Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17665 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. I, 29/08/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 29/08/2011), n.17665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.G., domiciliato in Roma, alla piazza Cavour, presso

la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, unitamente all’avv.

MARRA ALFONSO LUIGI, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale a margine del ricorso (CF. (OMISSIS));

– ricorrente –

e

G.C., domiciliato in Roma, alla piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, unitamente all’avv.

MARRA ALFONSO LUIGI, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale a margine del ricorso (CF. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

p.t., domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli n. 1506/08,

depositato il 26 novembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

aprile 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. GOLIA Aurelio, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 26 novembre 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto le domande di equa riparazione separatamente proposte da F.G. e G.C. nei confronti del Ministero del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dagl’istanti nei confronti della Gestione Governativa della Circumvesuviana per l’accertamento del diritto all’inclusione di alcuni emolumenti nella retribuzione utile ai fini della determinazione dell’indennità di buonuscita.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 2000, non si era ancora concluso, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, e, tenuto conto anche dei parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale subito da ciascuno dei ricorrenti in complessivi Euro 4.500,00, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo; ha invece rigettato la domanda riconoscimento dell’ulteriore somma di Euro 2.000,00 richiesta in relazione all’oggetto del giudizio presupposto, in quanto le controversie, pur riguardando crediti di lavoro, non coinvolgevano interessi particolarmente rilevanti; ha infine dichiarato compensate per la metà le spese processuali, in considerazione del parziale accoglimento della domanda, ponendo il residuo a carico del Ministero ed applicando, ai fini della liquidazione, l’art. 50, lett. b), della tariffa forense, con incremento del 20%, avuto riguardo alla riunione dei ricorsi.

2. – Avverso il predetto decreto il F. ed il G. propongono distinti ricorsi per cassazione, il primo articolato in sei motivi, il secondo in otto. Il Ministero resiste con controricorso alla sola impugnazione del F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., va disposta la riunione dei due ricorsi, aventi ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento.

2. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il F. denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha immotivatamente riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, anzichè per l’intera durata del giudizio presupposto, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

1.1. – I motivi sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma come riconosciuto dalla stessa Corte RDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97. non si pone neppure in contrasto con l’art. 6. par. 1.

della CEDU. in quanto non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass.. Sez. 1^, 23 novembre 2010, n. 23654; 14 febbraio 2008, n. 3716).

3. – Sono parimenti infondati il quarto ed il quinto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnalo nella parte in cui ha negato il riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 richiesto in relazione alla natura del giudizio presupposto, senza fornire alcuna motivazione.

3.1. – Premesso che la Corte d’Appello non ha affatto omesso di pronunciare sulla predetta domanda, ma ha negato espressamente il bonus richiesto in considerazione della scarsa rilevanza degl’interessi coinvolti nella controversia, si osserva che l’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali ed assistenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass.. Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446; 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che.

ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione su punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata. ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass., Sez. 1, 28 gennaio 2010. n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

4. – Con il sesto ed il settimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, con-traddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui, nonostante l’accoglimento della domanda, ha dichiarato parzialmente compensate tra le parti le spese processuali, senza un’adeguata motivazione.

4.1. – Le censure vanno esaminate congiuntamente a quella sollevata con il terzo motivo del ricorso proposto dal G., il quale deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU e dell’art. 1 del relativo Protocollo aggiuntivo, osservando che, nel dichiarare parzialmente compensale le spese processuali, nonostante l’accoglimento della domanda, la Corte d’Appello è pervenuta ad una liquidazione insufficiente rispetto agli standard Europei.

4.2. – I motivi sono infondati.

Il giudizio in esame è stato instaurato in data successiva al 1 marzo 2006 ma precedente al 4 luglio 2009, e ad esso si applica pertanto l’art. 92 cod. proc. civ., comma 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), ed anteriore all’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, il quale, nel richiedere l’esplicita indicazione, nella motivazione, dei giusti motivi che, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, giustificano la compensazione totale o parziale delle spese processuali, non impone l’adozione di motivazioni specificamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni poste a fondamento dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (cfr. Cass., Sez. 3^, 30 marzo 2010, n. 7766; Cass., Sez. lav., 31 luglio 2009, n. 17868).

