Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17658 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. III, 25/08/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 25/08/2020), n.17658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28238-2018 proposto da:

G.S., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

MASSIMO MOSCA, GIUSEPPE MERCURIO;

– ricorrente –

contro

SERVIZIO ELETTRICO NAZIONALE SPA, (già ENEL SERVIZIO ELETTRICO

S.P.A), in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TARO, 25, presso lo studio dell’avvocato

ERNESTO IANNUCCI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO

POMPILIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1216/2018 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositata il 03/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.S. ricorre per la cassazione della sentenza n. 1216/2018 del Tribunale di Catanzaro, articolando 5 motivi.

Resiste con controricorso Servizio Elettrico Nazionale S.p.a., già Enel Servizio elettrico S.p.a.

Il ricorrente espone in fatto di avere convenuto in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Catanzaro, Servizio Elettrico Nazionale S.p.a., per chiedere l’annullamento delle fatture di consumo di energia elettrica n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), del complessivo importo di Euro 4.700,77, per essere state emesse a seguito della sostituzione del vecchio contatore in sua assenza, senza prima rilevare la lettura del contatore sostituito, e per il fatto di riportare consumi sproporzionati rispetto a quelli precedenti.

L’Enel Servizio Elettrico sosteneva, dal canto suo, la correttezza del proprio operato, affermava che il personale incaricato della sostituzione del contatore aveva certificato attraverso la redazione di un apposito documento la lettura dei consumi registrata dal contatore sostituito.

Il Giudice di Pace, con sentenza n. 751/2016, dichiarava illegittima la lettura delle fatture, perchè il contatore era stato sostituito in assenza del titolare del contratto di somministrazione, perchè la lettura dei consumi non aveva avuto luogo in contraddittorio con quest’ultimo, perchè, dal confronto con le fatture dei periodi immediatamente precedenti quelli oggetto delle fatture contestate, i consumi conteggiati risultavano sproporzionati; di conseguenza, annullava le fatture per l’importo di Euro 4.700,77 richiesto e condannava la convenuta al pagamento delle spese di lite.

Il Tribunale di Catanzaro, cui si rivolgeva Enel servizio elettrico S.p.a., già Servizio Elettrico Nazionale S.p.a., per impugnare la decisione di prime cure, riformava integralmente quest’ultima e condannava l’appellato alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, perchè il Tribunale non si sarebbe espresso sulla denuncia i inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c.

Il motivo è inammissibile.

E’ stata erroneamente lamentata l’omessa pronuncia del Tribunale ricorrendo anzichè alla categoria logica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., all’art. 132 c.p.c., n. 4 – il ricorrente, infatti, lamenta che il Tribunale non si sia pronunciato su una eccezione introdotta ritualmente in causa e non l’omessa motivazione su una circostanza di fatto. L’omessa pronuncia su una eccezione processuale non è configurabile, in quanto il fatto che il giudice non si sia pronunciato non rileva di per sè, a rilevare è solo il fatto che l’inosservanza della norma processuale, denunciata con l’eccezione si sia verificata oppure no (Cass. 12/01/2016, n. 321, a mente della quale “il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (…) non è suscettibile di dar luogo ad un vizio di omissione di pronunci, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può considerare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dell’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”).

2.Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 137 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale attribuito rilevanza probatoria ad un documento, che dava conto della avvenuta sostituzione del contatore e della lettura dei consumi, sottoscritto da G.G., estranea al rapporto contrattuale di somministrazione, omettendo ogni verifica della sua capacità di intendere e di volere, della sua l’identità, di quale tipo di rapporto intercorresse con il titolare del contratto di somministrazione.

Perchè il vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., venga accolto è necessario che si denunci che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. 10/06/2016, n. 11892).

La violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c., il quale prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi) (per tutte cfr. Cass. 10/06/2016, n. 11892).

Altrettanto erroneamente è stata dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c., la quale si configura effettivamente se venga dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360, n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma (giusta Cass. sez. un. 7/04/2014 n. 8053 e 8054 del 2014). In questi termini, in motivazione, si veda Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598.

