Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17622 del 17/07/2017


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Cassazione civile, sez. un., 17/07/2017, (ud. 21/02/2017, dep.17/07/2017),  n. 17622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15915/2015 proposto da:

COMUNE DI CESENA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo STUDIO PLACIDI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FEDERICO GUALANDI e BENEDETTO

GHEZZI;

– ricorrente –

contro

AL MONTE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 173,

presso lo studio dell’avvocato GIULIANO FONDERICO, rappresentata e

difesa dagli avvocati MICHELE SESTA e ANDREA MALTONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata in

data 17/12/2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/02/2017 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

uditi gli Avvocati Federico Gualandi, Andrea Maltoni e Michele Sesta;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La S.r.l. Al Monte, dopo la dichiarazione del TAR dell’Emilia Romagna di difetto di giurisdizione, ha citato in giudizio davanti al Tribunale di Forlì il Comune di Cesena esponendo di aver stipulato con l’ente pubblico un contratto avente ad oggetto l’uso di un immobile comunale con destinazione a ristorante per la durata di 25 anni, con la previsione del pagamento di un canone annuo, e con l’onere a suo carico delle spese di ristrutturazione e di adeguamento del fabbricato e dell’impegno al mantenimento dell’area circostante a parco pubblico.

La società ha esposto che parte integrante della convenzione stipulata il 21 agosto 2002 erano gli elaborati progettuali presentati dalla società in sede di gara, che riguardavano l’edificazione di una veranda destinata ad ospitare la sala da pranzo del ristorante, non essendovi altro locale idoneo per poter collocare i clienti. Dopo aver gestito l’attività per più di cinque anni, la società ha chiesto al Comune il certificato di agibilità dell’immobile al fine di cedere l’azienda.

Il Comune, in risposta, ha comunicato che il manufatto era stato realizzato in base ad un’autorizzazione temporanea ex art. 105 del vigente regolamento edilizio scaduta e non rinnovata ed ha notificato alla società l’ordinanza di demolizione della veranda.

La società Al Monte ha chiesto al Tribunale la disapplicazione dell’autorizzazione temporanea rilasciata dal Comune, quale atto presupposto della convenzione stipulata il 21 agosto 2002; la dichiarazione di nullità della autorizzazione e della convenzione stipulata in data 21-8-2002, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla demolizione della veranda.

Il Tribunale di Cesena ha accolto la domanda dichiarando la nullità della convenzione e condannando il Comune al risarcimento dei danni.

La Corte d’appello di Bologna, evocata su impugnazione del Comune, ha confermato la decisione di primo grado.

Avverso questa decisione propone ricorso il Comune di Cesena con quattro motivi.

Resiste con controricorso la società Al Monte.

Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunzia difetto di giurisdizione del giudice ordinario e violazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 2, 4 e 5, ALL e, e D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 7.

Il ricorrente sostiene che la domanda proposta era di risarcimento danni conseguenti a provvedimento amministrativo, rientrante nella giurisdizione del giudice ammnistrativo, e che i giudici di merito non hanno affrontato la questione sotto il profilo della diretta riconducibilità dei danni all’ordinanza di demolizione della veranda.

2. il motivo è inammissibile perchè la sentenza di primo grado, che ha deciso il merito,non è stata impugnata in appello per difetto di giurisdizione e sul punto si è formato il giudicato implicito.

Questa Corte ha avuto modo di affermare, con sentenza resa a S.U. (n. 24883/08), che l’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All’esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l’ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (conformi ex pluribus, Cass. nn. 25770/08, 27344/08, 27531/08, 9661/09 e 15402/10).

3. Il Comune ricorrente tenta inammissibilmente di introdurre in sede di legittimità una nuova interpretazione della domanda proposta dalla società Al Monte, in presenza di una qualificazione della stessa da parte di entrambi i giudici di merito come domanda di nullità della convenzione con conseguente risarcimento del danno, qualificazione non censurata in appello e che attiene ad un rapporto di natura privatistico.

4. Con il secondo motivo si denunzia violazione ex art. 360, n. 3, dei principi di ermeneutica contrattuale. Violazione dell’art. 1418 c.c.. Violazione della L. n. 2248 del 1865, art. 5. Violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies e 21 octies. Violazione dei principi e delle norme del D.P.R. n. 380 del 2001.

5. Con il terzo motivo si denunzia ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 1418 e 1419 c.c. e dei principi in materia di ermeneutica contrattuale.

6. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico-giuridica che li lega e sono infondati.

La Corte d’appello ha ritenuto che la realizzazione della veranda rivestiva carattere essenziale per il privato contraente, sul rilievo del richiamo nell’articolo 6 bis della convenzione alla relazione tecnica con il computo metrico, materialmente allegata, in cui si dava atto che il ristorante poteva ospitare solo cinque o sei tavoli non sufficienti alla sopravvivenza dell’attività economica e dell’interesse del contraente privato alla realizzazione di una veranda che permetteva di ospitare fino al 100-120 unità; che tale progetto era stato attentamente valutato dal Comune di Cesena nella procedura di evidenza pubblica, Comune che aveva condiviso l’interesse alla realizzazione della veranda, che avrebbe consentito lo sviluppo dell’attività del contraente privato e di conseguenza garantito la possibilità di adempiere ai gravosi oneri economici previsti nel contratto.

