovuto necessariamente sottenderlo, e di conseguenza inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4.

V’è solo da aggiungere che il difetto di specificità del ricorso per cassazione non può ovviamente essere sanata da eventuali indicazioni aggiuntive contenute nella memoria di cui all’art. 380 bis c.p.c., la quale può avere il solo scopo di illustrare le difese contenute nel ricorso o replicare al controricorso, ma non quello di sanare eventuali mende dell’atto di impugnazione.

1.3. In ogni caso e ad abundantiam, questa Corte reputa opportuno aggiungere, a fini di nomofilachia, che la tesi giuridica sostenuta dai ricorrenti è comunque erronea.

I ricorrenti, infatti, parrebbero confondere gli effetti della sospensione dei termini processuali con quelli del diverso istituto della sospensione del processo, pretendendo che la prima produca gli effetti della seconda.

Ma, in primo luogo, le norme che prevedono la sospensione di termini processuali non comportano per ciò solo la sospensione del processo, e non impediscono di conseguenza lo svolgimento di attività processuali, se non diversamente previsto.

Ne è conferma indiretta la collazione delle norme invocate dagli odierni ricorrenti, con la generale disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1.

Mentre, infatti, tale ultima norma prevede che nel periodo feriale resti sospeso “il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie”, tout court, senza distinguere tra termini che comportano decadenze e termini che non le comportano, al contrario il D.L. n. 74 del 2012 ha previsto la sospensione soltanto dei termini processuali “comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione”.

Il D.L. n. 74 del 2012 ed il successivo D.L. n. 174 del 2012 non hanno, dunque, disposto la sospensione dei processi, di cognizione o di esecuzione; e nemmeno la sospensione di ogni e qualsiasi termine processuale. I due decreti-legge appena ricordati hanno disposto solo la sospensione dei termini decadenziali e di prescrizione dei diritti.

Pertanto, non essendo impedito dai due decreti suddetti lo svolgimento dell’attività processuale, nemmeno poteva dirsi impedita la possibilità per il giudice di disporre la vendita del bene pignorato. Quanto, poi, alla necessità per il debitore esecutato di proporre le proprie istanze nell’udienza di cui all’art. 569 c.p.c., fermo quanto già rilevato in termini di interesse ex art. 100 c.p.c., va rilevato che la suddetta attività è assoggettata dalla legge ad una preclusione processuale, non ad un termine di decadenza.

Si ha la prima, come noto, quando la legge prescrive che una certa attività processuale non possa essere più compiuta, una volta che sia stato compiuto un certo atto. Il termine processuale, per contro, è costituito dal tempo entro il quale la legge impone il compimento di una data attività processuale.

Data la diversità degli istituti, la legge che sospenda il corso dei termini processuali non produce per ciò solo il venir meno delle preclusioni processuali.

Così, per fare un esempio, se in una udienza tenuta nel corso del periodo di sospensione ex D.L. n. 74 del 2012, fosse escusso un teste reticente, l’avvocato della parte che fosse residente in un comune terremotato non sarebbe certo esonerato dall’allegarlo tempestivamente a sospetto. E lo stesso dicasi per tutte le attività che vanno compiute in udienza a pena di decadenza: dal disconoscimento della scrittura privata prodotta ex adverso alla reconventio reconventionis.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 495 c.p.c..

Nell’illustrazione del motivo è sviluppata una tesi che può così riassumersi:

(a) i debitori hanno diritto, ai sensi dell’art. 495 c.p.c., di chiedere la conversione del pignoramento “prima che sia disposta la vendita”;

(b) tale norma prevede un “termine processuale”;

(c) ergo il Giudice dell’esecuzione, ordinando la vendita nel periodo di sospensione legale dei termini processuali, ha privato i debitori della facoltà di chiedere la conversione del pignoramento, ex art. 495 c.p.c..

2.2. Il motivo è inammissibile, per le medesime ragioni già indicate al p. 1.2.

I ricorrenti infatti non hanno mai nemmeno allegato di aver chiesto la conversione del pignoramento, nè deducono che l’avrebbero fatto. Nel merito, e ad abundantiam, la tesi sostenuta dai ricorrenti è comunque infondata, per le medesime ragioni già indicate al p. 1.3 che precede.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato l’insussistenza di un concreto interesse degli opponenti (odierni ricorrenti) a proporre l’opposizione.

Deducono che l’interesse sarebbe in re ipsa, e scaturisce dalla mera violazione della legge processuale.

3.2. Il motivo è infondato.

E’ infatti consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui non esiste un generale interesse alla regolarità degli atti processuali, se questi non hanno arrecato un concreto vulnus al diritto di difesa (ex multis, in tal senso, Sez. 1 -, Sentenza n. 19759 del 09/08/2017, Rv. 645194 – 01, secondo cui “la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata).

4. Le spese.

4.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna L.A. e B.A., in solido, alla rifusione in favore di Guber s.p.a., nella qualità di cui in epigrafe, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 10.260, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di L.A. e B.A., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2019

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