Nella specie, peraltro, tale operazione ricostruttiva non appare neppure necessaria, in quanto la scelta compiuta attraverso la parziale compensazione delle spese processuali è stata espressamente giustificata dalla Corte d’Appello mediante la sottolineatura del parziale accoglimento delle domande, emergente dalla rilevante differenza tra gl’importi richiesti dai ricorrenti (Euro 13.375,00 per il F. ed Euro 13.250.00 per il G.) e quelli riconosciuti con il decreto impugnato (Euro 4.500,00 per ciascuno), il riferimento alla quale, traducendosi in una motivazione idonea a sorreggere la decisione ed immune da vizi logico-giuridici, si sottrae al sindacato di questa Corte.

La ridotta liquidazione delle sperse processuali che ne è derivata non si pone in contrasto con gli obblighi assunti dallo Stato italiano mediante l’adesione alla CEDU, non sussistendo valide ragioni per ritenere che i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, siano sottratti all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dall’art. 91 e ss. cod. proc. civ.. in quanto si tratta pur sempre di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice italiano e perciò disciplinati dalle disposizioni processuali dettate dal nostro codice di rito, ivi compresi gli articoli del codice dianzi citali. L’applicazione di dette disposizioni comporta, perciò, che il giudice abbia anche la facoltà di disporre la compensazione totale o parziale delle spese di causa tra le parti, ove ravvisi le condizioni indicale dall’art. 92, comma 2, purchè motivi adeguatamente la sua decisione in tal senso (cfr. Cass., Sez. 1^, 22 gennaio 2010, n. 1101; 30 dicembre 2009, n. 27728).

5. – Sono invece inammissibili, per difetto di autosufficienza, il quarto ed il quinto motivo del ricorso proposto dal G., con cui si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurandosi il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato le spese processuali secondo la tariffa professionale relativa ai procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè in base a quella relativa ai procedimenti contenziosi.

5.1. – Il ricorrente si limita infatti a criticare astrattamente il riferimento, contenuto nella motivazione del decreto impugnato, agli onoraci previsti dall’art. 50, lett. b) della tabella A allegata al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 per i procedimenti speciali davanti alle corti d’appello, il cui richiamo appare di per sè insufficiente a giustificare l’affermazione dell’avvenuta violazione della tariffa professionale, in assenza della dimostrazione che l’applicazione di tale disposizione ha condotto in concreto al riconoscimento di compensi inferiori a quelli minimi inderogabilmente previsti dalla tabella relativa ai procedimenti contenziosi.

6. – Per analoghi motivi, sono inammissibili gli ultimi tre motivi proposti dal G., con cui quest’ultimo lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione delle spese processuali, la Corte d’Appello si è discostata dalla nota specifica da lui depositata, senza fornire alcuna motivazione.

6.1. – Il ricorrente, infatti, pur dolendosi del mancato riconoscimento delle prestazioni indicate nella nota specifica asseritamente depositata nel giudizio dinanzi alla Corte d’Appello, si è astenuto dal riportarne il contenuto nel ricorso, limitandosi ad includervi alcune tabelle estratte dalla tariffa professionale, la cui trascrizione non appare sufficiente a consentire a questa Corte la necessaria verifica in ordine alla denunciata violazione, in mancanza di una specifica indicazione delle voci e degl’importi di cui si contesta l’omessa liquidazione (cfr. Cass., Sez. 3^, 19 aprile 2006, n. 9082; Cass., Sez. 1^, 16 marzo 2000. n. 3040).

7. – La mera lettura della motivazione del decreto impugnato appare infine sufficiente a smentire l’assunto sul quale si fonda il primo motivo del ricorso proposto dal G., con cui quest’ultimo deduce la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e del D.M. 8 aprile 2004, art. 5, n. 4, sostenendo che a seguito della riunione dei ricorsi la Corte d’Appello, ne liquidare un onorario unico in ragione dell’identità della posizione processuale dei ricorrenti, ha omesso di applicare la maggiorazione del 20% prevista dall’art. 5 cit..

8. – I ricorsi vanno pertanto rigettati, con la conseguente condanna del solo F. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo, non avendo il Ministero svolto attività difensiva nei confronti del G..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e condanna F.G. al pagamento in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese processuali, che si liquidano in Euro 600.00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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