Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17657 del 28/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 28/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 28/07/2010), n.17657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR

221, presso lo studio dell’avvocato FABBRINI FABIO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 645/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/09/2005 r.g.n. 815/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato FIORILLO per delega PESSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 5.7/14.9.2005 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede il 27.5.2003, impugnata dalle Poste Italiane, nella parte in cui dichiarava sussistere fra queste ultime e P.R. un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dall’1.6.1999, per effetto della nullita’ della clausola di durata apposta al contratto stipulato nel periodo dall’1.6.1999 al 30.10.1999, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, trattandosi di contratto stipulato successivamente al 30.4.1998, si doveva ritenere che gli accordi sindacali intervenuti successivamente all’accordo del 25.9.1997 non fossero meramente ricognitivi del perdurare delle esigenze legittimanti le assunzioni a tempo determinato, ma erano piuttosto volti a stabilire precisi limiti di scadenza all’autorizzazione alla stipulazione di contratti a tempo determinato.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con quattro motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso P.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo, il secondo ed il terzo motivo la societa’ ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonche’ vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle gia’ stabilite dall’ordinamento;

poteva essere esercitato senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, sicche’ agli accordi c. d.

attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessita’ di stipulare ulteriori contratti a termine, con conseguente contraddittorieta’ della decisione impugnata che, pur ammettendo l’ampiezza della delega riconosciuta alla contrattazione collettiva, ne aveva delimitato temporalmente l’efficacia regolativa.

Con il quarto motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata, prospettando violazione degli artt. 2094, 2099, 1206, 1207 e 1217 c.c., nonche’ vizio di motivazione, per aver omesso di verificare se vi fosse stata effettiva costituzione in mora da parte del lavoratore, assegnando rilievo ad un atto (l’istanza per il tentativo di conciliazione) che non conteneva, in realta’, alcuna offerta della prestazione lavorativa.

1. Con riferimento ai primi tre motivi , che, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente, vanno ribaditi i principi, ormai acquisiti, che questa Suprema Corte ha affermato con riferimento alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001. In primo luogo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, questa Corte ha piu’ volte affermato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove pero’ un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23.8.2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, come questa Corte ha piu’ volte rilevato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con raccordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data (OMISSIS), le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1.10.2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Rilevato, quindi, che, in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data (OMISSIS), hanno reputato che con tali accordi le parti avessero convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998) della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che deve escludersi la legittimita’ dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. Questa Corte ha anche osservato che tale interpretazione non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate e’ cosi’ evidente e univoco che non necessita di una piu’ diffusa argomentazione ai fini della ricostruzione della volonta’ delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453). Inoltre, e’ stato rilevato che tale interpretazione si’ palesa rispettosa del canone ermeneutico dell’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziche’ in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi (in considerazione della loro idoneita’ ad introdurre termini successivi di scadenza alla facolta’ di assunzione a tempo, termini che non figuravano previsti ex ante), laddove, diversamente opinando, gli stessi risulterebbero “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866). Infine, corretta e’ apparsa, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del lavoratore si era gia’ definitivamente perfezionato.

Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare la regola dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ acquisiti, con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141). I motivi in esame vanno, pertanto, rigettati.

2. Infondato e’ anche l’ultimo motivo.

Lamenta la societa’ ricorrente che la corte territoriale ha confermato la decisione di prime cure che aveva disposto il pagamento in favore del lavoratore delle retribuzioni maturate successivamente all’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, sebbene la relativa istanza non contenesse alcun valido atto di messa in mora. Non si puo’, tuttavia, non osservare come la contestazione dell’accertamento contenuto in sentenza non rinviene alcun documentale riscontro, in coerenza col canone della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, per come noto, impone alla parte che denuncia, in sede di’ legittimita’, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisivita’ dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non e’ consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. n. 10913/1998; Cass. n. 12362/2006). Il ricorso va, pertanto, rigettato.

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 2000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Cosi’ deciso in Roma, il 8 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010

 

 

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