Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17644 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.17/07/2017),  n. 17644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19625/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6297/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/07/2010 R.G.N. 1965/2008.

Fatto

RILEVATO

1. Con la sentenza del 7.7.2010 la Corte di appello di Roma rigettava l’appello proposto da Poste Italiane avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva dichiarato l’illegittimità dell’apposizione del termine apposto al contratto stipulato tra M.M. a e Poste Italiane dal 1.2.2002 al 30.4.2002 19.7.2002 al 30 settembre 2002 e condannato le Poste a versare le retribuzioni non percepite dalla messa in mora della società. La Corte territoriale rilevava, in sintesi, l’illegittimità della clausola di apposizione del termine al detto contratto stipulato con l’appellata in quanto il contratto aveva richiamato una serie di Accordi di riorganizzazione aziendale ma da parte delle Poste non era stata offerta la prova che l’assunzione della lavoratrice fosse avvenuta in relazione ai detti processi riorganizzativi. La prova richiesta era del tutto generica non consentendo di accertare il nesso tra la concreta assunzione e le complesse vicende riorganizzative delle Poste con riferimento all’Ufficio ove la lavoratrice era stata impiegata.

2. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società Poste Italiane con quattro motivi; la parte intimata è rimasta tale.

Diritto

CONSIDERATO

3. che il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1: il rapporto si era sciolto per mutuo consenso.

4. che il motivo appare infondato in virtù di considerazioni già espresse da questa Corte, con le quali si è rilevato nel senso che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo e che la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11/12/2001 n. 15621). Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070). Nella specie la Corte d’Appello ha accertato l’insufficienza di elementi in base ai quale ritenere che il rapporto si fosse sciolto per mutuo consenso al di fuori del mero decorso del termine come tale insufficiente: la motivazione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte.

5. che con il secondo motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 2, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 12preleggi, degli artt. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1325 c.c.. La sussistenza delle ragioni, tecniche, organizzative produttive o sostitutive di cui al Decreto n. 368 del 2001, potevano essere ricostruire indirettamente in base all’indicazione nel contratto degli Accordi che disciplinano i processi di ristrutturazione aziendale delle Poste.

6. che il motivo appare infondato. Va premesso che il contratto è stato stipulato “ai sensi della vigente normativa, per esigenze tecniche, organizzative produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processo di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11.12.2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”. Ora la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessario in fattispecie del tutto analoghe in cui è applicabile il Decreto n. 368 del 2011, che – di fronte ad una complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione dell’apposizione del termine – l’esame del giudice di merito deve estendersi a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal contratto allo scopo di acclararne l’effettiva sussistenza, ivi ricomprendendo l’analisi degli accordi collettivi indicati al contratto (v. Cass. 2279/2010; Cass. n. 8296/2012). La sentenza impugnata tuttavia non ha violato tale orientamento del Giudice di legittimità procedendo ad una valutazione di merito di detti Accordi e delle prove e delle allegazioni offerte dalle Poste circa il fatto che effettivamente l’assunzione dell’intimata fosse avvenuta per sopperire alle esigenze di ordine produttivo e organizzativo indicate negli Accordi. La Corte di appello ha verificato nel merito che tali Accordi e le prove offerte dalle Poste non comprovano il nesso tra le esigenze degli accordi, l’assunzione della lavoratrice e l’attività svolta da quest’ultima nell’Ufficio ove ha operato.

7. che con il terzo motivo si allega l’omessa insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il Giudice ben poteva usare i propri poteri ufficiosi anche in ordine ad una prova generica offerta dalle Poste.

8: che il motivo appare infondato posto che è giurisprudenza consolidata di questa Corte quella per cui ci si può dolere del mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi solo se si è sollecitato lo stesso ad esercitarli e tale allegazione non è stata offerta;

9. che con il quarto motivo si allega la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c.. Non gravava sul datore di lavoro la prova della sussistenza delle ragioni oggettive dell’assunzione a termine; in ogni caso le Poste avevano articolato una prova circa la loro sussistenza.

10. che anche tale motivo appare infondato Va ricordato quanto affermato in fattispecie analoghe da questa Corte: “deve rilevarsi che il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, recante l’attuazione della direttiva 1999/70 CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. 18 aprile 1962, n. 230 e della successiva legislazione integrativa. Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (comma 1) e che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1” (comma 2). Contestualmente al recepimento dell’accordo-quadro il D.Lgs. n. 368 ha disposto dalla data della propria entrata in vigore (24.10.01) l’abrogazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis, della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1). Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, peraltro già ripensato dalla successiva normazione delle L. n. 79 del 1983, e della L.n. 56 del 1987, art. 23, – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte “di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di “specificare” in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate. L’onere di “specificazione” nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta all’imprenditore di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha lo scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato (v. Cass. 1.02.10 n. 2279). Non è sufficiente, dunque, a qualificare le ragioni per le quali è stata disposta l’assunzione a termine la mera indicazione di esigenze produttive ed organizzative, essendo necessaria che di tali esigenze si “specifichi” congruamente la natura. La già richiamata giurisprudenza (sentenza n. 2279 del 2010 ed altre che l’hanno seguita), privilegiando la scelta del legislatore Europeo di ampliare la considerazione delle fattispecie legittimanti l’apposizione del termine, ha concesso tuttavia un’importante apertura, ritenendo possibile che la specificazione delle ragioni giustificatrici risulti dall’atto scritto non solo per indicazione diretta, ma anche per relationem, ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro testi scritti che prendono in esame l’organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse tematiche operative. E’ quanto nella sostanza la ricorrente sottolinea essere avvenuto nel caso di specie, in cui l’atto scritto di assunzione, dopo alcuni generici riferimenti ai processi di riorganizzazione aziendale, concretizza le “esigenze tecniche, organizzative e produttive” nella “attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002″. Da tali accordi, che costituiscono un momento di esame comune delle parti sindacali delle esigenze organizzative e di cui sono riportati ampi stralci nel ricorso, secondo la ricorrente si desumerebbe l’esistenza di processi di mobilità introaziendale che legittimerebbero il ricorso alle assunzioni a termine, quale momento di riequilibrio territoriale e funzionale delle risorse umane. La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessario che – di fronte ad una complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione dell’apposizione del termine l’esame del giudice di merito deve estendersi a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal contratto allo scopo di acclararne l’effettiva sussistenza, ivi ricomprendendo l’analisi degli accordi collettivi sopra indicati (v. la citata sentenza 2279 del 2010)” (cfr. Cass. n. 8296/2012). Ora nel caso in esame, come già ricordato, la Corte di appello ha effettivamente esaminato i detti Accordi ma ha osservato che non era stata offerta una prova idonea che i processi riorganizzativi previsti avessero avuto una incidenza sull’assunzione della parte intimata stante la genericità delle circostanze dedotte; la prova dell’effettiva sussistenza per tale orientamento consolidato di legittimità gravava sul datore di lavoro.

Va quindi rigettato il proposto ricorso (nessuna richiesta di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, è stata avanzata con il ricorso nè con memorie difensive). Nulla sulle spese essendo parte intimata rimasta tale.

PQM

 

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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