Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17665 del 02/07/2019

Cassazione civile sez. III, 02/07/2019, (ud. 20/03/2019, dep. 02/07/2019), n.17665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6541-2017 proposto da:

ASKLEPION SRL, in persona dell’amministratore Unico, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI, 58, presso lo studio

dell’avvocato FILIPPO CALCIOLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONELLA BLASI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA USL ROMA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CASAL BERNOCCHI PRESSO ASL, presso lo studio dell’avvocato FABIO

FERRARA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5463/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/03/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento;

udito l’Avvocato GIULIETTI VIRGULTI MARIA per delega;

udito l’Avvocato BERTONI GIOVANNI per delega orale.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5643/2016, accogliendo nei termini di cui in motivazione l’impugnazione proposta dall’ASL di Roma (OMISSIS) nei confronti della società Asklepion s.r.l., ha parzialmente riformato la sentenza n. 20825/2011 del Tribunale di Roma, e, per l’effetto, previa revoca del decreto ingiuntivo n. 11203/2010, ha condannato la ASL di Roma (OMISSIS) al pagamento, in favore della società, sulla somma capitale dovuta di Euro 92.995,79, dei soli interessi legali con decorrenza dall’11 giugno 2010 fino al di dell’effettivo soddisfo.

2.Era accaduto che la società Askelepion aveva agito in via monitoria chiedendo la condanna della ASL Roma D al pagamento delle prestazioni sanitarie fornite nel 2006 in regime di accreditamento.

Il decreto ingiuntivo era stato emesso, ma avverso lo stesso era stata proposta opposizione dalla ASL, secondo la quale la somma ingiunta, sommata a quella già percepita nel 2006, avrebbe superato il 90% del budget imposto dalla Regione, e comunque non erano dovuti gli interessi ex lege n. 231 del 2002.

Il Tribunale di Roma aveva respinto l’opposizione ritenendo provato che la somma ingiunta, sommata a quella già percepita, rientrava nel limite di spesa, e dichiarando altresì non fondata la doglianza relativa agli interessi.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado era stato proposto appello dalla ASL, che aveva contestato il diritto della società Asklepion alla corresponsione, sull’importo a titolo di sorte, degli interessi nella misura di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002.

E la Corte territoriale, come sopra rilevato, in parziale accoglimento dell’appello, ha per l’appunto statuito quanto sopra indicato.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso la società Asklepion.

Ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria locale Roma (OMISSIS) (già Asl Roma (OMISSIS)), deducendo che la fonte del rapporto obbligatorio tra le parti era stata correttamente individuata nella Delib. n. 241 del 1997, che allegava.

In vista dell’adunanza camerale, svoltasi il 26 aprile 2018, il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso e negli stessi termini la società ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio, in ragione della rilevanza delle questioni sottese, ha ritenuto opportuna la trattazione del ricorso in pubblica udienza.

In vista dell’odierna udienza ha presentato memoria l’Azienda resistente a sostegno del controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. La società Asklepion con un unico motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione: a) del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 8 bis, 8 ter, 8 quater e 8 quinquies; b) della L.R. Lazio n. 4 del 2003, artt. 4, 7, 14 e 18; c) del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 1,2,4,5,6 e 11.

Sostiene che la Corte territoriale ha escluso nella specie l’applicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002 ravvisando, quale fonte del rapporto obbligatorio tra le parti, il provvedimento di concessione dell’accreditamento (ad essa rilasciato in data anteriore all’8/8/2002), mentre, in tesi difensiva, avrebbe dovuto ravvisarla nell’accordo contrattuale (attuativo del provvedimento concessorio), in base al quale essa società si era obbligata ad erogare le prestazioni per conto del Servizio Sanitario Regionale nell’anno 2006 a fronte della corresponsione di un determinato corrispettivo (e cioè, nel caso di specie, nella Delib. di giunta 22 marzo 2006, n. 143, successiva alla data del 8/8/2002, a partire dalla quale il D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11 fa decorrere l’applicazione del medesimo decreto).

