Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17661 del 02/07/2019

Cassazione civile sez. III, 02/07/2019, (ud. 13/12/2018, dep. 02/07/2019), n.17661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4962/2015 proposto da:

H.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 10,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO DANTE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato IVO WINKLER giusta procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DI PRISCILLA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO COEN, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato WERNER KIRCHLER giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 166/2014 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di

BOLZANO, depositata il 13/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, e ha concluso per l’accoglimento p.q.r.;

udito l’Avvocato ERICA DUMONTEL per delega;

udito l’Avvocato WERNER KIRCHLER.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.M. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 166/14, del 13 dicembre 2014, della Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che accogliendo il gravame esperito da D.M.F.S. contro la sentenza n. 7/13, del 17 gennaio 2013, del Tribunale di Bolzano, sezione distaccata di Brunico – ha rigettato la domanda di restituzione della somma di Euro 140.000,00 proposta dall’odierna ricorrente verso il D.M.F..

2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di aver convenuto in giudizio il D.M.F., affinchè l’adito giudicante accertasse e dichiarasse che l’importo suddetto, consegnato dall’attrice il 24 ottobre 2005 al convenuto, non era allo stesso dovuto ed era stato, anzi, da esso illegittimamente richiesto e conseguito, condannandolo, pertanto, a restituire tale somma con interessi e rivalutazione monetaria. Svolgeva, in subordine, la H. domanda di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c..

Deduceva la donna, allora come oggi, di aver concluso il 24 ottobre 2005 un contratto di permuta, con cui aveva trasferito, alla società CPK Building S.r.l., la proprietà della porzione di un bene immobile, ottenendo, come controprestazione, un appartamento convenzionato ai sensi della L.P. Autonoma Bolzano 11 agosto 1997, n. 13, art. 79, appartamento ancora da costruire, all’interno di edificio da erigersi. Con il medesimo contratto anche il D.M.F. aveva trasferito, sempre in via di permuta e alla stessa società, la sua porzione di quell’immobile, ottenendo, del pari come controprestazione, la proprietà di altro appartamento convenzionato ancora da costruire nell’erigendo fabbricato.

Riferiva (e riferisce) l’odierna ricorrente che il valore dei diritti trasferiti all’acquirente società veniva indicato, in contratto, in Euro 365.000,00, a fronte di un valore dell’appartamento acquistato pari ad Euro 225.000,00, sicchè la società CPK Building le versava, a titolo di conguaglio, l’importo di Euro 140.000,00, mediante assegno. Subito dopo aver lasciato lo studio notarile, nel quale il contratto era stato stipulato, il D.M.F. avrebbe richiesto all’odierna ricorrente, in modo risoluto ed energico, di recarsi nella banca più vicina, al fine di presentare l’assegno per l’incasso, prelevando il relativo importo in contanti per consegnarglielo. La H. – sebbene “sorpresa ed anche turbata da tale richiesta” – ebbe ad ottemperare alla stessa, pur non avendo il D.M.F. alcun titolo per richiedere e trattenere la somma suddetta, in relazione al cui pagamento egli non ebbe neppure a rilasciare quietanza.

Difatti, a dire della ricorrente, l’attribuzione patrimoniale in questione neppure potrebbe giustificarsi in forza di un contratto preliminare di permuta, precedentemente stipulato tra le parti dell’odierno giudizio, con il quale l’odierna ricorrente prometteva di trasferire, al D.M.F., la porzione immobiliare poi oggetto del contratto di permuta concluso con la società CPK Building. Infatti, il contratto definitivo del 24 ottobre 2005 avrebbe sostituito quello preliminare in tutti i suoi punti, rendendolo pertanto obsoleto, irrilevante essendo anche la circostanza che la pattuizione definitiva risulti, poi, intervenuta con soggetto diverso dal promissario acquirente, considerato che essa H. si era obbligata, con il preliminare, a stipulare il contratto definitivo o con il D.M.F., oppure con persona o società da lui nominata.

Proposta, dunque, su tali basi domanda di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., ovvero, alternativamente, domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., l’adito Tribunale bolzanino – nella costituzione del convenuto, che definiva le affermazioni dell’attrice “inventate di sana pianta” – accoglieva la domanda principale.

Proposto gravame dal D.M.F., la Corte territoriale lo accoglieva, rigettando, così, la domanda attorea.

3. Avverso tale ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione la H., sulla base di due motivi.

3.1. Il primo motivo deduce “motivazione insufficiente e contraddittoria circa fatti e punti decisivi per il giudizio”, nonchè “erroneo riporto del contenuto di atti di causa”.

