Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17644 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/08/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 25/08/2020), n.17644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Curzio Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28050-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VALDINIEVOLE, 11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI

MORANDI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, MANUELA MASSA, PATRIZIA CIACCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1320/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 1320 pubblicata il 23.4.18 la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello dell’Inps e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato fondata la pretesa restitutoria dell’Istituto nei confronti di C.A. limitatamente alla somma di Euro 2.416,44;

2. la Corte territoriale, premesso che la C. aveva percepito la maggiorazione sociale sulla pensione di invalidità negli anni dal 2009 al 2011, ha accertato l’inesistenza del diritto alla predetta maggiorazione per gli anni 2010 e 2011 in ragione del superamento del limite reddituale dovuto alla liquidazione in favore della stessa di una pensione Inpdap ai superstiti; ha quindi ricalcolato l’indebito limitatamente agli anni 2010 e 2011;

3. avverso tale sentenza C.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito l’Inps con controricorso;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. col primo motivo di ricorso C.A. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per la genericità delle contestazioni svolte dall’Inps col ricorso in appello;

6. ha rilevato come nella memoria costitutiva nel giudizio di primo grado l’Inps non avesse spiegato adeguatamente le ragioni della pretesa restitutoria; che nessuna indicazione utile potesse ricavarsi dai documenti prodotti dall’Istituto in quanto dalla medesima parte elaborati; ha aggiunto come anche il ricorso in appello non contenesse deduzioni sul superamento dei limiti di reddito ostativi alla maggiorazione sociale;

7. col secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 241 del 1990, art. 3;

8. ha argomentato la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, sul rilievo che la lettera dell’Inps del 12.4.2011 (di cui è indicata la collocazione negli atti processuali) contenesse unicamente il ricalcolo della pensione e l’ammontare dell’indebito, senza alcun riferimento alla causale della pretesa restitutoria;

9. ha aggiunto che, pur essendo il cittadino onerato della prova dei fatti costitutivi del diritto alla prestazione e quindi della legittima percezione della stessa, tuttavia l’Istituto dovesse porre il beneficiario in condizione di difendersi, specificando le ragioni dell’indebito, ciò anche in base al principio di vicinanza della prova;

10. col terzo motivo di ricorso C.A. ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52;

11. ha sostenuto che l’art. 2033 c.c., può trovare applicazione solo quando manca un rapporto assistenziale o meglio quando “manca radicalmente il diritto alla prestazione”, come statuito in Cass. n. 1446 del 2008; che, al contrario, qualora sussista un rapporto assistenziale tra assicurato e istituto erogatore e sussistano inoltre la buona fede del percettore e la colpa esclusiva dell’Ente erogatore nella concessione della provvidenza, si ricade nell’ipotesi di mancanza di un requisito prescritto dalla legge per il conseguimento della prestazione; ha aggiunto, richiamando la sentenza di legittimità n. 482 del 2017, come nel caso in esame l’Inps non avesse allegato nè provato che la percezione di somme superiori a quelle spettanti si era verificata per il dolo dell’assicurata, essendo peraltro l’INPS a conoscenza dei redditi della stessa;

12. l’INPS ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, in quanto contenente la riproduzione degli atti dei precedenti gradi di giudizio, senza l’esposizione sommaria dei fatti di causa e la trascrizione degli atti rilevanti;

13. l’eccezione preliminare dell’INPS non può trovare accoglimento; è vero che il ricorso in esame comprende la riproduzione integrale delle sentenze di primo e secondo grado ma contiene ugualmente una sufficiente esposizione dei fatti di causa e delle censure mosse alla decisione impugnata;

14. il primo motivo e il secondo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto non soddisfano gli oneri di specificazione ed allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, atteso che le censure sono formulate senza la necessaria trascrizione, almeno nelle parti rilevanti, o riproduzione della memoria difensiva di primo grado e del ricorso in appello dell’Inps (dalla stessa formulazione del motivo emerge come si contesti all’Inps non la proposizione di eccezioni nuove in appello ma la omessa specificazione delle ragioni dell’indebito, sia nella nota amministrativa e sia in sede giudiziale) nonchè della lettera dell’Inps del 12.4.2011;

13. il terzo motivo di ricorso è fondato;