In sintesi, secondo la società ricorrente, il verificarsi della mora ex re, prevista dall’art. 1219 c.c., comma 2, n. 3, per espressa previsione normativa applicabile anche alle transazioni commerciali in cui è parte una Pubblica Amministrazione, fa sì che gli interessi, ad essa spettanti, decorrono dal 90 giorno dalla data di ricevimento, da parte dell’ex Azienda USL Roma (OMISSIS), di ogni singola fattura sino all’effettivo soddisfo. Rileva che analoga questione è già stata esaminata da questa Corte con sentenza n. 14349 del 14/7/2016.

2. La questione di diritto sottesa al ricorso è quella dell’applicabilità alle obbligazioni pecuniarie, assunte dalle ASL nei confronti di strutture accreditate, del saggio degli interessi legali di mora, previsti dal D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, art. 2.

2.1. La corte territoriale ha ritenuto non applicabile il saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002, che ha dato attuazione alla direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, argomentando secondo le seguenti linee di pensiero:

a) il D.Lgs. n. 231 del 2002 non può trovare applicazione al di fuori delle transazioni commerciali e non può estendersi a tutti i contratti, comunque denominati, che intervengano tra un privato e la pubblica amministrazione;

b) il rapporto di accreditamento, in base al quale la società aveva fornito le prestazioni sanitarie, andava inquadrato in uno schema negoziale sussumibile nell’ambito del contratto a favore di terzi, dal momento che le prestazioni convenute avevano come ultimi beneficiari i cittadini e si caratterizzava per essere destinato a durare nel tempo mediante l’esecuzione di prestazioni continuative, al fine di garantire sul territorio nazionale un servizio essenziale;

c) il citato D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11 prevede che le disposizioni del decreto medesimo non si applicano “ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002”, e, pertanto, non si applicano nella specie, nella quale la fonte dell’obbligazione inter partes andava individuato nella Delib. di riconoscimento del Direttore Generale della Asl Roma (OMISSIS) n. 241 del 25/3/1997, che aveva recepito la Delib. giunta regionale 11 marzo 1997, n. 1165 antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2002 (che non poteva avere efficacia retroattiva).

E l’Azienda resistente ha sostenuto che correttamente la Corte territoriale ha ravvisato la fonte del rapporto obbligatorio nella Delib. n. 241 del 1997 (che, oltre a concludere l’iter amministrativo finalizzato alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’inserimento delle strutture già convenzionate nell’elenco dei soggetti privati provvisoriamente accreditati, prefigura la successiva fase negoziale), e non nella Delib. giunta regionale n. 143 del 2006, che sarebbe una Delib. di mera fissazione del budget (e non già l’accordo, che viene stipulato tra le ASL e le strutture accreditate ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 nonchè della L.R. Lazio n. 4 del 2003, artt. 18 e 19 nel quale vengono definiti sia l’ammontare complessivo delle prestazioni sanitarie che la struttura accreditata si impegna ad erogare nell’anno di riferimento, sia il corrispettivo ad essa spettante per lo svolgimento di tale attività), con la conseguenza che non potrebbe essere intesa quale contratto stipulato inter partes successivamente all’8 agosto 2002.

2.2. Al fine di dare una risposta alla censura sollevata dalla ricorrente, occorre ripercorrere, sia pure per sintesi, la normativa che disciplina la questione ad essa sottesa.

A) Orbene, il D.Lgs. n. 231 del 2002 (emesso in attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali):

– all’art. 1, comma 1 (rubricato come “Ambito di applicazione”), stabilisce che “le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale”;

– all’art. 2 (“Definizioni”), al comma 1: a) alla lett. a), definisce transazioni commerciali “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo”, b) alla lett. b) definisce pubblica amministrazione “le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome…, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, gli enti pubblici non economici, ogni altro organismo dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specifiche finalità d’interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al loro controllo o i cui organi d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici”, e, infine, c) alla lett. c), definisce imprenditore “ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”;

– all’art. 4, poi, individua il dies a quo degli interessi;

– all’art. 5 ne determina il saggio;

– all’art. 11, comma 1, stabilisce: “Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002”.

