Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17638 del 06/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/09/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 06/09/2016), n.17638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11176-2015 proposto da:

ATHLON CLUB ASSOCIAZIONE SPORTIVA P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA OSLAVIA 12, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO BADO’,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO PANI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

PALLINI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 06/03/2015 R.G.N. 490/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato BADO’ FABRIZIO;

udito l’Avvocato PALLINI MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

La Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva respinto le domande di F.G. di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di Athlon Club A.S. dal settembre 1991 al 22 gennaio 2005, come istruttore di palestra e dal settembre 2002 anche come direttore tecnico del settore fitness, di condanna della datrice al pagamento delle conseguenti differenze retributive e di illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera 21 gennaio 2005, in quanto privo di giusta causa e giustificato motivo), con sentenza 6 marzo 2015, accertava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 9 aprile 1996 al 21 gennaio 2005 e condannava Athlon Club A.S. al pagamento, in favore del lavoratore, delle differenze retributive, da liquidare in separato giudizio; dichiarava illegittimo il suddetto licenziamento e ordinava all’associazione di riassumere F.G. entro tre giorni o, in mancanza, di corrispondergli sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, da liquidare in separato giudizio; condannava la datrice alla rifusione delle spese dei due gradi.

Preliminarmente ribadita l’inammissibilità, per tardività, della domanda del lavoratore di accertamento della cessione di azienda tra il soggetto precedente gestore della palestra e Athlon Club A.S. ai fini del suo obbligo retributivo anche per il periodo precedente il settembre 1996, la Corte territoriale ravvisava, in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie valutate nel loro insieme, la ricorrenza di un rapporto di lavoro, non già autonomo ma subordinato, per la valorizzazione di elementi sussidiari rispetto alla esplicita soggezione a ordini e direttive (di difficile apprezzamento per la natura specialistica dell’attività svolta), quali in particolare l’orario a tempo pieno, l’osservanza di obblighi contenuti nelle “Regole” e in una “Circolare” cui tenuti gli istruttori, l’incarico di coordinamento tecnico conferitogli da epoca anteriore al 2003, il vincolo di fedeltà risultante dal divieto di concorrenza da osservare, ricavabile dal tenore della lettera di recesso dell’associazione sportiva: con la conseguenza dell’illegittimità del licenziamento, ingiustificato, comportante la riassunzione o, in mancanza, gli obblighi indennitari previsti per legge.

Con atto notificato il 28 aprile 2015, Athlon Club A.S. ricorre per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste F.G. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nella mancata considerazione di un proprio documento contenente la dichiarazione del presidente dell’associazione in ordine alla prestazione da F. di “opera coordinata e continuativa senza peraltro mai assumere funzioni di lavoratore subordinato a favore della scrivente Associazione” e delle quietanze di pagamento dei compensi mensili erogati a norma del D.M. Finanze n. 476 del 1999, art. 2 e del regolamento attuativo della L. n. 133 del 1999, art. 25 con erronea valorizzazione di altri elementi istruttori.

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., art. 2095 c.c., comma 1, artt. 222 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’utilizzazione di indici (quali in particolare la continuità della prestazione e l’osservanza di un orario fisso) non essenziali ai fini della subordinazione, per cui decisiva la soggezione a ordini, direttive, potere disciplinare del datore di lavoro invece non risultante dagli elementi istruttori scrutinati.

Il primo motivo, relativo ad omesso esame di un fatto controverso e decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nella mancata considerazione di documento dell’associazione ricorrente recante dichiarazione del suo presidente di prestazione da F. di “opera coordinata e continuativa senza peraltro mai assumere funzioni di lavoratore subordinato a favore della scrivente Associazione” e delle quietanze di pagamento dei compensi mensili, è inammissibile.

Esso si risolve, infatti, nella contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, come chiaramente significato dalle sintomatiche espressioni dell’associazione ricorrente, secondo cui “la valutazione e l’insieme di tali elementi evidenziati avrebbero dovuto far ritenere la natura autonoma del rapporto di lavoro instaurato tra il F. e l’Associazione Sportiva Athlon”, avendo la Corte territoriale “ritenuto, invece, di fondare il proprio convincimento su alcuni documenti prodotti dal F.” (così al primo e all’ultimo capoverso di pg. 14 del ricorso).

Occorre in proposito ribadire come il ragionamento motivo del giudice di merito non sia sindacabile, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo cui è esclusivamente denunciabile l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), applicabile ratione temporis per la pubblicazione della sentenza impugnata in data posteriore (6 marzo 2015) al trentesimo giorno successivo a quella di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (12 settembre 2012), secondo la previsione dell’art. 54, comma 3, D.L. citato.

Ed infatti, esso ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, qualora esaminato, sia idoneo a determinare un esito diverso della controversia). Da ciò discende che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori. Sicchè, detta riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439). Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., art. 2095 c.c., comma 1, artt. 222 e 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., per utilizzazione di indici (continuità della prestazione ed osservanza di un orario fisso) non essenziali ai fini della subordinazione, per cui decisiva la soggezione a ordini, direttive, potere disciplinare del datore di lavoro non risultante dagli elementi istruttori scrutinati, è parimenti inammissibile.

La violazione delle norme di diritto formalmente denunciata non è stata, infatti, dedotta in senso proprio, per la mancanza dei requisiti peculiari di sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756), neppure mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Sicchè esso si esaurisce nella sostanziale sollecitazione ad una rivisitazione del merito, sulla base anche qui essenzialmente di una contestazione della valutazione probatoria, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), laddove non siano riscontrabili vizi di ragionamento logico.

Ma essi sono da escludere nel caso di specie, per la corretta e congrua motivazione (per le ragioni esposte a pgg. da 4 a 6 della sentenza): nell’inconfigurabilità poi della sostanziale deduzione di un vizio motivo, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per le ragioni già illustrate sopra.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna Athlon Club A.S. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2016

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