Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17655 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/08/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 25/08/2020), n.17655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35145-2018 proposto da:

F.S., F.G., S.M.,

F.E., F.A., F.G., nella qualità di eredi di

F.V., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

FRANCESCO GENTILE;

– ricorrenti –

contro

FINCANTIERISPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati LORENA CARLEO, ANTONELLO DI ROSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3450/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

RIVERSO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Napoli, con l’indicata pronuncia, ha respinto l’appello proposto da F.A. e litisconsorti avverso la sentenza emessa dal tribunale di Napoli con la quale si rigettava la domanda di risarcimento del danno biologico, morale e da invalidità temporanea sofferto dal loro dante causa (deceduto per malattia professionale) quantificato in complessivi Euro 804.507,00 oltre ad Euro 5016,00 e del danno morale iure proprio subito in qualità gli eredi quantificato pro quota.

La Corte d’appello, a fondamento della sentenza, sosteneva che mancasse l’accertamento della responsabilità penale della datrice di lavoro in quanto la sentenza penale citata risultava emessa in relazione a fatti storici diversi; e che d’altra parte fosse già stata erogata una rendita ai superstiti di cui gli appellanti avevano omesso qualsiasi riferimento. Pertanto, fermo l’accertamento medico legale condotto, secondo la Corte d’appello, la domanda non poteva trovare accoglimento alla stregua delle generiche deduzioni di parte appellante che avrebbe dovuto in primis dedurre e poi operare una differenziazione tra il danno a carico della parte dell’attrice e quello già riconosciuto dall’Inail. Ed invece gli appellanti in alcuna parte del ricorso avevano fatto riferimento al concetto di danno differenziale ovvero alle ragioni specifiche e concrete per le quali non sarebbe stato operante l’esonero ex lege del datore di lavoro. Era infatti onere della parte che richiede il risarcimento del danno differenziale affermare se fosse intervenuta la liquidazione dell’indennità e di indicarne con precisione l’ammontare ed argomentare sulla presunta superiorità del risarcimento conseguibile in sede civile rispetto all’indennizzo erogato in concreto o in astratto.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno morale degli eredi valevano analoghe considerazioni in ordine alla genericità delle deduzioni ed allegazioni esposte in ricorso. Non poteva ritenersi sussistente un danno morale in re ipso discendente dall’eventuale configurabilità di una fattispecie di reato e dalla gravità della patologia contratta; più volte la Corte Suprema aveva ribadito che devono trovare applicazione gli ordinari principi in tema di allegazione e prova dal momento che il danno non patrimoniale costituisce sempre un danno conseguenza e quindi deve essere specificamente dedotto e provato sia pure mediante il ricorso a presunzioni. Nel caso di specie la parte appellante nel ricorso introduttivo del giudizio si era limitata ad affermare l’esistenza di un diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale degli eredi discendente dalla responsabilità penale dell’azienda datrice di lavoro quantificandolo con una mera elencazione di somme; senza tuttavia procedere ad alcuna – e quanto mai indispensabile – specifica allegazione.

Contro la sentenza hanno proposto ricorso i ricorrenti sopra indicati con un motivo al quale ha resistito Fincantieri SPA con controricorso. E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

La parte controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RILEVATO

CHE:

