Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17641 del 06/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/09/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 06/09/2016), n.17641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26135/2010 proposto da:

Z.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FILIPPO VALCANOVER, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS) in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI e LUIGI CALIULO, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA NOMOS S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 60/2010 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 18/06/2010, R.G. N. 84/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato CARLO BOZZI per delega verrbale ARTURO MARESCA;

udito l’Avvocato CARLA D’ALOISIO per delega verbale ANTONINO SGROI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10.6 – 18.6.2010 la Corte d’appello di Trento ha rigettato l’impugnazione di Z.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva accolto parzialmente l’opposizione della medesima alla cartella esattoriale emessa sulla base del verbale di accertamento dell’Inps del 20/7/2005. All’esito di tale accertamento ispettivo era stata, infatti, disposta l’iscrizione della ricorrente, amministratrice unica della società SITA s.r.l. che gestiva l’Hotel (OMISSIS), alla gestione previdenziale dei commercianti a far data dall’1.4.2000 e l’adito Tribunale di Trento aveva accolto il ricorso della Z. solo con riferimento alla riduzione al 50% dei contributi, relativamente al periodo successivo al mese di novembre del 2004, ai sensi della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 15, (in base a tale norma per i lavoratori autonomi già pensionati presso le gestioni dell’INPS e con più di 65 anni di età il contributo previdenziale può essere a richiesta applicato nella misura della metà).

La Corte trentina ha rilevato che era risultata infondata la tesi dell’appellante, la quale aveva invano sostenuto che difettava il requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza ai fini della sua iscrizione alla gestione previdenziale dei commercianti.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Z. con due motivi.

Resiste con controricorso l’Inps.

Rimane solo intimata la società Equitalia Nomos s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via principale la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203, per insussistenza dei presupposti per la sua iscrizione negli elenchi degli esercenti l’attività commerciale e per carenza del requisito della sua partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; sempre in relazione a tale punto della controversia la Z. denunzia il vizio di insufficiente od omessa motivazione; in subordine la ricorrente lamenta l’insufficienza della motivazione in ordine alla mancata ammissione della prova per testi che, a suo dire, le avrebbe consentito di dimostrare lo svolgimento di attività lavorativa in maniera non prevalente ed abituale in favore della società SITA s.r.l. di cui era socia di minoranza ed amministratrice unica.

In pratica la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la sua presenza presso l’Hotel (OMISSIS) risiedeva esclusivamente nella necessità dello svolgimento della sua funzione di amministratrice unica e nelle connesse responsabilità di tale ruolo, per cui tali funzioni non potevano essere equiparate alla partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità atto a giustificare l’iscrizione alla gestione previdenziale dei commercianti.

Quindi, secondo tale assunto difensivo, la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, quale requisito per l’iscrizione alla gestione dei commercianti, rappresenta un quid pluris la cui prova gravava sull’ente previdenziale il quale avrebbe dovuto dimostrare il concreto inserimento della ricorrente nell’organizzazione aziendale e lo svolgimento da parte della medesima di attività amministrativa ed esecutiva alla stregua di una lavoratrice dipendente.

Per ragioni di connessione i suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi sono infondati.

Invero, come ha esattamente premesso la Corte territoriale, la L. 23 dicembre 1996, n. 662, prevede all’art. 1, comma 202, che “a decorrere dal 1 gennaio 1997 l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, è estesa ai soggetti che esercitino in qualità di lavoratori autonomi le attività di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 49, comma 1, lett. d), con esclusione dei professionisti ed artisti”.

Al riguardo questa Corte ha avuto occasione di precisare (Cass. Sez. Lav. n. 15167 del 19/7/2005) che “l’obbligo d’iscrizione alla gestione commercianti vige, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202, anche in mancanza dell’esercizio di un’impresa, essendo sufficiente che le attività elencate nella L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 1, lett. d), vengano svolte in forma autonoma” (in senso conf. v. Cass. sez. lav. n. 9121 del 17/4/2007).

In effetti, la L. 9 marzo 1989, n. 88, ha previsto all’art. 49, comma 1, che la classificazione dei datori di lavoro disposta dall’Istituto ha effetto a tutti i fini previdenziali ed assistenziali ed è stabilita sulla base di diversi criteri, tra i quali quello di cui alla lett. d), che qui interessa, del settore terziario, per le attività commerciali, ivi comprese quelle turistiche.

Quanto alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali e del terziario, la disciplina previgente è stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203, che così sostituisce la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1: “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti:

a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;

b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata;

c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;

d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli”.

Quindi il presupposto imprescindibile è che per l’iscrizione alla gestione commercianti vi sia un esercizio commerciale, la gestione dello stesso come titolare o come familiare coadiuvante o anche come socio di s.r.l. che abbia come oggetto un esercizio commerciale. (v. in tal senso Cass. sez. 6 – Lav., Ordinanza n. 3145 del 2013).

Orbene, tale essendo il quadro normativo di riferimento, si osserva che la Corte di merito ha adeguatamente analizzato i diversi elementi che l’hanno condotta al convincimento della sussistenza, nella fattispecie, dei presupposti di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, lett. c), vale a dire la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.

Infatti, la Corte territoriale ha ben evidenziato che dal verbale di accertamento n. 501/2005 era emerso che Z.A. era socia ed amministratrice unica della Sita s.r.l., società che gestiva l’Hotel (OMISSIS), che la conduzione aziendale veniva assolta dai coniugi e soci Z.A. e C.L., che in precedenti accessi amministrativi la ricorrente era stata trovata al lavoro all’interno del predetto albergo, che la ditta si avvaleva solo saltuariamente e per brevi periodi di personale con mansioni impiegatizie e che la medesima Z. risultava essere stata denunciata all’Inail a far data dall’1.1.1976.

In sostanza, secondo il condiviso giudizio della Corte di merito, si era avuta, nella fattispecie, la prova dello svolgimento di un’attività non occasionale della Z. all’interno del suddetto albergo, a nulla rilevando che potessero esservi terze persone incaricate di svolgere parte dei compiti sulla base delle direttive fornite dalla Z. nella sua qualità di amministratrice unica.

Quanto alla doglianza riflettente la mancata ammissione della prova testimoniale si osserva che si è già avuto modo di chiarire (Cass. sez. 3 n. 1754 dell’8/2/2012) che “il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 c.p.c., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio. (Nella specie, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la sentenza di merito, che aveva ritenuto di non ammettere una prova testimoniale a conferma del testo di un documento non reperito in atti)”.

Non va, infatti, dimenticato che “in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.” (Cass. sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006).

Orbene, nella fattispecie la Corte d’appello ha adeguatamente spiegato che l’irrilevanza delle prove testimoniali offerte dall’appellante dipendeva dalla considerazione che l’esistenza di personale impiegatizio ed il ricorso a professionisti od a collaboratori esterni non valeva ad escludere che le decisioni ultime sulla gestione dell’albergo erano, comunque, riconducibili alle decisioni della Z..

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore dell’Inps, mentre nulla va disposto nei riguardi della società Equitalia Nomos s.p.a. che è rimasta solo intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nei confronti dell’Inps nella misura di Euro 3.600,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti di Equitalia Nomos s.p.a..

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2016

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