Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17636 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/07/2017, (ud. 22/03/2017, dep.17/07/2017),  n. 17636

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15098/2015 proposto da:

R.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA MARRANA 7 presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

CATTIVERA, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO GATTA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SEVEL – Società Europea Veicoli Leggeri S.P.A. C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GIACINTO FAVALLI, MARIO CAMMARATA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1040/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 04/12/2014 R.G.N. 1214/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO GATTA;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale Avvocato

RAFFAELE DE LUCA TAMAJO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 4 dicembre 2014, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la Corte d’appello di L’Aquila rigettava l’appello proposto da R.G. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda di impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli da Sevel s.p.a. il 13 aprile 2010, per avere lavorato nei campi durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia (intervento di meniscectomia), così ritardandone la guarigione.

Esclusa ogni denunciata indebita estensione valutativa del primo giudice a periodo temporale non oggetto di contestazione e pure ogni confusione nell’apprezzamento delle condizioni del ginocchio sinistro del lavoratore, in luogo del destro operato, la Corte territoriale ribadiva la dipendenza causale del ritardo nella guarigione dalla prestazione della suddetta attività (in particolare consistita nella legatura di viti e nella conduzione di un mezzo agricolo), accertata dal C.t.u. medico-legale.

Con atto notificato il 4 giugno 2015, R.G. ricorre per cassazione con sei motivi, cui resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per ampliamento della contestazione datoriale del 1 aprile 2010, alla base del licenziamento disciplinare del 13 aprile 2010, a fatti, collegati a certificati medici del (OMISSIS), relativi al ginocchio sinistro (e non al destro, interessato dall’intervento chirurgico per cui il lavoratore in malattia), in violazione del principio di immutabilità della contestazione.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 115 c.p.c., quale la documentazione medica dell’intervento di (OMISSIS) al ginocchio sinistro del lavoratore.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce nullità della sentenza, per la mancata esplicazione delle ragioni di ravvisato pregiudizio per la propria guarigione nella sporadica attività agricola prestata, indicata in una presunta attività di coltivazione delle viti, anzichè nella loro legatura e nella guida di un mezzo agricolo, come accertato dal Tribunale.

4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 134 c.p.c., per il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi in ordine all’inesistenza di alcun aggravamento a carico del ginocchio destro del lavoratore a causa dell’attività svolta durante il periodo di assenza per malattia.

5. Con il quinto, il ricorrente deduce manifesta illogicità della sentenza, per la censurata prestazione di attività agricola durante la malattia, da una parte e, dall’altra, per la mancata prestazione, se allora possibile, di una parziale prestazione al datore di lavoro, peraltro al di fuori della contestazione disciplinare.

6. Con il sesto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2103 e 2119 c.c., per difetto di proporzionalità tra l’addebito contestato e la sanzione espulsiva inflittagli, senza neppure specifica indicazione degli elementi giustificativi.

7. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per ampliamento della contestazione a base del licenziamento disciplinare nell’inosservanza del principio di immutabilità della contestazione, è infondato.

7.1. Occorre premettere che la violazione del principio di immutabilità della contestazione attiene alla correttezza del procedimento disciplinare, che evidentemente non può che collocarsi in una fase anteriore a quella di eventuale impugnazione giudiziale del provvedimento sanzionatorio cui esso mette capo, in quanto corollario del principio di specificità della contestazione medesima. E detto principio risponde all’esigenza, rilevante ai fini della garanzia dell’esercizio del diritto di difesa, che i fatti addebitati siano specificamente individuati nell’atto di contestazione, secondo l’impostazione giurisprudenziale più squisitamente contenutistica di applicazione del principio esclusivamente in relazione alla funzione di garanzia di esercizio del diritto di difesa del lavoratore, con la negazione di qualsiasi profilo di illegittimità qualora in concreto nessun vulnus sia arrecato a tale diritto (Cass. 22 aprile 2015, n. 8238; Cass. 5 marzo 2010 n. 5401; Cass. 13 giugno 2005 n. 12644).

Nè si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, qualora sia rispettato il principio generale, in materia di sanzioni disciplinari, di assicurazione al lavoratore della possibilità di contestare l’addebito in relazione all’unico fatto materiale accertato, anche diversamente qualificato giuridicamente, con le garanzie del contraddittorio (Cass. 10 marzo 2016, n. 4725; Cass. 20 marzo 2007, n. 6638).