B) Quanto poi alla normativa che regola il servizio sanitario pubblico, per la parte in cui lo stesso è delegato a strutture private, si ricorda che il sistema dell’accreditamento è stato introdotto, in luogo della convenzione, quale regime regolante i rapporti con le strutture sanitarie private (L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 1 e D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 e successive modifiche): in tal modo, come precisato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 9 dicembre 2002 n. 6693), da un lato, si è affermato il principio dell’equiparazione tra strutture pubbliche e private, purchè dotate di requisiti minimi e uniformi (e, correlativamente, è stato riconosciuto il diritto del fruitore a scegliere liberamente tra le strutture sanitarie accreditate quella a cui rivolgersi); e, dall’altro, l’accreditamento è stato conformato come provvedimento amministrativo comunque riconducibile al genus delle concessioni di pubblico servizio.

In particolare, a norma del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2 il rapporto tra le Aziende USL per conto del Servizio Sanitario Nazionale con le farmacie pubbliche e private “è disciplinato da convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati a norma della L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale”.

Il regime di accreditamento viene poi disciplinato legislativamente dalle Regioni, nel rispetto dei principi evincibili dalle leggi statali (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 2; e v., ancora p. es, Cons. Stato, sez. 3, 16 settembre 2013 n. 4574). In via generale, le leggi regionali – attenendosi per l’appunto all’inquadramento fornito precipuamente dal D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 8 bis, 8 ter, 8 quater e 8 quinquies (norme inserite dal D.Lgs. n. 229 del 1999, art. 8, comma 4) – senza significative diversità, delineano quella sequenza che in dottrina è stata definita, con una formula mnemonica da acronimo, come “il regime delle 3 A: autorizzazione, accreditamento, accordo” (si cfr., al riguardo, la rubrica del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 bis).

C) La L.R. Lazio 3 marzo 2003, n. 4 prevede l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie (art. 7), per poi stabilire (art. 14) che solo i soggetti autorizzati ex art. 7 sono legittimati a chiedere l’accreditamento.

Quest’ultimo non è riconducibile a un contratto (poichè il suo conferimento è esercizio di un potere amministrativo, all’esito di una verifica, sempre effettuata dagli organi amministrativi, delle caratteristiche che connotano l’esercizio dell’attività sanitaria da parte della richiedente), ma è un provvedimento amministrativo, che abilita la struttura ad inserirsi nel servizio sanitario pubblico, e pertanto è riconducibile al genus della concessione. D’altronde, che l’accreditante e l’accreditato non siano su un piano di parità ovvero, che il primo agisca jure imperii nei confronti dell’altro – è confermato dalla permanenza, in capo all’accreditante, di una posizione di potere, da esercitare pure mediante la vigilanza sull’accreditato, dai cui esiti possono derivare anche la sospensione e la revoca dell’accreditamento (art. 16).

Anche nel settore in esame, come è usuale nel campo delle concessioni, la pubblica amministrazione non si arresta al livello provvedimentale, ma dall’esercizio dello jus imperii passa a un accessorio esercizio del suo jus privatorum, stipulando un apposito negozio con il soggetto cui ha conferito la concessione per interferire, seppure su un piano ora tendenzialmente paritario, nella gestione della concessione stessa.

E invero, nella legge regionale in esame, l’art. 18, rubricato come “Accordi contrattuali”, al comma 1 stabilisce testualmente:

“Gli accordi contrattuali, nella forma di accordi con i soggetti pubblici ed equiparati accreditati e nella forma dei contratti con i soggetti privati accreditati, regolano, secondo la disciplina determinata dalla Giunta regionale ai sensi dell’art. 19, la tipologia, la quantità e le caratteristiche delle prestazioni erogabili agli utenti del servizio sanitario regionale, la relativa remunerazione a carico del servizio sanitario medesimo, nell’ambito di livelli di spesa determinati in coerenza con le scelte della programmazione regionale, il debito informativo dei soggetti erogatori nonchè le modalità per il controllo esterno sull’appropriatezza e la qualità dell’assistenza e delle prestazioni erogate”.

