Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17625 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. II, 29/08/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 29/08/2011), n.17625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONDOMINIO di (OMISSIS)

(C.F.: (OMISSIS)), in persona dell’amministratore pro tempore,

rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al

ricorso, dall’Avv. Della Peruta Andrea ed elettivamente domiciliato

presso il suo studio, in Roma, via Renato Fucini, n. 48;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ ITCO Italiana Costruzioni s.p.a., in liquidazione, in

persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

AFELTRA Roberto ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in

Roma, piazza don Minzoni, n. 9;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

2260 del 2009, depositata il 28 maggio 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. And rea Della Peruta per il ricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso e, in subordine, per il suo rigetto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2260 del 2009 (depositata il 28 maggio 2009 e non notificata), decidendo sull’appello proposto, nei confronti del Condominio (OMISSIS), dalla IT.CO Italiana Costruzioni s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 8024/2003 (relativa all’esperimento di un’azione di garanzia per vizi conseguente all’esecuzione di un contratto di appalto), lo accoglieva e, per l’effetto, respingeva la domanda formulata dal menzionato Condominio, condannando quest’ultimo alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio. Con ricorso (notificato il 13 luglio 2010 e depositato il 16 settembre successivo) il Condominio dell’Edificio (OMISSIS), ha impugnato per cassazione la suddetta sentenza della Corte di appello di Roma formulando due distinti motivi. L’intimata società IT.CO. s.p.a. in liquidazione si è costituita in questa fase con controricorso.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo il Condominio ricorrente ha dedotto la violazione ed errata applicazione dell’art. 1669 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, mentre con il secondo ha prospettato il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, avuto riguardo all’erronea valutazione della Corte territoriale sull’insussistenza dei “gravi vizi di costruzione” di cui al citato art. 1669 c.c., in considerazione della ritenuta modestia degli stessi siccome inidonei ad incidere sul normale godimento dell’intero edificio e sul valore di mercato dell’immobile.

A sostegno del primo motivo il ricorrente ha indicato il seguente quesito: “in relazione a quanto innanzi esposto, dica la Corte adita se l’art. 1669 c.c. deve considerarsi perfettamente applicabile nella fattispecie in esame, anche in funzione delle precedenti e consolidate massime giurisprudenziali, e, pertanto, se la decisione della Corte di appello di Roma, oggetto della presente impugnazione, sia conforme al diritto oppure costituisca grave violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3″.

A corredo del secondo motivo risulta riportato il seguente quesito:”Il relazione a quanto innanzi esposto, dica la Corte adita se la Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata, abbia omesso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di motivare la propria decisione sui fatti storici e tecnici sulla fattispecie in esame”.

Ritiene il collegio che sussistano, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento ad entrambi i motivi proposti, per manifesta inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 28 maggio 2009: v. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che, nel caso di specie, il Condominio ricorrente si sia attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento ai primo motivo implicante la deduzione della violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., dopo il diffuso svolgimento della doglianza, il ricorrente ha indicato un quesito di diritto del tutto generico rispetto alla violazione di legge prospettata, la cui formulazione risulta assolutamente inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire, in termini specifici ed autonomi, l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009);

– con riguardo al secondo motivo, riferito ad un supposto vizio motivazionale, manca completamente la chiara indicazione, in apposito quadro di sintesi conclusiva, del fatto controverso in relazione al quale si è assunto che la motivazione fosse insufficiente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta insufficienza motivazionale si dovesse considerare inidonea a supportare la decisione (essendosi, essenzialmente, il ricorrente limitato a chiedere, in forma assolutamente generica, di verificare se, “in relazione a quanto innanzi esposto, la Corte di appello avesse omesso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di motivare la propria decisione sui fatti storici e tecnici sulla fattispecie in esame”).

In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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