Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17666 del 06/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 06/09/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 06/09/2016), n.17666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7210/2014 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), società con socio unico, in persona

del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

D.D.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 136/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

31/01/2013, depositata il 22/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., letta la memoria depositata dalla parte ricorrente. 2. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 22 marzo 2013, decidendo in sede di rinvio da Cass. 13317/2008 – che aveva cassato, con rinvio, la declaratoria di inammissibilità del gravame pronunciata dalla Corte d’appello di Firenze – ha respinto il gravame proposto da Poste Italiane s.p.a. ed ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata accertata l’illegittimità del termine apposto al contratto, concluso tra le parti, in data 6 dicembre 1999, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali ed alla introduzione di nuovi assetti produttivi della società, con condanna del datore di lavoro a corrispondere le retribuzioni omesse. 3. Per quanto in questa sede rileva, la Corte bolognese confermava la statuizione di primo grado, anche in ordine agli accessori di legge, ritenendoli dovuti “trattandosi di rapporto privato” (così si legge in motivazione). 4. Per la cassazione della sentenza ricorre la società Poste Italiane che articola due motivi. 5. L’intimato non ha resistito. 6. La censura formulata con il primo motivo di ricorso attiene alla ritenuta illegittima apposizione del termine al contratto ed è destituita di fondamento alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte che così si riassume: – la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. Cass. Sez. Un. 2 marzo 2006, n. 4588); – in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25/9/97 (con riferimento al distinto accordo attuativo, sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo del 16/1/98 con i quali le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30/4/98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo; – solo nei suddetti limiti temporali la società poteva procedere ad assunzione di personale straordinario con contratto a termine; – sono illegittimi i contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo; – è irrilevante l’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato (cfr. Cass. 12 marzo 2004, n. 5141) (per tale complessiva ricostruzione si veda tra le tante, Cass. 23 agosto 2006, n. 18378 e da ultimo Cass. 3.4.2014 n. 7881). 7. Pertanto, il contratto, stipulato al di fuori del limite temporale del 30/4/98, è illegittimo in quanto non rientra nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962. 8. Con la seconda censura viene dedotta violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, per non avere la Corte applicato lo jus superveniens e si assume che, incardinato il giudizio di appello in riassunzione prima dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, la Corte avrebbe dovuto fissare alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni. 9. Per comprendere quali fossero i limiti, nel caso di specie, della cognizione del giudice di rinvio, va richiamata la nota distinzione fra rinvio prosecutorio e rinvio restitutorio (cfr., in generale, Cass. S.U. n. 5087/2008 e, da ultimo, Cass., SU., n. 11844/2016). 10. Il primo, anche detto rinvio proprio, e che in questa sede rileva, si ha ove venga accertato un vizio di attività, il che importa che il processo regredisca alla fase in cui il vizio medesimo si sia verificato, restituendo al giudice i poteri che gli competevano per celebrare ex novo il processo, nel rispetto delle regole di rito. 11. Ebbene, con la decisione rescindente n. 13317/2008, questa Corte ha cassato la sentenza di appello che aveva dichiarato inammissibile il gravame avverso la decisione di primo grado, dichiarativa della illegittimità del termine apposto al contratto, disponendo il rinvio per esame dell’appello. 12. Il rilevato difetto di attività ha fatto regredire il processo alla fase in cui il vizio si è verificato – il giudizio di gravame – con la conseguenza che la disciplina in tema di conseguenze economiche derivanti dalla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, dettata dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, trova immediata applicazione a tutti i giudizi in corso all’epoca della sua entrata in vigore (ex plurimis: Cass. n. 26840 del 2010) e quindi anche al giudizio di rinvio (da ultimo, v. Cass. 7549/2016), nella specie proposto in epoca antecedente all’introduzione della tutela risarcitoria ma deciso, dalla Corte territoriale, vigente la predetta disciplina introdotta dal Legislatore del 2010. 13. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, per essere necessari ulteriori accertamenti, la causa deve essere rinviata alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, che provederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittùnità, alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre

2016

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