La Corte d’appello ha ritenuto che il privato contraente, pur nella consapevolezza della transitorietà del titolo peraltro rinnovabile ogni cinque anni, aveva senz’altro fatto affidamento sull’ente pubblico e sulla possibilità di ottenere i successivi rinnovi, come avvalorato dalla durata di 25 anni prevista per la locazione.

7. Il giudice d’appello ha inoltre accertato che l’autorizzazione provvisoria ex art. 105 del regolamento edilizio era fin dall’inizio illegittima e che il Comune era certamente consapevole del fatto che le autorizzazioni temporanee si ponevano in netto contrasto con la legge regionale del 2002 in tema di conformità edilizia ed agibilità e nessuna informazione adeguata era stata data alla società contraente al di là della sottoscrizione di un atto d’obbligo unilaterale, che sembrava piuttosto una clausola di carattere generale e si poneva comunque in contrasto con tutte le altre assicurazioni emergenti dagli atti.

8. Di conseguenza la Corte ha ritenuto che contratto stipulato era contrario a norme imperative e quindi nullo, essendo la disposizione regolamentare comunale, che rendeva concedibili le autorizzazioni temporanee contraria fin dalla conclusione del contratto alla normativa urbanistica.

La Corte di merito ha confermato anche la violazione degli artt. 1337,1338 e 1229 c.c., essendo la pubblica amministrazione venuta meno l’obbligo di buona fede nella formazione del contratto, per aver omesso di informare la controparte, pronta ad impegnarsi con impegni economici gravosi, della dubbia legittimità del titolo con cui costruire la veranda.

9. Si osserva che pur denunziando la violazione di norme di ermeneutica contrattuale, indicate peraltro genericamente, nella sostanza il ricorrente censura l’accertamento in fatto dei giudici di merito circa la natura essenziale della previsione contrattuale che consentiva alla società oggi ricorrente di costruire una veranda al fine di esercitare l’attività di ristorazione prevista in contratto.

10. Questa Corte ha affermato che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. Cass. sent. del 8-3-2007 n. 5353Cass. Sent. del 29-11-2016 n. 24298 Cass. sent. del 44-2017 n. 8758.

11. Il ricorrente non indica alcuna erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata dalla norma di legge asseritamente violata,con conseguente problema interpretativo della stessa; viceversa, vi è la allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione.

12. Anche a voler interpretare la censura come censura di vizio di motivazione, essa non è riconducibile al modello legale di vizio di motivazione introdotto dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. n. 5, applicabile al procedimento in virtù della data di pubblicazione della sentenza, che sostanzia il vizio di motivazione ricorribile in sede di legittimità come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ritenendo denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014.

13. Il profilo del motivo con cui si censura l’accertamento della nullità della convenzione è infondato.

In materia di contratti aventi ad oggetto un’opera abusiva questa corte ha affermato. Il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., avendo un oggetto illecito per violazione delle norme imperative in materia urbanistica, Cass. Sentenza 16-4-2014 n. 8890Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4015 del 21/02/2007; V. Cass. Sentenza n. 13969 del 24/06/2011; v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21475 del 19/09/2013).

Analogo principio è stato affermato nella sentenza impugnata in relazione alla previsione contrattuale di costruire una veranda annessa ad un edificio di interesse storico testimoniale secondo il piano regolatore vigente, assentita da una autorizzazione provvisoria concessa dal Comune, consapevole della sua contrarietà alle norme edilizie vigenti.

Nè tale statuizione è in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte,citata dal ricorrente, in materia di locazione di immobile abusivo, perchè nella presente fattispecie è illecita la prestazione dedotta in contratto, vale a dire l’impegno a far costruire un immobile in presenza di un’autorizzazione temporanea concessa dal Comune con la consapevolezza che tale atto era contrario fin dalla sua emissione al regolamento edilizio vigente.

14.Con il quarto motivo si denunzia violazione dell’art. 1338 c.c., ex e violazione dei principi di ermeneutica contrattuale ex art. 360 c.p.c., n. 3.

15. Il motivo è inammissibile in quanto non congruente con la motivazione della sentenza impugnata.

Il Comune sposta la valutazione della buona fede sul contraente privato,ma non censura adeguatamente quanto statuito dai giudici di appello in relazione alla posizione ed al comportamento dell’ente pubblico, e si sofferma sulla possibilità per la società di chiedere la rinnovazione dell’autorizzazione temporanea, con implicita ammissione alla possibilità per il Comune di rinnovare nuovamente e consapevolmente un comportamento contrario alle norme edilizie vigenti.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017

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