La sequenza delle cosiddette 3 A – autorizzazione, accreditamento, accordo – approda dunque alla stipulazione (tra l’ente pubblico accreditante e il soggetto accreditato) di quello che, se l’accreditato è un soggetto privato, come per l’appunto nella specie, si qualifica e assume la forma di un contratto, nel quale, seppure tenendo conto della programmazione regionale e delle relative delibere della Giunta regionale, viene determinato il contenuto degli obblighi che il soggetto accreditato assume a favore degli utenti del servizio sanitario regionale, nonchè il conseguente corrispettivo (che l’ente pubblico a sua volta si obbliga a corrispondere). Detto contratto non è un accordo-quadro, poichè il suo contenuto non necessita di particolari integrazioni, predeterminando in modo adeguato le prestazioni che il soggetto accreditato assume l’obbligo di fornire e la remunerazione che, una volta che le stesse saranno fornite, l’ente pubblico dovrà corrispondere. Il fruitore (che concretizzerà con la sua scelta tanto la fornitura della prestazione quanto l’insorgere del relativo credito) non è parte nel contratto, bensì il soggetto a favore del quale il contratto è da altri stipulato: si tratta dunque di una ipotesi di contratto a favore di terzi. Il negozio, inoltre, presenta altresì la connotazione di un contratto ad esecuzione continuata e a prestazioni corrispettive, per cui in esso è configurabile l’inadempimento di ciascuna delle due parti. Il che conduce a sussumerlo nella “transazione commerciale” di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, come contratto tra un’impresa e una pubblica amministrazione, che comporta la prestazione di servizi – nel caso in esame, a favore di un terzo – a fronte del pagamento del prezzo.

Figura, questa della transazione commerciale, che d’altronde è perfettamente compatibile con il concetto di contratto proprio della normativa nazionale, limitandosi a circoscrivere, nell’ampio genus contrattuale, una species di contratto a prestazioni corrispettive, nel cui ambito è finalizzata a disincentivare (per ragioni di tutela di un buon mercato) la mora di chi, avendo ricevuto dall’imprenditore l’oggetto o il servizio pattuito, non adempie tempestivamente alla sua corrispettiva obbligazione pecuniaria.

In definitiva, il credito delle strutture accreditate sorge soltanto a seguito del provvedimento della Regione che, individuando le prestazioni sanitarie da rendere dagli accreditati e la corrispondente remunerazione, determina il rapporto obbligatorio tra le parti. Soltanto detto provvedimento costituisce valido titolo per la erogazione delle prestazioni, nonchè per l’esigibilità del relativo compenso. Pertanto, è soltanto detto provvedimento che rileva ai fini della determinazione della data del servizio reso.

Nella specie, essendo la società ricorrente una società privata accreditata che ha reso prestazioni sanitarie nel mese di novembre 2006 agli utenti-assistiti del S.S.R., le prestazioni, cui era impegnata l’ASL nei confronti del soggetto accreditato, avevano base convenzionale.

La Corte territoriale, dunque, ha confuso l’accreditamento, che effettivamente era stato rilasciato alla struttura in data anteriore all’8 agosto 2002, con l’accordo contrattuale, delineato dalla normativa in materia sanitaria, in base al quale la società ricorrente si era obbligata ad erogare le prestazioni per conto del Servizio Sanitario Regionale nell’anno 2006 a fronte della corresponsione di un determinato corrispettivo: l’accreditamento non è fonte diretta del rapporto contrattuale, ma mera condizione di legittimità degli accordi successivamente stipulati tra le parti.

In applicazione del suddetto principio, già affermato di recente da questa Corte (cfr. Sez. 3, sentenza del 7/4/2016, n. 14349), il giudice di merito – confrontandosi con la norma transitoria di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11, comma 1, deve accertare quale accordo collettivo L.R. Lazio n. 4 del 2003, ex art. 18 sia applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta, con la conseguenza che: se detto accordo è stato stipulato dopo l’8 agosto 2002 – il che sembrerebbe nella specie compatibile con la data delle prestazioni – il D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5 saranno applicabili; se invece detto accordo sia stato stipulato prima di tale data, la suddetta normativa non sarà applicabile.

L’accertamento della data di stipulazione dell’accordo correlato all’accreditamento tra l’ente pubblico e la sr. Askelepion è accertamento di fatto, che è mancato nella sentenza impugnata e che dovrà essere effettuato dal giudice di merito, al quale la causa deve pertanto essere rinviata.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda la regolamentazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2019

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