Si censura la sentenza impugnata perchè, dopo aver descritto il quadro probatorio acquisito all’esito dell’istruttoria svolta in primo grado, ha ritenuto che esso non permettesse di dare per confermata l’avvenuta consegna dell’importo di Euro 140.000,00 al D.M.F., avendo il giudice di primo grado sopperito – a dire della Corte territoriale – a tale situazione probatoria incompleta sulla base di diverse presunzioni. Per contro, il giudice di appello ha ritenuto che la ricostruzione della vicenda, effettuata dal Tribunale, non reggesse ad un riesame critico, ritenendo “contestabile” che “la conclusione più probabile e logica” – come, invece, affermato dal primo giudice fosse quella che l’attrice avesse effettivamente consegnato al convenuto l’importo di Euro 140.000,00, nell’erroneo convincimento di esservi obbligata.

Reputa, invece, la ricorrente che gli argomenti addotti dalla Corte, per motivare la riforma della sentenza di primo grado, siano tutti infondati e, dunque, non idonei “a togliere ai fatti ed elementi emersi in giudizio quel grado di gravità precisione e concordanza richiesto dalla norma dell’art. 2729 c.c.”.

Difatti, secondo la Corte territoriale – sottolinea l’odierna ricorrente – non sarebbe stata provata la presenza del D.M.F. nei locali della banca ove la H. si recò per incassare l’assegno, così come non potrebbe ritenersi confermato – trattandosi di conclusione raggiunta sulla base delle sole deposizioni testimoniali dei figli dell’attrice – che essa intrattenesse e intrattenga rapporti solo con un istituto bancario, ovvero la cassa Raiffeisen di Dobbiaco.

Si tratterebbe, tuttavia, di argomenti di nessuna importanza, giacchè dalla presenza, o meno, del D.M.F. in banca non potrebbe essere tratta la conclusione – si sottolinea nel ricorso – della non avvenuta consegna allo stesso dell’importo Euro 140.000,00, visto, oltretutto, che l’odierna ricorrente ha sempre sostenuto che costui l’attendeva al di fuori dell’istituto di credito. D’altra parte, la conclusione alla quale è pervenuta la sentenza impugnata (ovvero che non possa escludersi che l’odierna ricorrente abbia intrattenuto e intrattenga rapporti anche con istituti di credito diversi dalla Cassa Raiffeisen di Dobbiaco, presso uno dei quali la somma suddetta, successivamente all’incasso dell’assegno, sarebbe stata dalla stessa depositata), equivale a gravare la stessa di una vera e propria “probatio diabolica”, giacchè avente ad oggetto un fatto negativo.

D’altra parte, a smentire la versione dei fatti proposta dall’odierna ricorrente e recepita dal primo giudice, neppure potrebbe valere la circostanza, valorizzata invece dalla Corte bolzanina, che la H. ebbe a nutrire sospetti sul comportamento del D.M.F. solo alcuni anni dopo, in occasione della stipulazione – avvenuta a (OMISSIS), nel 2008 – del cd. “contratto di identificazione” con la già menzionata società CPK Building, in forza del quale venne individuato l’appartamento ad essa spettante in virtù della stipulata permuta.

Difatti, secondo la ricorrente, questa conclusione del giudice di appello, per un verso, non terrebbe conto della personalità di essa H., donna di “umili origini, di discreto grado di istruzione e cultura”, circondata, in quell’occasione, “da persone di tutt’altro livello e calibro”, nonchè, soprattutto, del fatto che quando la stessa ebbe a recarsi in banca per incassare l’assegno era accompagnata dalla Dott.ssa R.P., impiegata dell’agenzia immobiliare attraverso la quale ella aveva concluso il contratto di permuta, e che nulla ebbe a ridire sul fatto che il pagamento di quella somma fosse stato preteso dal D.M.F..

In un vero e proprio travisamento della prova si risolverebbe, invece, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’odierna ricorrente avrebbe atteso il viaggio a (OMISSIS), per chiedere ad P.A., rappresentante legale della società CPK Building, perchè mai essa H. dovesse consegnare al D.M.F. l’importo Euro 140.000,00, giacchè il capitolo di prova a riguardo formulato mirava a dimostrare l’esatto contrario, ovvero che fosse stato il P. a richiederle come mai essa avesse provveduto a tale, non dovuto, pagamento.

