Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17624 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. II, 29/08/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 29/08/2011), n.17624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CAMAR s.r.l. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro-tempore, rappresentato, e difeso, in virtù di

procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Schiavello Gustavo ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, v. Emilio

Faà di Bruno, n. 67;

– ricorrente –

contro

S.M., quale erede di Se.Au.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

1720 del 2009, depositata il 22 aprile 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Gustavo Schiaveilo per la ricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 1720 del 2009 (depositata il 22 aprile 2009) la Corte di appello di Roma, decidendo sull’appello proposto nei confronti di Se.Au. dalla Camar s.r.l., avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 10399/2001 (relativa ad una domanda principale di rilascio di un immobile abusivamente occupato e alla correlata domanda riconvenzionale di usucapione), accoglieva per quanto di ragione l’appello e, per l’effetto, dichiarava che il Se.

A. aveva acquistato per usucapione la proprietà del terreno della superficie di mq. 36, facente parte dei fondo sito in Roma, v.

Augusto Conti s.n.c., distinto in catasto alla partita 56189, foglio 190, particella 101, con ordine al competente Conservatore di procedere alla trascrizione della sentenza e con compensazione delle spese del grado. Nei confronti della suddetta sentenza di appello la Camar s.r.L ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 5 giugno 2010 e depositato il 18 giugno successivo) basato su tre motivi, avverso il quale l’intimata S.M., quale erede di Se.Au., non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge in relazione al mancato accertamento d’ufficio della carenza di “legitimatio ad causam” (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4; art. 2969 c.c.), avuto riferimento all’intervenuta decadenza del Se. e dei suoi aventi causa dalla domanda di accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà per usucapione.

Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al mancato decorso del termine ventennale per l’usucapione, al mancato accertamento della sua interruzione e all’omessa integrazione e cessazione del possesso (art. 360 c.p.c., n. 3; L. Fall., artt. 31 e 42; artt. 1140, 1158, 1165 e 1167 c.c.).

Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di legge con riguardo al mancato esercizio del diritto di proprietà (art. 360 c.p.c., n. 3; artt. 1140 e 1158 c.c.).

Ritiene il collegio che sussistano, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento ai tre motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 22 aprile 2009: v. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).

Sul piano generale si osserva (cfr, ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che il ricorrente si sia attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo, riferito alla violazione delle norme in materia di “legitimatio ad causam”, non risulta inserita alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alla supposta violazione di legge, la cui formulazione avrebbe dovuto assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009);

– in ordine al secondo motivo, concernente la violazione di norme in materia di prova ai fini dell’acquisto del diritto di proprietà per usucapione, difetta qualsiasi specifica enucleazione, in modo strutturalmente e funzionalmente autonoma, de quesito di diritto in modo tale da evidenziare un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto del motivo e correlato al punto della decisione impugnata;

– con riferimento al terzo motivo, relativo ad altra violazione di legge ricondotta agli artt. 1140 e 1158 c.c., manca il richiamo, nei termini innanzi precisati, ad un quesito di diritto in grado di evidenziare il nucleo essenziale della dedotta violazione, da rapportare allo specifico errore da imputare alla Corte territoriale nel percorso argomentativo della sentenza impugnata e tale da implicare l’enucleazione di un principio generale ricollegabile alla eventuale fondatezza della doglianza stessa e, quindi, da assolvere la funzione ad esso demandata dall’art. 366 bis c.p.c.; inoltre, con riferimento a quest’ultimo motivo, la ricorrente adombra anche l’illegittimità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ma, anche sotto questo profilo, non si evince alcuna sintesi del vizio prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al fa quale si assume che la motivazione fosse insufficiente, così come anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta insufficienza motivazionale dovesse ritenersi inidonea a supportare la decisione.

In definitiva, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza che si debba far luogo ad alcuna statuizione sulle spese della presente fase, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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