7.2. Nel merito, deve peraltro essere esclusa la violazione denunciata, non avendo la Corte territoriale valutato comportamenti diversi da quelli oggetto del licenziamento impugnato: posto che la documentazione medica successiva si riferisce all’accertamento, compiuto dalla Corte e adeguatamente giustificato (per le ragioni esposte al terzo e al quinto capoverso di pg. 2 della sentenza), dell’aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore, per effetto dell’attività prestata.

8. Il secondo motivo, relativo ad omesso esame della documentazione medica relativa all’intervento di (OMISSIS) al ginocchio sinistro del lavoratore, è inammissibile.

8.1. Il ricorrente non ha, infatti, osservato il protocollo deduttivo (consistente nell’indicazione del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e della sua “decisività”) in ordine all’omesso esame, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: neppure peraltro la censura inerendo ad un fatto, ma piuttosto ad una valutazione compiuta dalla Corte territoriale, nel senso dell’irrilevanza della condizione del ginocchio sinistro rispetto al documentato accertamento dello stato di quello destro, oggetto dell’intervento chirurgico giustificante l’assenza dal lavoro (dal primo periodo al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza).

9. Il terzo motivo, relativo a nullità della sentenza per mancata esplicazione delle ragioni di ravvisato pregiudizio alla guarigione del lavoratore per la sporadica attività agricola prestata, è infondato.

9.1. Non ricorre la denunciata nullità quale error in procedendo. Essa è, infatti, integrata da una motivazione che sia solo apparente, inidonea a rendere percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. s. u. 3 novembre 2016, n. 22232).

Ma la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni di pregiudizio comportate dall’esercizio dell’attività agricola in pendenza della malattia del lavoratore, per le ragioni succintamente ma adeguatamente illustrate (in particolare al penultimo capoverso di pg. 3 della sentenza), sulla base di accertamento in fatto (recepito dal giudice di primo grado, al terzo capoverso di pg. 2 della sentenza), insindacabile nell’odierna sede di legittimità; infine, nella palese e coerente confluenza delle attività di legatura delle viti e della guida di un mezzo agricolo in quella di coltivazione, cui funzionalmente accedenti.

10. Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 134 c.p.c., per mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi in ordine all’inesistenza di aggravamento a carico del ginocchio destro del lavoratore per attività svolta durante il periodo di malattia, è inammissibile.

10.1. E’ noto come nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ai sensi dell’art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non sia censurabile con ricorso per cassazione, qualora la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Cass. 12 marzo 2009, n. 6023; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22534).

E ciò non risulta nel caso di specie.

11. Il quinto motivo, relativo a manifesta illogicità della sentenza per la censurata prestazione di attività agricola durante la malattia del lavoratore e la mancata, neppure parziale, al datore di lavoro peraltro al di fuori della contestazione disciplinare, è infondato.

11.1. La Corte territoriale ha reso una chiara e congruente giustificazione dell’aggravamento della condizione patologica del lavoratore per effetto dell’attività lavorativa prestata nel periodo di malattia (sulla base delle argomentazioni svolte dal penultimo capoverso di pg. 3 al primo di pg. 4 della sentenza), senza alcuna intrinseca contraddittorietà tale da non rendere comprensibile il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione assunta, nell’impossibilità di individuarne gli elementi di fatto considerati o presupposti, in funzione della sua intelligibilità e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. 10 novembre 2010, n. 22845; Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864).

Sicchè, tanto escluso, la censura eccede il rigoroso perimetro devolutivo di denunciabilità del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

12. Il sesto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2106 e 2119 c.c., per difetto di proporzionalità tra addebito contestato e licenziamento, è infondato.

12.1. E’ noto come la giusta causa di licenziamento debba rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare (Cass. 18 settembre 2012, n. 15654; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144).

Sicchè, la sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchè dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta: per la quale ultima, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza (Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

Ebbene, nella valutazione che le pertiene, in ordine alla verifica della concretizzazione operata dall’interprete della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144), reputa questa Corte che la Corte d’appello aquilana abbia fatto corretta applicazione dei suenunciati principi di diritto. E che essa abbia pure accertato la ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo, sotto il profilo del giudizio di fatto demandatole, incensurabile in cassazione se, come nel caso in esame, privo di errori logici e giuridici (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo(2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144): e ciò anche in specifico riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

Ed infatti, la Corte territoriale ha a ciò provveduto con accertamento in fatto, succintamente ma adeguatamente motivato (al terzo capoverso di pg. 4 della sentenza e con evidente richiamo anche del profilo dell’intenzionalità, all’ultimo capoverso di pg. 3), insindacabile in sede di legittimità.

13. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna R.G. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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