Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17661 del 06/08/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 17661 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Mazzetto Giuliano, elettivamente domiciliato in
Roma Viale Medaglie d’Oro 157, presso lo studio
degli Avv.ti Saulle e Cipriani, e rappresentato e
difeso dall’Avv.to Gian Mario Balduin in forza di
procura speciale a margine del ricorso
– ricorrente contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Geerale dello Stato, che la
rappresenta e difende e ,< lego - controricorrente - avverso la sentenza n. 72/08/2006 della Commissione Tributaria regionale del Veneto, depositata il 26/02/2007; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2014 dal Consigliere Dott. Giulia Iofrida; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Ennio Attilio Sepe, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo o, subordine, per il rigetzo del ricorso. in Data pubblicazione: 06/08/2014 Ritenuto in fatto Mazzetto Giuliano propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, dell'Agenzia delle Entrate nei (che confronti resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 72/08/2006, depositata in data 26/02/2007, con la quale in una controversia concernente relativo a maggiori imposte IRPEF ed IRAP, dovute per gli anni 1997 e 1998, a fronte di una ripresa fiscale di redditi da lavoro dipendente, erogati "in nero" al contribuerte, da parte di una società terza (la quale aveva "inquadrato" il Mazzetto, dal 1997 al 2000, come mero collaboratore autonomo, erogandogli compensi occasionali su fatture emesse dal medesimo, con versamento delle relative ritenute d'acconto), sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione del settembre 2001, conseguente ad Lula verifica posta in essere dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Padova è stata riformata la decisione n. 24/08/2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Padova, che aveva accolto il ricorso del contribuente. In particolare, i giudi2i d'appello hanno sostenuto che l'omissione della ritenuta fiscale alla fonte, da parte del datore di lavoro - sostituto d'imposta, lascia fermo il diritto dell'Erario all'azione diretta nei confronti del contribuente sostituito, il quale mantiene la figura di responsabile d'imposta e di soggetto solidalmente obbligato. All'udienza del 4/02/2014, il ricorso è stato rinviato a Nuovo Ruolo, al fine di acquisire il fascicolo d'ufficio del giudizio di merito, non 2 l'impugnazione di un avviso di accertamento, presente in atti. Considerato in diritto. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione degli artt.324 e 325 c.p.c., per essere stato proposto dall'Agenzia delle Entrate, in data 24/03/2006, l'appello avverso la sentenza n. 24/08/2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Padova, depositata il 18 aprile 2005, ma stessa "avvenuta il 3 maggio 2005", il 21 novembre 2005, secondo certificazione rilasciata calla Segreteria della CTR. Ora, questa Corte ha già affermato (da ultimo, Cass. 3740/2014) il principio secondo il quale: "In tema di contenzioso tributario, la notificazione della sentenza eseguita dalla parte direttamente a mezzo del servizio postale, anziché per il tramite dell'ufficiale giudiz:iario, è inidonea, nella vigenza dell'art. 38 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel testo anteriore alla modifica apportatagli dall'art. 3, comma 1, lett. a), del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 22 maggio 2010, n. 73, a farne decorrere il termine breve per l'impugnazione". Nella specie, verificati gli atti del giudizio di merito, alla data in cui l'Ufficio di Padova 2 dell'Agenzia delle Entrate ha ricevuto la copia della sentenza di primo grado, speditagli per posta dal contribuente (il 3 maggio 2005), la disciplina della notifica delle sentenze dei giudici tributari era ancora regolata dalla disposizione di cui al testo previgente dell'articolo 38 D.Lgs. 546/92 ("/e parti hanno l'onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti 3 divenuta definitiva, a seguito della notifica della a norma degli articoli 137 seguenti del codice di procedura civile") e non dalla disposizione introdotta con la modifica di detto articolo recata dall'articolo 3, prima comma, lettera a), del decreto legge n. 40/10, convertito con la legge n. 73/10 ("Le parti hanno l'onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dell'articolo 16"). postale non era quindi idoneo a far decorrere il termine breve per l'impugnazione della sentenza (per l'affermazione del principio opposto, ma sotto la vigenza del testo novellato dell'articolo 38 D.Lgs. 546/92, cfr. Cass. 5871/12: "In tema di contenzioso tributario, ai fini del decorso del termine "breve" per impugnare le sentenze, fissato dall'art. 51 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, assume rilievo la consegna del provvedimento direttamente all'ufficio finanziario o all'ente locale, ovvero la spedizione dello stesso mediante il servizio postale, in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento, atteso che, a seguito della modifica dell'art. 38 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. per effetto dell'art. 3, comma primo, lett. a), del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, che ha sostituito il rinvio agli artt. 137 e seguenti del cod. proc. civ. con 11 rinvio all'art. 16 d.lgs. n. 546 del 1992, è possibile notificare con tali modalità le sentenze dei giudici tributari."). L'appello dell'Agenzia delle Entrate era dunque tempestivo, perché effettuato entro il termine di un anno dal deposito della sentenza, ai sensi dell'articolo 327 c.p.c., nel testo temporis applicabile. 