Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17633 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/07/2017, (ud. 21/03/2017, dep.17/07/2017),  n. 17633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13814-2015 proposto da:

F.N., C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv.to ROMINA

FILIPPINI, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, PRESSO LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CISA SPECIALITA’ ALIMENTARI S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA PIETRO MEROLLI 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

ROSATI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO

BACCHELLI, giusta delega a margine della memoria di interesse di

parte convenuta;

– resistente –

avverso la sentenza n. 631/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 22/05/2014 R.G.N. 382/08.

Fatto

RILEVATO

Che con ricorso al Tribunale di Bologna, F.N., dolendosi del licenziamento intimatole l’11.5.06 dalla Cisa Specialità Alimentari per asserito giustificato motivo oggettivo, lamentava che il recesso doveva ritenersi discriminatorio alla luce della patologia di cui era portatrice, e comunque inefficace, atteso che alla richiesta di comunicazione dei motivi nulla era seguito, e che in ogni caso non sussisteva la dedotta causale oggettiva.

Che in ogni caso il recesso doveva ritenersi temporaneamente inefficace fino alla guarigione verificatasi in data 30.8.06.

Che invocava innanzitutto l’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18; subordinatamente l’applicazione della tutela risarcitoria di diritto comune ovvero l’applicazione della L. n. 604 del 1966.

Che nella resistenza della datrice, il Tribunale riteneva inefficace il licenziamento per la mancata comunicazione dei motivi L. n. 604 del 1966, ex art. 2 con le conseguenze di cui alla tutela reale, osservando che la datrice di lavoro non aveva provato la sussistenza delle condizioni occupazionali per dar luogo alla tutela obbligatoria.

Che avvero tale sentenza proponeva appello la CISA; resisteva la lavoratrice.

Che con sentenza depositata il 22.5.14, la Corte d’appello di Bologna accoglieva parzialmente il gravame, ritenendo illegittimo il licenziamento per insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto ed applicabile la sola tutela obbligatoria, condannando dunque la società a riassumere la F., ovvero a risarcirle il danno nella misura di quattro mensilità.

Che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la F., affidato a quattro motivi, mentre la società è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

-Deve pregiudizialmente evidenziarsi che la memoria per l’udienza odierna, presentata dalla CISA rimasta precedentemente, prima della nuova fissazione dell’udienza camerale ex L. n. 197 del 2016, intimata e senza alcun deposito anche di procura ai fini della partecipazione alla discussione in udienza (cfr. ord. n. 4906/17), deve ritenersi inammissibile.

– Con il primo motivo la F. denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 6 oltre che degli artt. 1392 e 1324 c.c.

Lamenta, L. n. 604 del 1966, ex art. 6 che la sentenza impugnata escluse l’inefficacia del licenziamento per la mancata comunicazione dei motivi richiesti per il tramite dell’associazione sindacale cui essa lavoratrice aveva conferito mandato.

– Il motivo è infondato posto che la norma citata si riferisce alla possibilità di impugnare il licenziamento per il tramite dell’associazione sindacale e non già di richiedere, per il tramite di quest’ultima, i motivi del recesso L. n. 604 del 1966, ex art. 2 (nel testo all’epoca vigente).

Deve infatti ritenersi che l’intervento dell’associazione sindacale, in luogo del lavoratore interessato, sia norma di carattere eccezionale non applicabile analogicamente, sicchè può applicarsi solo nel caso, previsto dalla legge, dell’impugnativa del licenziamento e non già anche per la richiesta dei motivi del recesso (così come di qualunque altra comunicazione tra lavoratore e datore di lavoro), che resta atto personale del dipendente, salvo che non risulti apposito mandato all’associazione sindacale.

– Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ed in sostanza che essa, al momento del licenziamento (15.5.06), ed a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, si trovava in malattia, come risultava dai certificati medici in atti.

Il motivo presenta profili di inammissibilità, non essendo stati prodotti i certificati medici in questione (art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), nè risulta che il certificato del 15.5.06, un cui sunto è solo riportato in nota a pag. 14 del ricorso, sia stato consegnato (e quando) al datore di lavoro. A ciò aggiungasi che la corte di merito ha accertato, e la stessa ricorrente dichiara (a pag. 4 del ricorso), che l’atto di licenziamento reca la data dell’11.5.06. Si tratterebbe in tal caso di un errore revocatorio, non azionabile in questa sede.

– Con il terzo motivo la F. denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. Lamenta che la sentenza impugnata non prese in adeguata considerazione tutta la documentazione sanitaria prodotta dalla ricorrente, attestante il suo stato di salute ed il periodo di malattia.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, per non avere la ricorrente chiarito quali certificati la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione, oltre che per genericità, non avendo la F. chiarito quali circostanze avrebbe dovuto essere considerate dal giudice di merito senza che questi avesse provveduto a farlo. In ogni caso, come sopra accennato, tali certificati non risultano prodotti, con le conseguenze di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

– Con il quarto motivo la F. denuncia la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.

Lamenta che, a fronte della documentazione medica allegata e delle circostanze inerenti la sua patologia, la sentenza impugnata avrebbe potuto far ricorso alla prova presuntiva al fine di accertare l’esistenza di un motivo illecito unicamente determinante il recesso.

Il motivo è inammissibile. Ed invero se è ben possibile, anche nel caso denunciato, far ricorso alla prova presuntiva, nella specie, come detto, la ricorrente non produce i certificati medici in questione, nè chiarisce e documenta la natura della patologia sofferta, il contesto delle assenze, non chiarendo insomma da quali elementi di fatto il giudice avrebbe dovuto ricavare la prova presuntiva della natura illecita determinante del licenziamento irrogatele.

– Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Nulla per le spese non avendo l’intimata svolto attività difensiva, non potendo valutarsi, anche a tal fine, la memoria tardivamente depositata per l’udienza odierna.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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