14. occorre considerare che l’indebito di cui si discute ha ad oggetto la maggiorazione sociale di una prestazione assistenziale ed ha quindi esso stesso natura assistenziale, nel caso di specie formatosi in ragione del superamento dei limiti reddituali negli anni 2010 e 2011;

15. questa Corte (sentenze n. 28771 del 2018; n. 26036 del 2019) ha affermato il principio secondo cui l’indebito assistenziale determinato dal venir meno, in capo all’avente diritto, dei requisiti reddituali previsti dalla legge, abilita l’ente erogatore alla ripetizione delle somme versate solo a partire dal momento in cui è stato accertato il superamento dei predetti requisiti, a meno che non si provi che l'”accipiens” versasse in dolo rispetto a tale condizione (come ad esempio allorquando l’incremento reddituale fosse talmente significativo da rendere inequivocabile il venire meno dei presupposti del beneficio), trattandosi di coefficiente soggettivo idoneo a far venir meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell’indebito;

16. si è precisato che il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., in ragione dell'”affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede” in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate “al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia” (Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1), con disciplina derogatoria che individua “alla luce dell’art. 38 Cost. – un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione (…) non sia (…) addebitabile” al percettore (Corte Costituzionale 14 dicembre 1993, n. 431);

17. in ambito assistenziale, si è dunque andato affermando un quadro di fondo tale per cui “in tema di ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite (…) trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull’indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge in via generale” (Cass. 1 ottobre 2015, n. 19638; Cass. 17 aprile 2014, n. 8970; Cass. 23 gennaio 2008, n. 1446; Cass. 28 marzo 2006, n. 7048) e quindi, in sostanza, il D.L. n. 850 del 1976, art. 3-ter, convertito in L. n. 29 del 1977 (secondo cui “gli organi preposti alla concessione dei benefici economici a favore.., degli invalidi civili hanno facoltà, in ogni tempo, di accertare la sussistenza delle condizioni per il godimento dei benefici previsti, disponendo la eventuale revoca delle concessioni con effetto dal primo giorno del mese successivo alla data del relativo provvedimento”) ed il D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988 (secondo cui “con decreto del Ministro del Tesoro sono stabiliti i criteri e le modalità per verificare la permanenza nel beneficiario del possesso dei requisiti prescritti per usufruire della pensione, assegno o indennità previsti dalle leggi indicate nel comma 1, e per disporne la revoca in caso di insussistenza di tali requisiti, con decreto dello stesso Ministro, senza ripetizione delle somme precedentemente corrisposte” (risultando invece abrogata la L. n. 537 del 1993, che regolava l’indebito assistenziale all’art. 11, comma 4, e non applicabile, per eccesso del regolamento dalla delega di legge, il D.P.R. n. 698 del 1994, art. 5, comma 5: sul tema v. in dettaglio, Cass. 7048/2006, cit.);

18. la piena ripetibilità in caso di venir meno dei requisiti economici neppure può desumersi dal disposto del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 5, conv. in L. n. 326 del 2003, e ciò in quanto la disposizione, dopo avere demandato ad una determinazione interdirigenziale la fissazione delle modalità tecniche per le verifiche telematiche sui redditi, afferma che “non si procede alla ripetizione delle somme indebitamente percepite, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, dai soggetti privi dei requisiti reddituali”, senza nulla dire rispetto alla disciplina, per il futuro, della ripetibilità; sicchè la regola che ne deriva è quella per cui l’indebito assistenziale determinato da motivi reddituali, in mancanza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, e ciò a meno che non ricorrano ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia affidamento, come nel caso di erogazione di prestazione a chi non sia parte di alcun rapporto assistenziale, nè ne abbia mai fatto richiesta (Cass. 23 agosto 2003, n. 12406), nel caso di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali (Cass. 5 marzo 2018, n. 5059, riguardante un caso di erogazione dell’indennità di accompagnamento in difetto del requisito del mancato ricovero dell’assistibile in istituto di cura a carico dell’erario) o in caso di dolo comprovato dell’accipiens;

19. la Corte di merito non si è attenuta a tali principi in quanto ha considerato ripetibili i ratei di maggiorazione sociale corrisposti negli anni 2010 e 2011, pur a fronte di un provvedimento dell’Inps di comunicazione dell’indebito del 12.4.2011 e nella ritenuta assenza di dolo dell’assicurata;

20. per tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi sopra richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nelle adunanze camerali, il 11 febbraio 2020 e il 12 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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