Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17631 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/07/2017, (ud. 21/03/2017, dep.17/07/2017),  n. 17631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8768-2015 proposto da:

GAM S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1192/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 22/09/2014 R.G.N. 1030/13.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che con sentenza n. 1192/2014, depositata il 22 settembre 2014, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza, che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a C.P. dalla società GAM S.p.A. per giustificato motivo oggettivo consistito nella intervenuta soppressione del servizio interno di vigilanza a mezzo di guardie giurate;

– che nei confronti di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con unico articolato motivo;

– che il lavoratore è rimasto intimato;

rilevato che, con il motivo proposto, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 con riferimento ai principi in materia di c.d. repechage e di distribuzione degli oneri probatori fra le parti, nonchè della violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 1, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello di Catanzaro ha ritenuto non adeguatamente dimostrate dal datore di lavoro le circostanze che le mansioni di guardia giurata non fossero più svolte da personale interno in nessuno dei punti vendita aziendali e che nell’unico in cui era allegato che fossero ancora presenti, ovvero il Centro Distribuzione di (OMISSIS), il personale con tale qualifica fosse in numero sufficiente a garantire il corretto espletamento del servizio; ed inoltre nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto mancante la prova, ancora ponendola a carico del datore di lavoro, circa l’impossibilità di collocare il lavoratore in mansioni equivalenti;

osservato che la sentenza si sottrae alla censure che le vengono mosse;

– che, infatti, “in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha l’onere di dimostrare il fatto costitutivo dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonchè di allegare l’illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del cd. repechage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore” (Cass. n. 12101/2016);

– che è stato altresì precisato, con particolare riferimento alla collaborazione del lavoratore nell’accertamento di un possibile reimpiego, che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo “spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repechage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i suddetti oneri” (Cass. n. 5592/2016);

– che, d’altra parte, non rileva (a) l’affermazione contenuta nella sentenza, e più volte sottolineata dalla ricorrente, secondo la quale GAM S.p.A. avrebbe dovuto produrre il contratto stipulato con la società cui fu affidato il servizio antitaccheggio, onde “consentire di valutare – la congruità della scelta aziendale operata”, trattandosi di affermazione che se pure astrattamente idonea a sollecitare un confronto con il principio di libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), risulta eccentrica rispetto al percorso logico-argomentativo seguito dalla Corte territoriale per giungere alle proprie conclusioni in ordine al mancato assolvimento, da parte del datore di lavoro, dell’onere della prova allo stesso incombente in tema di repechage, come emerge dalle parti di motivazione precedente ad essa e immediatamente successiva; nè rileva (b) la giurisprudenza di legittimità richiamata nel ricorso sulla sufficienza di una mera diversa ripartizione delle mansioni esercitate dal lavoratore, in luogo della loro integrale soppressione (Cass. n. 21282/2006), non essendo questione nella specie di configurabilità del giustificato motivo ma di riscontro dell’offerta di prova da parte datoriale circa la possibilità di reimpiego del lavoratore alla stregua di una sua più ampia e articolata professionalità; nè rileva infine (c) la riproduzione del cap. 6), siccome vertente su circostanza di fatto priva del requisito di decisività in rapporto a quanto ritenuto in sentenza a proposito dell’unità produttiva di (OMISSIS);

ritenuto conclusivamente che il ricorso deve essere rigettato;

– che non vi è luogo a condanna della ricorrente alle spese, essendo la controparte rimasta intimata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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