Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17646 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.17/07/2017),  n. 17646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22838/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO LALLI,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 6459/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/09/2010 R.G.N. 8332/2005.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza n. 6459/2010, la Corte di Appello di Roma ha riformato la pronuncia, emessa in data 21.10.2004 dal Tribunale della stessa città, dichiarando la nullità del termine apposto al contratto, intercorso tra Poste Italiane spa e G.G., dall’1.2.2002 al 30.4.2002, per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”, nonchè la prosecuzione giuridica del rapporto ed il diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate e spettanti dalla messa in mora del debitore e per un triennio dalla data di cessazione del rapporto, oltre accessori;

che avverso tale sentenza Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con la richiesta espressa di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, medio tempore sopravvenuta;

che la G. ha resistito con controricorso proponendo, altresì, ricorso incidentale;

che il P.G. non ha formulato richieste

che sono state depositate memorie da parte di G.G..

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso principale, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115,116,244 e 253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, assumendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova non tenendo conto del mutato quadro normativo di riferimento alla luce del quale il datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere probatorio circa le ragioni che avevano indotto le parti alla stipula di un contratto a termine, essendo ciò limitato esclusivamente alle esigenze legittimanti la eventuale proroga dello stesso; e, comunque, la sussistenza delle esigenze organizzative poste a fondamento del contratto a termine de quo era dimostrata attraverso il richiamo per relationem al contenuto degli Accordi aziendali indicati nella clausola appositiva del termine e la Corte territoriale, quand’anche avesse dovuto ritenersi gravata essa società del relativo onere probatorio, erroneamente non aveva ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta di prova orale formulata dalla società omettendo di fare ricorso ai poteri officiosi in materia di ammissione della prova; 2) la erronea ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento alla ritenuta erronea mancanza di prova sulle esigenze poste a fondamento della specifica assunzione e in relazione al mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio; 3) la ricorrente chiede, poi, in caso di rigetto delle suindicate censure, l’applicazione della sopravvenuta disciplina in tema di risarcimento introdotta dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che, con il ricorso incidentale, articolato su cinque censure, G.G. si duole del risarcimento del danno, quantificato come sopra indicato, perchè adottato con motivazione nulla, contraddittoria e perchè statuito in violazione degli artt. 1226,2729,1218,1223,1227 e 2697 c.c., art. 432 c.p.c., nonchè artt. 113 e 114 c.p.c., nonchè dello jus superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che il primo e secondo motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, non possono essere accolti perchè, stabilito che l’onere della prova è a carico del datore di lavoro, è jus receptum che il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità -peraltro nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, come definito da Cass. Sez. Un. 3.11.2011 n. 22726 – deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova e del contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (arg. ex Cass. 30.7.2010 n. 17915; Cass. 18.10.2011 n. 21486); nella specie i capitoli di prova non sono stati ammessi stante la loro genericità, sicchè la contestazione finisce per risolversi nella inammissibile prospettazione di un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti;

che quanto alla censura relativa alla mancata attivazione dei poteri di ufficio in materia di prova da parte dei giudici, si rileva che la società non specifica se in proposito abbia tempestivamente invocato tale esercizio, con la necessaria indicazione dell’oggetto possibile degli stessi (Cass. 23.10.2014 n. 22534; Cass. 12.3.2009 n. 6023), ciò anche in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso (Cass. ord. 20.4.2016 n. 10376); inoltre, deve richiamarsi l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice, anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza: vizio non ravvisabile nel caso de quo;

che, pertanto, le statuizioni concernenti l’illegittimità del termine con riferimento alla clausola contenuta nel contratto individuale resistono alle censure proposte perchè, come più volte sottolineato da questa Corte (cfr. tra le altre Cass. 14.3.2016; Cass. 16.7.2010 n. 16702), dagli accordi indicati nel contratto si desume l’attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell’ambito del processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilità all’interno dell’azienda al fine di riequilibrare la distribuzione su tutto il territorio nazionale, ma la persistenza, all’epoca dell’assunzione della G., della fase attuativa della procedura di mobilità di cui agli accordi suindicati non è sufficiente ad integrare le ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 e cioè ad individuare, in seno al contratto, le esigenze produttive che, oggettivamente, avevano reso necessaria l’assunzione del lavoratore nell’ambito della struttura di destinazione, con specifico riferimento alle mansioni affidate: la Corte di appello di Roma ha puntualmente fatto applicazione di tali principi ritenendo appunto indispensabile che le ragioni dell’apposizione del termine fossero rapportate alla concreta situazione riferibile al singolo lavoratore e che l’onere della prova incombeva sul datore di lavoro (Cass. 10.2.2010 n. 2279; Cass. 11.12.2012 n. 22716); che è, invece, fondato l’ultimo motivo limitatamente alla richiesta di applicazione dello jus superveniens atteso che, come da ultimo chiarito da Cass. Sez. Un. 27.10.2016 n. 21691, la censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive, e quindi applicabili al rapporto dedotto, in considerazione che non si richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico e che sul capo della sentenza, con il quale erano state regolate le conseguenze economiche, non si era formato alcun giudicato;

che, conseguentemente, l’esame di tutte le doglianze di cui al ricorso incidentale deve ritenersi assorbito;

che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte intimata ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr tra le altre Cass. n. 3062/2016).

PQM

 

La Corte accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, rigettati gli altri e assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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