Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1763 del 27/01/2020

Cassazione civile sez. I, 27/01/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 27/01/2020), n.1763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32597/2018 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliato in Roma Via Comano 95

presso lo studio dell’avvocato Faraon Luciano che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Faraon Andrea;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2019 da Dott. GORI PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto n. 5355 depositato in data 8.10.2018 nella controversia iscritta all’RGN 12559/2017 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da C.I., nato in (OMISSIS), in impugnazione del provvedimento prefettizio di diniego notificatogli il 17.11.2017 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, sez. di Vicenza, con cui gli è stata rigettata la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, il diritto alla protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007 ovvero un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

– Avverso la decisione il richiedente ha notificato in data 6.11.2018 ricorso, affidato a due motivi, e il Ministero dell’Interno non si è difeso, rimanendo intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, secondo cui la domanda dev’essere esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo, per aver il Tribunale escluso la provenienza del ricorrente da (OMISSIS), città ove allega di essere nato, cresciuto e aver subito attacchi terroristici, sul presupposto che non parla il (OMISSIS) delle popolazioni (OMISSIS), ma il (OMISSIS), diffuso prevalentemente nel (OMISSIS).

Il motivo non può trovare ingresso nel presente giudizio. In disparte dal fatto che il corpo del motivo non individua le precise disposizioni di legge che si assumono violate, il motivo è inammissibile anche per le ulteriori seguenti ragioni.

– La Corte rammenta che “In materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01).

Il Tribunale non ha omesso, come allega il ricorrente, di esaminare la domanda e di valutare le sue dichiarazioni alla luce di informazioni precise ed aggiornate, ma ha solo compiuto un accertamento di merito a lui sfavorevole e per questo non accettato. La valutazione del tenore delle dichiarazioni rese dal richiedente si è basata non solo sull’accertamento del dialetto parlato dal richiedente e dalla diffusione dello stesso nel Paese di provenienza, ed è stata operata in generale sulla base del controllo di logicità del complessivo racconto del ricorrente. Orbene, il richiedente ha reso dichiarazioni generiche e per nulla circostanziate circa il momento del suo rapimento da parte degli (OMISSIS), affermando di essere stato sì a (OMISSIS), ma alla ricerca di una strada per scappare, senza specificare l’episodio, in merito ad es. alle armi usate.

– Vi sono poi significative incongruenze nel racconto del sequestro di persona, sul numero dei terroristi e dei prigionieri, sulle mansioni da questi ultimi svolte sotto il controllo degli (OMISSIS), non compatibili con quanto normalmente avviene in casi analoghi. In questa luce, l’elemento linguistico assume la sua rilevanza di riscontro, in quanto il fatto che il richiedente parli (OMISSIS) e (OMISSIS), diffusi in tutto il Paese, ma soprattutto nella zona centrale e (OMISSIS), e non la lingua (OMISSIS) molto diffusa, in connessione spesso con la religione (OMISSIS), nella zona di (OMISSIS) a nord est del Paese, è ulteriore elemento, unito agli altri sopra riassunti del decreto impugnato, del medesimo segno, che depone per la non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente.

– L’esclusione dell’esistenza di un fondato timore di persecuzione personale e diretta nella parte del Mali di origine a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale o per le opinioni politiche professate, è poi avvenuta sulla base di autorevoli fonti internazionali autonomamente reperite, in particolare il Ministero dell’Interno – Unità COI Aggiornamento sulla situazione della sicurezza in Mali del 15.4.2016 e World report 2017 di Human Rights Watch.

Si tratta di un ragionamento logico, coerente, immune da vizi argomentativi e la valutazione compiuta dal giudice del merito a riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in applicazione dei q principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il richiedente denuncia la nullità della sentenza per omessa motivazione ovvero motivazione apparente circa le ragioni del gravame.

In particolare, la critica si appunta sul fatto che il Tribunale avrebbe compiuto un accertamento non corrispondente al vero e smentito dai documenti di causa, affermando che la madre e i fratelli del ricorrente vivrebbero tutt’oggi in Mali, tanto da non renderlo meritevole di protezione umanitaria.

Il motivo è destituito di fondamento. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 01).

Nel caso di specie non si può ritenere che la motivazione sia apparente per l’articolato e costante collegamento del filo motivazionale agli elementi di prova raccolti nel processo, in particolare le dichiarazioni del richiedente, ritenute contraddittorie per una pluralità di ragioni che il mezzo di impugnazione stesso ritiene essere non meno di quattro. Anche l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui la madre e i fratelli sarebbero in Mali non appare decisiva, in quanto le dichiarazioni del richiedente riportate in ricorso “mia madre è viva e non so dove si trovi adesso. Ho un fratello ed una sorella più piccoli. Penso stiano con mia madre ma non so dove ” e “non ho avuto più contatto con mia madre e non l’ho più sentita (…) quando ero in prigione c’erano delle persone della mia città che avevano visto mia madre, ma non sapevano dove fosse andata dopo” non appaiono in netto contrasto con l’accertamento contenuto in sentenza, che compie certo una proiezione ulteriore di verosimiglianza della permanenza, ma pienamente compatibile con tali dichiarazioni. Infatti, la statuizione non è censurata come violazione dell’art. 115 c.p.c., e come vizio motivazionale, per i principi giurisprudenziali sopra richiamati. Ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, rileva solo ove la motivazione si collochi al di sotto del minimo costituzionale, circostanza da escludere recisamente alla luce di quanto precede;

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero. Si dà atto che il richiedente risulta ammesso al gratuito patrocinio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020

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