Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1766 del 27/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 27/01/2021), n.1766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2594/2019 proposto da:

EOS S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO BANCHINI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, ESTER ADA SCIPLINO, EMANUELE DE ROSE,

GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 778/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/07/2018 r.g.n. 646/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 24.7.2018, la Corte d’appello di Bologna, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di EOS s.r.l. volta a fruire del beneficio dello sgravio contributivo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 8, in relazione a taluni lavoratori assunti dalle liste di mobilità per esservi stati collocati dal fallimento di (OMISSIS) s.r.l., da cui essa aveva acquistato un ramo d’azienda a seguito di procedura di competitività;

che avverso tale pronuncia EOS s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria;

che l’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e L. n. 223 del 1991, art. 8, per avere la Corte di merito escluso il diritto agli sgravi attribuendo rilievo “determinante e decisivo al fatto della sussistenza, nella fattispecie, di un’unica azienda in senso oggettivo, prescindente dalla figura dell’imprenditore”, che sarebbe stata conseguentemente tenuta al rispetto dell’obbligo di precedenza nell’assunzione, senza tuttavia considerare “che l’azienda cessionaria era da anni preesistente a quella del cedente, con una propria fisionomia e struttura distinta da quella della cedente, tanto da configurare una realtà produttiva diversa e autonoma” (così il ricorso per cassazione, pag. 13);

che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017 e 3340 del 2019);

che, nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione delle disposizioni di legge indicate nella rubrica, pretende in realtà di criticare l’accertamento di fatto che la Corte territoriale ha compiuto circa la sussistenza, in specie, di un’unica azienda in senso oggettivo, che sarebbe ut talis tenuta al rispetto dell’obbligo di precedenza nelle assunzioni;

che, anche volendo riqualificare il motivo in esame in termini di omesso esame circa un qualche fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (cfr. su tale possibilità Cass. nn. 4036 del 2014 e 23940 del 2017), la censura sarebbe comunque inammissibile per difetto di specificità, operando il ricorso per cassazione rinvio a fatti non adeguatamente precisati (quali la “preesistenza” e l'”autonomia organizzativa e produttiva” della ricorrente rispetto all’impresa cedente) e a documenti non trascritti (eccezion fatta per alcune righe della convenzione di cessione riportate a pagg. 4 e 5 del ricorso) e di cui non si dice in quale parte del fascicolo processuale e/o di merito si troverebbero;

che è appena il caso di precisare che non potrebbe all’uopo attribuirsi rilievo alla pregressa cessazione dei rapporti facenti capo ai lavoratori successivamente riassunti, su cui pure insiste parte ricorrente richiamando Cass. n. 2747 del 2016, dal momento che il principio secondo cui il consolidamento del licenziamento per mancata tempestiva impugnazione esclude il diritto del lavoratore licenziato al trasferimento ex art. 2112 c.c., vale esclusivamente nei rapporti tra lavoratore licenziato ed azienda cessionaria, ma non può certo valere di per sè solo ad attribuire a quest’ultima il diritto allo sgravio L. n. 223 del 1991, ex art. 8, non essendo il rapporto contributivo disponibile dalle parti private in considerazione delle finalità pubbliche della disciplina e delle sue refluenze sul bilancio pubblico;

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.000,00, di cui Euro 1.800,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2021

 

 

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