1.- con l’unico motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 e del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza non aveva correttamente applicato le norme giuridiche dal momento che alle pagine 5, 6, 7 del ricorso introduttivo i ricorrenti avevano ampiamente dedotto – indicando puntualmente le norme vincolistiche che si ritenevano violate – sulla responsabilità della datrice di lavoro e sulla pericolosità dell’ambiente di lavoro; in particolare indicando la rimozione dei materiali in amianto a mezzo taglio con seghe circolari, gli interventi di carpenteria su materiali friabili in amianto, gli spazi angusti in cui si effettuavano operazioni lavorative e promiscue, la mancanza di aspirazione e depurazione dell’aria negli ambienti ove ristagnavano fumi e vapori. Ciò avrebbe dovuto condurre la Corte d’appello a ritenere che si fosse in presenza di una puntuale e formale qualificazione del fatto in termini di illiceità penale. Erroneamente pertanto la Corte d’appello ha affermato che non potesse ritenersi accertata la responsabilità penale della datrice senza aver svolto alcuna indagine in ordine alle mansioni espletate, all’ambiente di lavoro, ed all’omessa predisposizione di misure protettive puntualmente indicate nell’atto introduttivo della lite. La Corte d’appello avrebbe dovuto valutare le circostanze in fatto dedotte dai ricorrenti, accertarne la fondatezza e ritenere che le stesse fossero idonee ad integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, e ritenere quindi la sussistenza dei presupposti in base ai quali viene meno l’esonero del datore di lavoro. Inoltre, quanto alla tesi che i ricorrenti avessero omesso di indicare l’erogazione da parte dell’INAIL della rendita ai superstiti (peraltro indicata e prodotta al n. 6 della produzione di parte nel primo grado ed indicata nel terzo capoverso di pagina 7 del ricorso introduttivo), si trattava di un’argomentazione inconferente, che inoltre ometteva di considerare la differenza ontologica tra indennizzo e risarcimento. Il danno differenziale era ammissibile per tutte le voci di danno, previdenziali e civilistiche, non sovrapponibili tanto per definizione che per contenuti e criteri risarcitori. Nel caso di specie, la mancata liquidazione dell’indennizzo INAIL era dovuto al comportamento del lavoratore che, nel periodo tra l’insorgenza della patologia neoplastica e il decesso, non aveva denunciato all’istituto la natura professionale della malattia. Tanto non poteva determinare una maggiore esposizione del datore di lavoro e il lavoratore non poteva incidere con una sua scelta sull’esonero parziale da responsabilità civile; ma certamente il petitum della domanda avente ad oggetto l’intero danno era più ampio del petitum avente ad oggetto il danno differenziale che risultava perciò compreso nell’oggetto della domanda formulata in giudizio. La Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere ammissibile l’operazione di calcolo dell’indennità astrattamente dovuta dall’Istituto assicuratore senza alcuna preclusione per la mancata richiesta dell’indennizzo previdenziale all’INAIL e/o del suo versamento o meno.

2.- Anzitutto deve essere respinta la eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità atteso che, come risulta dalle premesse, il ricorso contiene invece un preciso motivo ex art. 360 c.p.c., con articolate censure in cui sono indicati i fatti di causa rilevanti, le affermazioni della sentenza sottoposte a critica, le ragioni per le quali esse si pongono in contrasto con l’ordinamento e con le norme di legge indicate.

3.- Nel merito il ricorso è fondato, nei limiti di cui alle seguenti considerazioni.

4.- La sentenza impugnata è infatti errata sia laddove, ai fini del necessario accertamento incidentale dell’illiceità penale del fatto, non ha operato alcuna valutazione delle deduzioni istruttorie e dei fatti, pur allegati dagli appellanti, in relazione alla responsabilità del datore di lavoro in merito alla morte per cui è causa (mentre non può ritenersi accertamento esaustivo in tal senso che fosse stata pure prodotta una sentenza penale riferita ad una diversa vicenda). E sia laddove, ai fini del danno risarcibile, la sentenza confonde danno complementare e danno differenziale e sostiene che la mancata indicazione della rendita Inail (che ha contenuti esclusivamente patrimoniali, volti ad indennizzare il danno economico sofferto dai congiunti) o addirittura la mancata allegazione del petitum in termini precisamente differenziali, determini, di per sè, il rigetto delle domande risarcitorie volte a conseguire il danno biologico, il danno morale e da invalidità temporanea sofferti dal dante causa (deceduto per malattia professionale).

4.- Vero è piuttosto che, all’esito di ripetuti interventi della Corte Cost. (con le sentenze nn. 22/1976, 102/1981, 118/1986) e delle stesse modifiche normative intervenute in ambito processuale (come ad es. la soppressione in via generale della cd pregiudiziale penale nel testo dell’art. 295 c.p.c. ad opera della novella introdotta dalla L. n. 353 del 1990), risulta ormai da tempo acquisita nell’ordinamento la tesi della totale autonomia del giudizio civile rispetto alla “condanna penale” di cui parla l’art. 10 del TU; essendo perciò pacifico che l’accertamento dell’illiceità penale del fatto, necessario ai fini del superamento dell’esonero datoriale (art. 10 TU), debba essere effettuato direttamente in sede civile, ma senza inutili formalismi o l’impiego di formule sacramentali. Si tratta infatti di operare soltanto una qualificazione giuridica (appunto in termini di illiceità penale del fatto) la quale rientra nei compiti del giudice quante volte siano allegati gli elementi costitutivi dei fatti da qualificare (cfr. pure Cass. n. 9166/2017, n. 27669/2017).