Si contesta, poi, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere che, non avendo il contratto definitivo di permuta previsto un conguaglio in favore del D.M.F., questi non avrebbe fornito giustificazione alcuna del perchè avesse rinunciato “sic et simpliciter”, senza riserva, alle pretese scaturenti dalla precedente pattuizione preliminare. Secondo la Corte bolzanina, per un verso, non può parlarsi di rinuncia, dal momento che, prevedendo il preliminare l’assunzione di costi – da parte del D.M.F. – per la progettazione e l’approvazione del progetto per la costruzione dell’appartamento, con il contratto definitivo costui li avrebbe risparmiati. Inoltre, sempre secondo la sentenza oggi impugnata, sarebbe stato, comunque, onere dell’odierna ricorrente fornire la spiegazione, con tanto di prove, del perchè nel contratto definitivo il valore del suo immobile fosse passato da Euro 225.000,00 (previsto nel preliminare) ad Euro 365.000,00.

Così argomentando, tuttavia, la sentenza di appello sarebbe incorsa, nuovamente, in un vizio motivazionale, atteso che per spiegare tale aumento non occorrerebbe affatto prova alcuna, essendo sufficiente “un semplice ragionamento logico, tipico del mondo commerciale”. Nel caso di specie, infatti, quello realizzato dalla CPK Building costituiva “un grosso affare”, visto che oltre ai due appartamenti da consegnare alla H. e al D.M.F., essa si era garantita la proprietà di altri trentatrè appartamenti, da vendere a terzi. Senza poi tacere del fatto che, al momento della stipula del definitivo, sussisteva già – in virtù di iniziativa assunta dal D.M.F. – un “progetto già approvato con tanto di concessione edilizia”.

Infine, la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare su di una questione decisiva (o meglio, addirittura di esaminarla), collegata all’avvenuta prenotazione dell’operazione bancaria presso l’istituto di credito ove essa H. si recò per incassare l’assegno. La ricorrente si riferisce al fatto che fosse proprio il D.M.F. il soggetto interessato al compimento di tale operazione, atteso che quelle modalità di incasso gli consentivano di celare al fisco l’avvenuta percezione di quella somma di denaro.

3.2. Il secondo motivo – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ripropone, sostanzialmente, le stesse argomentazioni, sebbene “sub specie” di violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., “per erronea concezione e rappresentazione di struttura, requisiti e funzionamento dell’istituto delle presunzioni semplici”.

4. Il D.M.F. ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

In particolare, il controricorrente, evidenzia come taluni di quelli denunciati dalla H. si risolverebbero in “errori revocatori”, come tali sottratti al sindacato di questa Corte, ai sensi dell’art. 360 c.p.c..

Evidenzia, inoltre, come la decisione del giudice di appello sia conforme alla giurisprudenza di legittimità in materia di azione di ripetizione dell’indebito, segnalando, infine, come del tutto corretto sia il ragionamento da essa compiuto, non suscettibile, pertanto, di censura sotto il profilo del difetto motivazionale, e cioè anche in ragione del fatto che sarebbe stato onere della ricorrente chiarire in quale parti la motivazione della sentenza impugnata si riveli “insufficiente” o “contraddittoria”, non potendo tale scelta essere rimessa al giudice di legittimità.

5. La ricorrente ha presentato memoria, ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso è improcedibile.

6.1. Nel corso dell’udienza pubblica, il controricorrente ha eccepito – ma si tratta di rilievo che questa Corte avrebbe potuto/dovuto compire anche “ex officio” – l’improcedibilità del ricorso, per non avere la ricorrente H. provveduto a depositare, presso la cancelleria di questa Corte, unitamente al ricorso, anche la relata di notifica della sentenza impugnata, come richiesto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2).

Detta omissione determina l’improcedibilità del ricorso, ai sensi del comma 1 del medesimo art. 369 c.p.c..

6.2. Non sussistono, difatti, le condizioni – individuate dalla giurisprudenza di questa Corte – per la sanatoria di tale causa di improcedibilità.

Non quella consistente nel fatto che la relata suddetta risulta, comunque, nella disponibilità di questa Corte, perchè prodotta dalla parte controricorrente, ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass. Sez. Un., sent. 2 maggio 2017, n. 10648, Rv. 643945-01), giacchè tale evenienza non ricorre nel caso di specie.

Nè, d’altra parte, può farsi applicazione del principio secondo cui, pur “in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2” (così, Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066, Rv. 628539-01; per un’applicazione recente anche Cass. Sez. 6-3, ord. 30 aprile 2019, n. 11386, Rv. 653711-01).

Nel caso in esame il ricorso è stato inviato per la notificazione in data 16 febbraio 2015, e dunque oltre il sessantesimo giorno della pubblicazione della sentenza, avvenuta il 13 dicembre 2014.

7. L’esito alterno dei giudizi di merito costituisce giusto motivo ex art. 92 c.p.c., comma 1, nel testo sostituito dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio, essendo stato l’atto di citazione, che ha introdotto il giudizio di primo grado, notificato il 10 gennaio 2009) – per l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

8. A carico della ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2019

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