4 ratione Il recapito della sentenza a mezzo del servizio Va detto che, applicando detto principio, la "certificazione", da parte della Cancelleria, del "passaggio in giudicato" il 21/11/2005 della stessa sentenza non è decisiva in senso contrario, rientrando nei poteri d'ufficio di questa Corte verificare la fondatezza o meno dell'eccezione di giudicato interno. Lo stesso ricorrente deduce poi, con il secondo l'inammissibilità dell'appello dell'Agenzia delle Entrate, rilevabile d'ufficio, in quanto detto atto non avrebbe anche riguardato la statuizione, autonoma, dei giudici di primo grado, in ordine al mancato assolvimento da parte dell'Ufficio erariale dell'onere di provare l'esistenza e l'entità del maggior reddito tassabile (che si aggiungeva a quella secondo la quale obbligato principale era il sostituto d'imposta ovvero il datore di lavoro, già sanzionato dall'Amministrazione finanziaria). Il motivo è infondato, in quanto il ricorrente individua una statuizione autonoma, che avrebbe dovuto formare oggetto di specifico motivo di appello, in una parte della motivazione della sentenza n. 24/08/2005 della C.T.P. di Padova del tutto generica ("Va comunque precisato che ricade sull'Amministrazione Finanziaria l'onere della prova circa l'obbligo del dipendente a presentare la dichiarazione del redditi per gli anni in contestazione"), dalla quale non si evince neppure l'accertamento della mancata prova, da parte dell'Ufficio, di un maggior reddito del contribuente. Il Mazzetto lamenta quindi, con il terzo motivo, l'omessa motivazione della sentenza, ex art.360 n. 5 c.p.c., in punto di prova della sussistenza ed 5 motivo, la violazione degli artt.324 e 325 c.p.c. e entità del reddito tassabile. Il motivo, per come formulato, è inammissibile. Anzitutto, esso riporta una generica indicazione del fatto controverso e decisivo, che viene individuato "nella prova della sussistenza di un reddito e della sua entità tassabile". Inoltre, il motivo non consente di comprendere pienamente il contenuto degli atti processuali, maggior reddito imponibile, non dichiarato dal lavoratore, presunto dall'Ufficio erariale. Con il quarto motivo, il ricorrente prospetta infine una violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art.360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 23 DPR 600/1973 e 35 DPR 602/1973, avendo i giudici dell'appello erroneamente applicato le disposizioni speciali sul sostituto d'imposta, in fattispecie relativa a lavoro irregolare. Il motivo è infondato. Questa Corte (cfr. Cass. 13182/2000; Cass.12991/1999) ha già affermato che è legittimo l'avviso di accertamento a carico del lavoratore subordinato, rivolto a contestargli la mancata inclusione nella denuncia annuale di una componente del reddito tassabile, anche quando la stessa sia soggetta alla ritenuta d'acconto prescritta dall'art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 ed il datore di lavoro abbia omesso di effettuare (e versare) tale ritenuta. Il principio discende dal rilievo che la sostituzione con ritenuta d'acconto (e dovere di rivalsa) è delineata dalla citata norma come strumento per la più agevole ed anticipata riscossione della "imposta sul reddito dovuta dal 6 proprio sul punto relativo all'accertamento di un percipiente", ESENTE DA REGISTRAZIONE AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986 N. 131 TAB. ALL. - N. 5 MATERIA TRIBUTARIA e, dunque, non implica mutamento nella posizione di debitore d'imposta, ma aggiunge all'obbligazione di quest'ultimo un dovere di pagamento a carico di chi eroga il reddito imponibile. Il sostituito, mantenendo la qualità di debitore d'imposta, senza eccezione per la porzione da assolversi con il meccanismo della ritenuta, deve provento che concorra a formare l'imponibile, sul quale poi applicare le aliquote progressive; la circostanza che un determinato emolumento sia stato riscosso al lordo, senza applicazione della ritenuta, influisce sul diverso versante del calcolo dell'imposta da pagare, non essendovi un acconto da portare in detrazione. L'ininfluenza della sostituzione d'imposta sulla posizione e sugli obblighi del lavoratore sostituito, consente dunque l'esercizio nei suoi confronti del potere di accertamento a fronte della violazione di quegli obblighi. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. Le spese liquidate processuali, come in DEPOSITATONCANCELLERIA IL 8 AGO. 2014 dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Funzi Mmd La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 900,00, a titolo di compensi, oltre dare notizia con la dichiarazione annuale di ogni spese forfettarie nella misura del 15% ed eventuali spese prenotate a debito. Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Funzion Mar GMA

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