5.- Pertanto, ove risulti allegata la sussistenza di gravi infortuni o patologie professionali, e risultino descritte condizioni di lavoro incompatibili con lo stato di salute, sussiste certamente anche l’allegazione di una responsabilità con violazione quantomeno dell’art. 2087 c.c. (posto che il lavoratore non deve essere mai posto ad operare in condizioni di lavoro nocive). Ciò vale ad integrare, ad un tempo, sia l’illiceità penale del fatto ex art. 10 TU, sia l’esistenza dei requisiti occorrenti tanto per la liquidazione del danno differenziale tanto per la liquidazione del danno complementare. Pertanto, in materia di infortuni e malattie professionali, l’allegazione nel ricorso introduttivo di un fatto integrante, in astratto, un reato perseguibile di ufficio è sufficiente a incardinare validamente la causa di danno nei confronti del datore di lavoro, radicando nel giudice il potere – dovere di dar corso all’istruttoria attraverso l’accertamento anzitutto dell’esistenza del fatto-reato e poi, superato positivamente tale accertamento, dell’esistenza in concreto di un danno differenziale e complementare.

6.- Vero è piuttosto che l’esistenza di una rendita ai superstiti non rileva in alcun modo ai fini della decisione della causa in oggetto, poichè la stessa prestazione essendo volta ad indennizzare soltanto il danno patrimoniale dei congiunti non si confonde con nessuno dei danni non patrimoniali di cui alla domanda azionata in questo giudizio dai ricorrenti (riguardanti il danno biologico, morale e da invalidità temporanea sofferto dal loro dante causa ed il danno morale iure proprio: cfr. Cass. 10/03/2017, n. 6306).

7.- La mancata richiesta all’INAIL dell’indennizzo per danno biologico o per danno da invalidità temporanea (voci di danno per le quali è configurabile un danno differenziale) o la mancata indicazione del relativo quantum, può comportare al più la riduzione del risarcimento civilistico con deduzione dell’indennizzo previdenziale – nei cui limiti soltanto può valere l’esonero datoriale – ma non certamente provocare la preclusione della domanda di risarcimento, posto che il giudice deve effettuare i calcoli delle rispettive poste anche d’ufficio.

8.- Tale rilievo non vale oltre le voci di danno indennizzato dall’INAIL; e perciò non può operare in ogni caso per le voci di danno c.d. complementare ossia estranee in apicibus a quelle assicurate (come il danno morale o il danno biologico temporaneo) le quali non subiscono infatti alcun condizionamento dall’esistenza dell’esonero datoriale o del sistema assicurativo INAIL, nè nel quantum nè nell’an rispetto alle normali regole applicabili nelle liquidazioni dei danni civilistici.

9.- Occorre infine rilevare che nel ricorso manca un necessario motivo di censura sul danno morale degli eredi avendo la Corte d’appello escluso che sul punto sussistesse la necessaria allegazione e prova del danno; e che non potesse affermarsi un danno morale in re ipsa discendente dall’eventuale configurabilità di una fattispecie di reato e dalla gravità della patologia contratta, che aveva determinato il decesso del congiunto.

Su tale capo autonomo della sentenza il ricorso non contiene motivo di censura di nessun tipo; onde questa Corte non può che dar atto che sullo stesso capo sia sceso il giudicato.

10. Per i motivi esposti il ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione. La sentenza deve essere pertanto cassata in parte qua e va disposto il rinvio della causa al giudice indicato in dispositivo il quale nella decisione della causa si atterrà ai principi sopra indicati. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c. la stessa Corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Avuto riguardo all’esito del giudizio non sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in parte qua e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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