La deduzione della violazione degli artt. 115,116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. senza che ne ricorressero i presupposti tradisce la vera consistenza della censura proposta: la pretesa di una rivalutazione della quaestio facti che contrasta con i caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità.

I motivi, pertanto, devono dirsi inammissibili.

3.Con il quarto motivo il ricorrente imputa al giudice a quo l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rappresentato dalla mancata dimostrazione dell’esistenza di un consenso scritto da parte del titolare del contratto di somministrazione alla sostituzione del contatore, non potendo valere a tale scopo il documento sottoscritto da un soggetto che a tale scopo non era stato delegato.

4.Con il quinto motivo il ricorrente rileva che il manifesto travisamento del documento prodotto da Enel avrebbe condotto il giudice ad una non corretta ricostruzione della quaestio facti con la conseguenza di aver applicato erroneamente una norma di diritto che estenderebbe al contratto atti e fatti prodotti da terzi estranei.

I motivi quattro e cinque possono essere esaminati congiuntamente, perchè riguardano entrambi il rilievo probatorio attribuito allo stesso documento, cioè al “verbale” redatto dal dipendente dell’Enel che, in esecuzione dell’art. 11 delle condizioni generali del contratto di fornitura, dava atto di aver sostituito il contatore, dopo aver rilevato la lettura dei consumi fino a quel momento: documento sottoscritto da G.G..

Il Tribunale aveva ritenuto evidentemente che l’Enel avesse, con il documento qui contestato, soddisfatto l’onere su di lei gravante di provare la legittimità delle operazioni di sostituzione del vecchio con il nuovo contatore e di lettura dei consumi registrati dal contatore sostituito, perchè le suddette operazioni risultavano svolte alla presenza di G.G. che aveva sottoscritto il verbale in cui si dava atto del loro compimento senza esprimere riserve di sorta.

Il ricorrente ribadisce più volte che la sostituzione del contatore non era avvenuta in contraddittorio con la parte interessata, per tale intendendosi il titolare del contratto, o persona con lui convivente o da lui incaricata, lasciando indirettamente intendere che la persona che aveva sottoscritto il verbale non fosse con lui convivente e che comunque non fosse stata da lui autorizzata, essendo onere della controparte provare la ricorrenza di un suo consenso scritto a farsi sostituire o comunque una volontà di delega.

Mette conto rilevare che:

– spettava all’Enel dimostrare che la sostituzione del contratto era avvenuta in contraddittorio con il titolare del contratto di somministrazione o con il suo incaricato;

– che il giudice a quo ha dato evidentemente rilievo al fatto che fosse presente al momento della sostituzione del contatore un altro soggetto, che questi si fosse reso disponibile a permettere l’ingresso nell’abitazione di dell’addetto dell’Enel per l’esecuzione della operazione, che avesse acconsentito a sottoscrivere il verbale nel quale si dava atto delle operazioni effettuate, pur non essendo il titolare del contratto, che avesse lo stesso cognome del titolare del contratto, ritenendole circostanze univoche che avevano creato nell’addetto dell’Enel l’affidamento incolpevole circa la titolarità da parte di G.G. del potere di rappresentare l’odierno ricorrente sulla base del principio dell’apparenza; per quanto laconicamente, infatti, il Tribunale ha ritenuto che le operazioni contestate si fossero svolte in contraddittorio con “l’utente (o chi per lui)” (p. 3 della sentenza).

I motivi devono dunque considerarsi inammissibili, perchè il preteso fatto omesso oltre ad essere stato considerato dal Tribunale, è anche sprovvisto di decisività, che la presunzione che la persona presente nell’abitazione del ricorrente fosse stata implicitamente autorizzata o incaricata. Non ricorrono dunque i presupposti per ritenere che ricorrano la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, integrata dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; cfr. Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014; v. anche Cass. 08/10/2014, n. 21152 e Cass. 08/09/2016, n. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (cfr. Cass. 13/12/2017, n. 29883); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a contestare la conclusione cui era giunto il Tribunale circa il ruolo da attribuire alla presenza di G.G. all’interno della sua abitazione al momento della sostituzione del contatore.

5. Il ricorso deve, dunque, dichiararsi inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

7. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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