Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17624 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/08/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 25/08/2020), n.17624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28865-2018 proposto da:

A.P.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LUCA FROLDI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 163/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 01/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

VALITUTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Ancona, A.P.J., cittadino del Gaambia, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata al medesimo dalla competente Commissione territoriale. Con decreto depositato il 3 agosto 2016, l’adito Tribunale accoglieva il ricorso. La Corte d’appello, con sentenza n. 163/2018, depositata il 12 febbraio 2018, accoglieva, per contro, il gravame proposto dal Ministero dell’interno avverso la decisione di primo grado, rigettando la domanda di protezione internazionale proposta dallo straniero.

2. Il giudice adito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento al medesimo dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando non credibili le dichiarazioni del richiedente, circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese, ritenendo non sussistente, nella zona di provenienza dell’istante, una situazione di violenza indiscriminata, derivante da conflitto armato interno o internazionale, e rilevando che non erano state allegate dal medesima specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini della protezione umanitaria.

3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso Pateh Jallo Abou nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a tre motivi. il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, A.P.J. denuncia la violazione dell’art. 702 quater c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello non abbia dichiarato inammissibile il gravame proposto dal Ministero dell’interno avverso la decisione di primo grado, sebbene l’appello fosse stato presentato il 7 ottobre 2016, ossia ben oltre i trenta giorni, previsti dall’art. 702 quater c.p.c., dal deposito della decisione del Tribunale, avvenuto il 3 agosto 2016. Nè potrebbe reputarsi corretta – attesa la previsione, derivante dal combinato disposto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 9, e 702 quater c.p.c., di un termine speciale di decadenza dall’impugnazione l’applicazione del termine lungo ex art. 327 c.p.c. operata dalla Corte d’appello.

1.2. Il motivo è infondato.

1.2.1. Va osservato che le controversie in materia di protezione internazionale, instaurate in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, sono assoggettate al rito sommario di cognizione ai sensi di tale D.Lgs., artt. 19 e 36, con contestuale abrogazione del rito speciale già disciplinato dal D.Lgs. 25 del 2008, art. 35 (Cass., 07/07/2016, n. 13830). Ne consegue che l’appello avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. dal tribunale è esperibile, ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., entro trenta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione dell’ordinanza stessa, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 9 (Cass., 31/10/2016, n. 22119).

E tuttavia, è evidente che l’applicabilità del termine breve postula – per espresso dettato della norma di cui all’art. 702 quater c.p.c. l’avvenuta comunicazione, ovvero la valida notificazione dell’ordinanza che decide la controversia in primo grado) in caso contrario dovendo trovare applicazione, come ha correttamente ritenuto la Corte d’appello, il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. L’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione può essere, invero, appellata dalla parte contumace – alla quale non va fatta la comunicazione di tale ordinanza – nel termine “breve” di cui all’art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c. che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo (Cass., 27/06/2018, n. 16893).

1.2.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato che il Ministero dell’interno era rimasto contumace nel giudizio di primo grado, e che la decisione conclusiva di tale giudizio era stata notificata ad un funzionario, in violazione del R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, applicabile solo nelle ipotesi nelle quali l’Amministrazione abbia provveduto alla costituzione “in proprio”, tramite un funzionario incaricato, rinunciando al patrocinio da parte dell’Avvocatura dello Stato. La Corte ha, di conseguenza, ritenuto che siffatta notifica fosse invalida e, quindi, inidonea a consentire il decorso del termine “breve” di trenta giorni per la proposizione dell’appello.

1.2.3. Tale conclusione è da reputarsi del tutto corretta.

Ed invero, con riferimento alla previsione di cui all’art. 417 bis c.p.c. richiamata del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 7, applicabile ratione temporis secondo cui le P.A., nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, possono stare in giudizio, in primo grado, mediante loro dipendenti, si differenzia da quella di cui al R.D. n. 1611 del 1933, art. 2, che consente all’Avvocatura dello Stato di delegare per la rappresentanza dell’Amministrazione un funzionario o procuratore. Nel primo caso, infatti, l’Amministrazione assume direttamente la difesa, nel secondo la delega concerne la sola rappresentanza in giudizio, restando l’attività defensionale affidata all’ufficio dell’Avvocatura competente per territorio. Ne consegue che nel primo caso la notifica della sentenza di primo grado, ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione, va effettuata allo stesso dipendente, mentre nel secondo la notifica della sentenza al delegato è radicalmente nulla, dovendosi effettuare presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato, R.D. n. 1611 del 1933, ex art. 11 (Cass. 17596/2016).

Ne discende che, nel caso concreto, esattamente la Corte d’appello ha ritenuto la notifica dell’ordinanza emessa in primo grado affetta da nullità e, pertanto, inidonea a consentire il decorso del termine “breve” per la relativa impugnazione.

1.3. Il mezzo deve essere, di conseguenza, disatteso.

2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, A.P.J. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. L’istante lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto – ai fini della concessione della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) b) – non attendibile la narrazione dei fatti che lo avrebbe determinata a lasciare il Paese di origine, senza operare alcun accertamento officioso al riguardo.

2.2. Il ricorrente si duole, altresì, del fatto che il giudice di merito non abbia concesso al medesimo neanche la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), senza tenere adeguatamente conto, sulla base di dati attinti da fonti internazionali aggiornate, della situazione socio-politica del Paese di origine.

2.3. I motivi sono inammissibili.

2.3.1. Ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), è invero indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c), costituente un parametro di attendibilità della narrazione (Cass. 05/02/2019, n. 3340).

In mancanza di credibilità dell’istante deve, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.

2.3.2. Nel caso di specie, il giudice di appello ha adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del richiedente, per la loro lacunosità e genericità, non essendo stato l’istante in grado di circostanziare in alcun modo, sotto nessun profilo, la vicenda di adulterio dalla quale deriverebbe il suo timore di essere sottoposto a gravi sanzioni penali. La Corte ne ha tratto il ragionevole convincimento che la motivazione reale, che ha spinto il richiedente alla migrazione, sia esclusivamente economica, come tale esclusa dalla concedibilità della protezione internazionale.

A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una richiesta – peraltro del tutto generica – di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass., 04/04/2017, n. 8758). Va, pertanto, esclusa in radice – attesa la non credibilità dello straniero – la concessione al medesima dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

2.3.3. Per quanto concerne, poi, la protezione sussidiaria succitato decreto, ex art. 14, lett. c), va osservato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c) (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).

2.3.4. Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato che i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda personale del richiedente, in relazione alla quale, peraltro, il medesimo è stato ritenuto inattendibile. A fronte di tali motivati accertamenti in fatto, il motivo di ricorso si sostanzia, per contro, in generiche deduzioni circa il regime giuridico della forma di protezione in esame, nonchè nell’allegazione di circostanze fattuali e di valutazioni di merito.

2.4. Per tutte le ragioni esposte, le censure in esame, poichè inammissibili, non possono trovare accoglimento.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 01 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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